Ieri sera c’era anche l’imam di Firenze, Elzir Izzedin, a seguire papa Francesco in televisione; alle 18 di questo venerdì 27 marzo si è seduto in salotto e ha svolto la sua quarta preghiera giornaliera seguendo il papa cattolico in tv. Al telefono dalla sua abitazione fiorentina ci tiene a sottolineare l’importanza del momento prescelto: il venerdì per i musulmani è un po’ come per noi la domenica. E la quarta preghiera, quella del tramonto, è importante ogni giorno, perché è l’occasione per una forte invocazione di Dio. Elzir Izzedin, a lungo presidente dell’Unione delle Comunità islamiche d’Italia è rimasto colpito dal coinvolgimento di tutta l’umanità nella preghiera del papa, senza confini, senza divisioni nella grande famiglia umana. Poi guardando quell’evento senza precedenti è rimasto impressionato dall’umiltà. L’umiltà del papa da solo, nella piazza deserta, che prega per tutta l’umanità, faticando per arrivare da solo fino all’altare.
Che messaggio si può ricavare da questo?
Certamente è stato un momento importante e sarebbe molto bello se un momento di orazione comune, a tutti i credenti dei vari riti presenti in Italia, venisse pensata per il tal giorno alla tale ora. Non penso certo ad adunate, no. Nessun assembramento può essere ventilato oggi. Ma come è stato in tanto Paesi, come l’Iraq ad esempio, ma non solo, potremmo anche noi indicare a tutti un momento in cui raccogliersi a casa e pregare mentre pregano anche tutti gli altri. Ed essere uniti.
Visto che ha seguito la meditazione di Francesco dalla televisione, che cosa l’ha colpita di più?
Certamente l’invocazione di Dio, il clemente e il misericordioso, per tutta l’umanità. Il dire che “siamo tutti sulla stessa barca”. Questo certamente è l’elemento forte, la fratellanza, quello che mi ha colpito di più. Poi ho percepito con forza una grande umiltà. L’umiltà dell’uomo, solo, davanti a Dio. Unendo questa unità e questa umiltà ho percepito un messaggio molto importante.
Certamente il messaggio di ieri è parso opporsi alla diffusa retorica del “siamo in guerra!”. È stata questa la sua idea? È questo il modo in cui ha letto o percepito la preghiera di Francesco?
Indubbiamente sì. È una retorica sbagliata quella del “siamo in guerra”. Noi da tanto tempo ci siamo piegati all’idea per cui abbiamo bisogno di un nemico per essere uniti. No, non abbiamo bisogno di un nemico. Abbiamo bisogno invece, come ha detto Papa Francesco, di sentirci fratelli, di capire che siamo davvero sulla stessa barca. E allora qui serve una rivoluzione culturale, e quindi l’autocritica. Nel Corano si dice chiaramente che tutto quello che ci circonda è creato in modo perfetto da Dio e che noi siamo chiamati a convivere con l’universo. Siamo parte integrante dell’universo. Ecco che l’autocritica riguarda gli eccessi, gli errori e gli scompensi: sono opera nostra. Dobbiamo capirlo e emendarcene. Insieme. Ci serve una nuova cultura.
C’è stata sicuramente la fratellanza al cuore della meditazione del Papa, ma come lei indica anche la cura per il creato, direi “documento sulla fratellanza” e “Laudato si’”. Quindi il documento di Abu Dhabi sulla fratellanza è importante, ma non ha una dimensione soltanto islamo-cristiana.
Certamente. Se avesse una dimensione soltanto islamo-cristiano non riguarderebbe tutti. E invece la fratellanza riguarda tutti, come la cura della casa comune.
Eppure per molti questo è il momento in cui la religione è soltanto emozione. Quindi o si percepisce la fede come qualcosa di inutile davanti alla scienza, l’unica che può salvarci, o come la forza che ci indica l’ira di Dio per i nostri peccati, un Dio che viene a punirci.
Dio non ha bisogno di castigare nessuno. Nella sura 30 del Corano, al versetto 41, è detto chiaramente che la corruzione è apparsa sulla terra e sul mare a causa di ciò che hanno fatto di male gli uomini e affinché Dio faccia loro capire parte di quello che hanno fatto. Proseguendo nella lettura si trova l’auspicio che tornino sui loro passi. Dunque ci sono i momenti di prova. Davanti a questi momenti di prova siamo chiamati a capire, non a rifugiarci nell’estremismo, ma nella ricerca dell’equilibrio tra cuore e mente. La fede richiede equilibrio tra cuore e mente e quindi noi dobbiamo rivolgerci alla fede e alla scienza. È importante che la scienza cerchi la cura alla nuova epidemia. Ma come molti studiosi indicano, la tranquillità è importante per guarire, anche se non soprattutto davanti a questa epidemia. Le persone anziane, sole, abbandonate, hanno più difficoltà a conservare la loro tranquillità. Sentire che ci sono altri che pregano per me, che stendono le loro preghiere per e intorno a me è importante per ritrovare serenità, tranquillità. Stare a casa non deve essere una tortura, ma un modo anche per riscoprire se stessi. Diciamo sempre che abbiamo poco per riflettere. Ecco, ringraziando chi rinuncia a questo tempo per servire, negli ospedali, nei supermercati, negli esercizi aperti, usiamo la prova per costruire la nuova cultura, quella della fratellanza.