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Stato d’emergenza e Costituzione. La riflessione di Celotto

Stanno emergendo polemiche sulla gestione costituzionale dell’emergenza: si osserva di aver lasciato al Parlamento soltanto un ruolo marginale, che non si sono rispettate le riserve di legge, che i Dpcm non possono limitare i diritti fondamentali, che le autocertificazioni non hanno una base legislativa, che Regioni e comuni hanno emanato ordinanze e regolamenti contraddittorie e senza unitarietà di linea.

Dal punto di vista giuridico, sono tutte perplessità condivisibili. Ma prima di criticare dobbiamo ricordare che “necessitas non habet legem”.

Che significa? Facciamo due esempi storici.

In casi di emergenza, gli antichi romani nominavano il “dictator”, cioè un magistrato non eletto che sospendeva gli altri poteri per affrontare i compiti per cui era stato indicato: reprimere la rivolta, affrontare una guerra o una epidemia. Il primo fu Tito Larcio Flavo nel 501 a.c. per sedare la rivolta delle città latine fedeli a Tarquinio il superbo.

Per tornare ad anni più vicini, allo scoppio della I guerra mondiale il Re decise di andare al fronte, nominò il Luogotenente e il Parlamento con la legge n. 671 del 1915 affidò “pieni poteri” al governo, cioè il potere di “emanare disposizioni aventi valore di legge per quanto sia richiesto dalla difesa dello Stato, dalla tutela dell’ordine pubblico e da urgenti o straordinari bisogni della economia nazionale”.

La nostra costituzione repubblicana si limita ad affrontare l’ipotesi della guerra, con la potestà del Parlamento di dichiararla e il successivo conferimento al governo dei “poteri necessari “ (e non più dei pieni poteri). Anche perché i costituenti non vollero disciplinare gli stati di emergenza, per paura che previsioni come l’art. 49 della Costituzione di Weimar potessero favorire svolte autoritarie.

Così oggi in Costituzione manca una disciplina dell’emergenza costituzionale, che può andare ben oltre la guerra, come ci sta dimostrando il coronavirus.

In questo ultimo mese, si è cercato di governare con la normativa sulla protezione civile (l. n. 225 del 1992) e quella sanitaria (l. n. 833 del 1978), ma il sistema dei Dpcm e dei plurimi interventi degli enti locali non si sta rilevando funzionale, anche se abbiamo lasciato ai margini il Parlamento, con tutte le difficoltà di presenza e voto.

Non è questo il momento di criticare e polemizzare, ma una volta superata la crisi sanitaria, sarà il caso di valutare una modifica costituzionale per disciplinare lo statuto dell’emergenza, così da evitare per il futuro le confusioni e le sovrapposizioni di questi giorni.


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