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Covid-19, ecco cosa chiedono i pazienti cronici

Il mondo dell’advocacy sanitaria è sempre più attivo. Le istituzioni recepiscono i loro suggerimenti e le soluzioni consigliate dando spazio alla voce dei pazienti ma ancora molta strada c’è da fare e in un momento di emergenza le carenze sono ancor più evidenziate.

Le Associazioni di pazienti sono organizzazioni fondamentali nel sistema sanitario. Oltre a rivolgersi alle istituzioni attraverso azioni di advocacy, facendo sentire la voce di chi concretamente vive la malattia, sono coloro che sostengono i pazienti e le loro famiglie attraverso l’informazione sui servizi assistenziali (alcune erogandoli), su quali sono e come accedervi. Forniscono giuste indicazioni aiutando il paziente a districarsi tra i vari ostacoli da superare. Nell’emergenza causata dal Coronavirus, alcune differenze territoriali sono ancora più accentuate. Formiche.net ha raggiunto, Antonella Celano, presidente dell’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatiche e Rare e Sandra Frateiacci, presidente dell’Associazione Liberi dall’Asma dalle Malattie Allergiche, Atopiche, Respiratorie e Rare già Associazione Laziale Asma e Malattie Allergiche e che insieme hanno costruito una Rete informale di Associazioni pazienti.

In un momento di emergenza come questo, le persone con patologie croniche sono più vulnerabili, sia per le difficoltà nell’assistenza domiciliare che per l’accesso alle terapie. È stata vostra l’iniziativa di scrivere due lettere, l’ultima delle quali firmata da 75 associazioni di pazienti, di cui 4 federazioni, attraverso le quali chiedete al governo misure per la continuità terapeutico/assistenziale? Avete formato una Rete di Associazioni pazienti che si muovono insieme.

La nostra iniziativa parte da lontano, dall’ottobre 2019 quando abbiamo iniziato in un fine settimana a coinvolgere 25 associazioni che hanno supportato il nostro appello contro lo switch automatico dei farmaci biotecnologici (originator e biosimilari) senza motivazioni cliniche. Da lì, abbiamo pensato che questa rete informale potesse rappresentare una importante risorsa per i pazienti grazie al coinvolgimento spontaneo su temi trasversali, comuni alle varie associazioni e così abbiamo continuato fino ad arrivare all’11 marzo 2020, data in cui, vista l’emergenza che stiamo vivendo, siamo riuscite ad unire prima 61 associazioni per chiedere sostegno al governo in tema di politiche sanitarie e assistenziali dedicate a persone che vivono già in condizioni di fragilità, quindi con patologie croniche che non dovrebbero assolutamente muoversi da casa perché ancora più a rischio rispetto a persone senza patologie. L’appello chiedeva di prorogare la validità delle esenzioni per patologia ed il rinnovo automatico dei piani terapeutici, sollecitando una vigilanza sulle regioni, circa l’attuazione di quest’ultima norma, contemporaneamente prevista da Aifa per 90 giorni. In aggiunta, abbiamo richiesto misure relative alla somministrazione dei farmaci ospedalieri con l’obiettivo di evitare ai pazienti di andare in ospedale esponendoli al rischio di contagio, prevedendo l’organizzazione di percorsi assistenziali, per le tipologie di farmaci che ne permettessero, in sicurezza, la somministrazione a domicilio. La seconda lettera ha riscosso ancora maggiore adesione. 75 tra associazioni e federazioni di pazienti hanno sottoscritto l’appello con il quale abbiamo chiesto la tempestiva dematerializzazione delle ricette così dette rosse, quelle per l’erogazione dei farmaci previsti nei piani terapeutici per i quali, con la precedente richiesta, si era riusciti ad ottenere la proroga di 90 giorni.

Quali lacune emergono nel nostro Sistema Sanitario?

Oltre alla richiesta del rinnovo automatico dei piani terapeutici, già realizzato dall’Aifa mentre raccoglievamo le firme dell’appello di “Associazioni in rete”, abbiamo richiesto l’allargamento e il rinnovo automatico non solo dei paini terapeutici ma delle esenzioni relative alle varie patologie, cosa che poi è stata fatta. In più abbiamo richiesto la somministrazione dei farmaci in fascia H presso il domicilio o al di fuori dei centri ospedalieri per limitare l’esposizione al contagio sia delle persone più vulnerabili perché affette da patologie croniche che dei caregiver che accompagnano il paziente. A macchia di leopardo, in qualche regione, alcune associazioni hanno prestato il proprio volontariato nell’assistenza, proprio per portare le terapie a casa o per compiere tutto ciò che era necessario ai pazienti ma non in forma omogena e organizzata. Dunque se non hai, come paziente, familiari che possono adoperarsi non c’è assistenza territoriale. I servizi sociali dei comuni sono abbastanza latitanti. Per esempio, al di là delle Rete che abbiamo costruito, sia Apmarr che Alama, anche attraverso Federasma e Allergie Onlus, la federazione alla quale aderisce, rispondono ai rispettivi numeri verdi dedicati ai pazienti e alle loro famiglie/caregiver. Numerose sono purtroppo anche le richieste legate all’assistenza sociale per le persone con patologie, spesso anziane, che vivono da sole. Ad esempio quella giunta ad Apmarr e relativa ad una persona che era a pane e acqua da giorni, impossibilitata a muoversi. Situazione risolta attraverso varie chiamate presso il Comune di residenza chiedendo di prendere in carico la situazione. Quindi è vero che gli italiani sono un popolo che riesce ad arrangiarsi però nei casi limite è difficile. Emanare decreti senza che gli stessi vengano recepiti in maniera coordinata dai servizi sociali dei vari comuni non permette l’assistenza territoriale ed è per questo che il nostro appello è stato indirizzato anche all’Anci-Associazione Nazionale dei Comuni Italiani.

Quindi che obiettivo avevano le vostre lettere indirizzate al governo? O Meglio che risultati si propone di raggiungere “Associazioni in rete” ?

Le nostre lettere volevano proprio far luce sulle lacune emerse soprattutto in situazioni critiche, messe drammaticamente in luce con il dilagare della pandemia Covid-19 che ha reso chiaramente visibili a tutta la popolazione, i problemi dell’assistenza, molti dei quali legati dall’assenza o allo scarso coordinamento tra le varie misure di sostegno e presa in carica in capo a varie competenze e livelli istituzionali, alla burocrazia (quella superflua che abbiamo visto può e deve essere superata anche grazie alle tecnologie oggi disponibili), che le persone con patologia affrontano, purtroppo, quotidianamente. Anche per quanto riguarda le prestazioni di riabilitazione, sia per chi la svolgeva a casa sia per chi doveva recarsi negli ambulatori, abbiamo chiesto di mettere in pratica misure affinché quella prestazione non venisse persa, non più erogata. In definitiva, abbiamo pensato a tutti quei problemi che possono verificarsi al di fuori di una situazione di emergenza e abbiamo chiesto al governo di tenerli in considerazione soprattutto adesso con l’aumento delle problematiche a causa del Covid19. L’obiettivo della Rete denominata Associazioni in rete è dunque di cercare di trovare soluzioni a livello normativo attraverso richieste alle Istituzioni e in seguito attivarsi perché vengano poste in atto le misure indicate nelle norme. Maggiore equità per tutti potrebbe essere lo slogan. Nei momenti di crisi vengono attuate soluzioni che in tempi normali mai avresti immaginato potessero esserlo. Le associazioni di tutela della salute, a differenza di quelle di tutela del consumo, hanno un obiettivo ben preciso perché la finalità delle attività è far realizzare delle misure che sappiamo possono esser attuate e proporre soluzioni suggerite dai casi che viviamo tutti i giorni sulla nostra pelle, soluzioni che solo le associazioni di pazienti possono suggerire.

Nelle Regioni cosa manca per quanto riguarda la presa in carico dei pazienti? Ed è presente secondo voi un sistema di welfare in grado di ascoltare i reali bisogni erogando misure centrate sulla persona?

Come abbiamo detto, i nostri appelli rivolti al governo sono stati indirizzati anche l’Anci in modo che i servizi sociali dei comuni possano provvedere alle richieste dei cittadini. Se una persona deve uscire per forza per fare una terapia che non può essere effettuata in casa, dovrebbero essere i servizi sociali e la rete del welfare locale a rendersi disponibili facendo la loro parte. A parte il fatto che siamo pazienti, siamo anche cittadini contribuenti, quindi quello che chiediamo sarebbe dovuto, non elemosinato, né regalato. A livello territoriale, per legge, la tutela della salute spetta al sindaco delle varie città per cui nel momento in cui un cittadino ha problemi, il referente della sua città o paese è il sindaco. Dopo di che è il sindaco, in collaborazione con la Asl di residenza, che deve mettere in campo azioni finalizzate alla presa in carico sanitaria e socio/assistenziale di quel cittadino in difficoltà. In alcune Regioni che sono avanti con l’organizzazione socio-sanitaria, queste cose vengono attuate. Per esempio, la Toscana o l’Emilia Romagna, sono più attente da questo punto di vista. La nostra Rete si è posta l’obiettivo di fare delle azioni che servano ad eliminare o diminuire le disuguaglianze, che a secondo del luogo di residenza di una persona, sono esistenti. Non può essere che in base al cap di residenza si hanno prestazioni diverse.

L’associazionismo in sanità sta emergendo sempre di più. E’ ancora faticoso lasciarsi ascoltare e ricevere risposte adeguate?

Notiamo dei cambiamenti negli ultimi anni. Non siamo ancora al massimo del coinvolgimento ma un diverso atteggiamento nei confronti delle associazioni pazienti è in atto. Molto dipende dalla reputazione e dalla competenza che negli anni hanno costruito le associazioni e dal modo in cui ci si pone dinanzi le istituzioni. Non è gradito il modo rivendicativo ma quello propositivo e costruttivo. Fare rete ha sicuramente un impatto maggiore rispetto la forza che può avere una singola associazione. In emergenza Covid-19 la seconda delle due lettere era indirizzata non solo al governo, alla Conferenza delle regioni e all’Anci, ma anche a Federfarma e alla Fnomceo. Mentre la prima aveva come tematica l’assistenza ai pazienti cronici, questa seconda lettera era rivolta anche alle farmacie di prossimità per quei pazienti che con i piani terapeutici devono ritirare i farmaci nelle farmacie private e comunali. Attualmente, per il ritiro di questi farmaci è necessario recarsi in farmacia presentando le così detta ricetta rossa timbrata e firmata in originale dal medico. Alcune Regioni si sono già attrezzate e gestiscono anche questo tipo di ricetta in forma dematerializzata, come avviene per la ricetta bianca non firmata in originale dal medico. Adottare la stessa modalità evita di recarsi presso lo studio del medico di base/medico prescrittore, evitando/riducendo le uscite per recarvisi in questo momento che potrebbe essere rischioso per le possibilità di contagio. Chiediamo, dunque, uniformità perché essendo già messo in atto un sistema che prevede la dematerializzazione delle ricette vorremmo sia applicato per tutte le ricette, comprese quelle “rosse”.

Avete ricevuto delle risposte dalle istituzioni?

Non abbiamo ricevuto delle lettere formali di risposta, che in questo momento pensiamo sia poco probabile giungano, anche se siamo certe che alcune delle misure richieste nelle nostre lettere appello siano state recepite, poiché sono state inserite nei vari decreti sulle misure di contrasto al coronavirus, e nelle note Aifa emanate. Il provvedimento per la proroga delle esenzioni e la dematerializzazione delle ricette sono arrivate successivamente al nostro appello. Attualmente stiamo monitorando le differenze regionali in tema delle misure previste dai decreti nazionali, con l’obiettivo di chiedere uniformità a livello nazionale. Un ringraziamento va a tutte le associazioni che hanno sottoscritto gli appelli.


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