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Petrolio. Il crollo, la partita saudita e gli interessi russi spiegati da Tabarelli e Bianco

I prezzi del petrolio hanno perso oltre un quinto del valore stamattina, dopo che nel weekend una riunione del sistema Opec plus che racchiude la gran parte dei principali produttori, è finita malamente. Le parti più rappresentative, Russia e Arabia Saudita, non hanno raggiunto un accordo per prolungare e allargare i tagli alle produzioni. I mercati azionari sono precipitati, complice anche il contesto sempre più critico creato dall’epidemia globale di coronavirus.

“Elemento che tra l’altro è un moltiplicatore nella crisi del prezzo del petrolio, visto che ha già imposto una riduzione della domanda per i prossimi sei mesi che si potrebbe prolungare per tutto l’anno, con un surplus giornaliero che sta attorno ai due milioni di barili. Un’enormità per il mondo del petrolio”, spiega a Formiche.net Davide Tabarelli, presidente e fondatore di Ne-Nomisma Energia, società di ricerca sull’energia e l’ambiente.

Il greggio è sulla buona strada per il più grande calo dopo la Guerra del Golfo del 1991, e ha completato la capitolazione generale dei mercati globali. Batosta per i grandi gruppi energetici, che erano sotto pressione. Le azioni di Bp e Royal Dutch Shell hanno perso circa un quinto del loro valore nelle negoziazioni di Londra, l’Eni è sotto del 17 per cento. Le compagnie petrolifere più piccole sono calate anche più bruscamente: il Financial Times riporta l’esempio della Premier Oil inglese, che ha perso oltre la metà del valore.

“Quello che vediamo oggi è la reazione alle dichiarazioni di questi ultimi giorni. L’Arabia Saudita sembra decisa ad andare allo scontro sul piano dei prezzi. Il sistema Opec plus aveva permesso a Riad di lavorare con Mosca senza creare un idillio, ma comunque permettendo un sostanziale equilibrio dal 2016/2017, con i sauditi che di fatto si sono accollati circa due terzi dei tagli alle produzioni imposte, mentre i russi non aveva ridotto di poco le loro produzioni”, aggiunge Tabarelli.

“La riunione di venerdì è andata molto male, c’è stata una rottura pubblica tra sauditi e russi, con i primi che volevano tagliare la produzione, mentre i russi si sono opposti”, spiega Cinzia Bianco, esperta di Golfo dell’Ecfr. Si tratta del retroscena che ha prodotto la situazione: “I russi credono che valga la pena stringere ancora la cinghia perché così facendo si mette fuori mercato lo shale americano, ma non vogliono accollarsi più peso nei tagli, come i sauditi hanno provato a imporre”.

Mosca può effettuare certe scelte anche perché ha una dipendenza minore dal mercato cinese rispetto all’Arabia Saudita (il mercato cinese è chiaramente quello più colpito dagli effetti dell’epidemia globale). Ma è chiaro che si tratta di una strategia studiata soprattuto per colpire gli Usa, che con gli shale oil si stanno cercando di accaparrare fette di mercato, e soprattutto hanno permesso agli americani di raggiungere una condizione molto vicina al sogno nixoniano dell’autosufficienza energetica.

Gli shale sono giacimenti argillosi che contengono materiali bituminosi ai quali è possibile estrarre petrolio e gas con tecnologie particolari (il fracking) che sono più costose dell’estrazione classica da altri tipi di reservoir. Questo comporta che per essere competitivo il petrolio americano deve avere prezzi più, e l’idea russa era quello di mantenerli invece bassi per creare problemi a Washington. La presenza nel mercato del petrolio Usa, secondo Tabarelli, è insieme al fattore recente del coronavirus, ciò che aumenta la portata dell’attuale crisi del prezzo.

Per la Russia ci sono anche dei limiti tecnici riguardo ai tagli. Aspetti legati alle metodologie estrattive e ai giacimenti – “non è facile come chiudere un rubinetto”, aggiunge il presidente di Nomisma – e poi c’è un contesto economico diverso: “Non dimentichiamo che su tutto c’è il peso di un approccio culturale che vede la Russia, secondo esportatore al mondo, non gradire l’ingresso in sistemi multilaterali di controllo come l’Opec”.

“Davanti all’opposizione della Russia durante l’ultima riunione, i sauditi hanno agito per retaliation, ossia hanno fatto sapere che intendono tagliare i prezzi di export e non rispettare più le misure di riduzione delle produzione. Una scelta in forma unilaterale che diventa un braccio di ferro, ossia dicono a Mosca che se si innesca un gioco al ribasso loro hanno più forza”, spiega Bianco. “Intendono dimostrare anche gli sforzi sui tagli li stavano facendo da soli – aggiunge Tabarelli – e ora spiegano a tutto il mondo che senza la loro funzione di regolazione i prezzi crollano. Lo hanno già fatto in passato, e come in passato non si esclude la possibilità di un accordo, simile a quanto avvenne nel 2016”.

Oggi la direttrice del Financial Times, Roula Khalaf, si chiedeva su Twitter se ci fosse un collegamento tra la retata contro alcuni principi sauditi – sospettati di collusione con gli Stati Uniti per un possibile golpe ai danni di Mohammed bin Salman, MbS, stando alle informazioni della Reuters – e il mancato accordo all’Opec+ a cui è seguita la decisione di rappresaglia. Mossa che danneggerà in primis il mondo dello shale americano. “Credo che il discorso sia più complesso: sicuramente ci saranno tempi duri, causati dal crollo del prezzo del petrolio e della domanda cinese – spiega Bianco – ed è logico pensare che certamente a subire l’impatto interno saranno le promesse economiche fatte da MbS, a cominciare dal grande Vision 2030”.

Vision 2030 è un piano strategico che il principe ereditario saudita ha progettato per svincolare l’economia del regno dal petrolio, appunto, e rilanciare con una differenziazione (e dunque investimenti) l’immagine del paese nel mondo. “Il punto è che il principe non vuole che ci siano in giro rivali eccellenti che possano approfittare di questi incidenti di percorso per mettere in discussione la capacità di pianificazione strategica economica all’interno della corte, e non vuole che siano fomentati dubbi su questo tra i businessmen che devono fare investimenti, sia in Arabia Saudita che all’estero”, spiega l’analista dell’Ecfr. Che aggiunge: “In tutto va certamente tenuto conto del fatto che la mossa di mettere la Russia all’angolo è tipica del modello di azione di MbS, ma è vista come troppo spregiudicata da elementi senior della corte come Mohammed bin Nayef“,  uno dei papaveri finiti nell’ultimo repulisti.



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