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Perché chiudere tutto non è una buona idea. Domande (e risposte) del prof. Pirro

“Chiudere tutto” come propongono alcuni leader politici? È comprensibile la loro preoccupazione sui numeri dei contagiati da coronavirus – su cui poi dirò qualcosa – ma bisogna riflettere molto bene su cosa ciò potrebbe comportare per la popolazione e l’intero sistema produttivo del Paese che – piaccia o meno – è una grande economia di trasformazione di rango mondiale, fortemente integrata in catene del valore di livello internazionale e che, pertanto, com’è del tutto intuibile, non può “chiudere” sia pure per un periodo limitato per coronavirus come se fosse una piccola economia autarchica.

Una prima domanda: l’industria agroalimentare e tutte le lunghe filiere a monte e a valle ad essa collegate – dalle forniture di materie prime ai tanti contenitori (e a chi li fornisce), dai macchinari per produrre i cibi ai mezzi di trasporto dei beni finiti per l’alimentazione – potrebbero chiudere o fermarsi? Nessuno, crediamo, potrebbe ritenerlo possibile.

Seconda domanda: l’industria farmaceutica e quella dei biomedicali, anch’esse con le loro catene di subfornitura in alcuni casi estere – in prima linea nel fornire tutto quanto serve non solo a lottare contro il coronavirus, ma a curare tante altre patologie gravi e meno gravi (che non possono essere dimenticate, ovviamente) –  potrebbero chiudere? Nessuno lo crederebbe auspicabile.

Terza domanda: l’industria elettrica – che fornisce energia all’intero Paese e in primis alle tecnologie impiegate nelle terapie intensive – salvo impianti di autogenerazione di alcuni nosocomi – potrebbe fermarsi? Nessuno riteniamo potrebbe ritenerlo possibile.

Quarta domanda: l’industria petrolifera – che fornisce carburanti al Paese e ai suoi autoveicoli, cominciando dalle ambulanze impegnate nel trasferire i pazienti o i guariti – potrebbe fermarsi? Nessuno, ci sembra, potrebbe auspicarlo.

Quinta domanda. L’industria chimica produttrice di detergenti e altri beni per l’igiene domestica, pubblica e personale – più che mai necessaria in una fase in cui lavarsi più volte le mani è una delle prime disposizioni delle Autorità – potrebbe fermarsi? Nessuno, crediamo, potrebbe ritenerlo possibile.

Sesta domanda: le multiutility piccole e grandi – per la fornitura di acqua, gas, elettricità, raccolta e smaltimento rifiuti – potrebbero fermarsi? Nessuno ci sembra potrebbe ritenerlo possibile.

E potremmo continuare, pensando a tutto ciò che ogni giorno entra nella nostra vita in termini di beni e servizi, almeno per i consumi immediati non comprimibili. Allora questo significa che i lavoratori di tali fabbriche e siti di produzione devono considerarsi adibiti ad una sorta di lavori forzati? Assolutamente no, e perciò si valuti molto bene insieme ai sindacati e (soprattutto) alle rappresentanze di fabbrica il da farsi caso per caso, per quanto tempo e pensando all’interesse generale del Paese, adottando tutte le misure predisposte e assumibili nei singoli stabilimenti per tutelare chi vi lavora, e si assicuri –  possibilmente senza isterie collettive e senza odiose (in questo momento) furbizie o retropensieri politici – il minimo vitale per l’Italia.

Vengo alle considerazioni sui dati del bollettino quotidiano del dott. Borrelli. I macro dati su contagiati, pazienti in terapia intensiva, isolati a domicilio, guariti e deceduti ci dicono tutto? E ci servono a capire bene, o almeno meglio, come stiano andando veramente le cose?

Alcune domande: si dice che i deceduti avevano patologie pregresse. Ma si riesce a fare un minimo di elaborazione statistica su di esse e non solo per l’età di coloro che purtroppo ci hanno lasciato, ma per le vere patologie per cui sono scomparsi e non solo per le complicazioni da coronavirus? E per chi è in terapia intensiva si può sapere – insieme a quanti vi sono tuttora in cura – quanti e dove ne sono già usciti? E di coloro che sono in isolamento domiciliare le strutture sanitarie che li seguono (se e dove li seguono) saprebbero dirci le reali condizioni e i relativi decorsi dell’infezione? Se sono isolati in casa si presume che non siano così gravi come si potrebbe temere, quasi fossero degli appestati. E poi i guariti, che aumentano di giorno in giorno, sono riusciti ad esserlo, grazie a quali terapie, o lasciando isolamenti domiciliari o degenze in ospedali?

Abbiamo letto interventi di infettivologi e medici autorevoli che ci hanno spiegato che, almeno al momento, non esistono cure specifiche capaci di definire un protocollo terapeutico ormai consolidato e universalmente applicabile, ma che si stanno già adoperando alcuni farmaci e loro combinazioni messe a punto in passato per altre patologie con risultati terapeutici positivi già molto promettenti. Allora, se ne può sapere di più su quanti pazienti si stanno applicando tali farmaci? Certo, non è questo il momento di scrivere ampie relazioni per convegni di specialisti, ma almeno Borrelli o il direttore dell’Iss potrebbero dare notizie al riguardo, anche per provare ad informare correttamente l’opinione pubblica che, altrimenti, sta già rischiando l’isteria di massa, stando almeno a certa stampa e a quanto possiamo verificare andando in giro per le nostre città. Insomma, chiediamo troppo?

 

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