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Petrolio, muscoli e propaganda. Putin vuole il potere fino al 2036

Il 22 aprile il parlamento russo terrà una votazione pubblica per decidere una modifica costituzionale che potrebbe permettere a Vladimir Putin di continuare a governare anche dopo la scadenza del suo attuale mandato – nel 2024, quando per le regole presenti non potrebbe essere rieletto. Un emendamento per promuovere la modifica è stato avanzato oggi da Valentina Tereshkova, parlamentare molto vicina al presidente e nota per essere stata “la prima donna nello spazio”.

Il presidente da qualche tempo ha smesso di escludere una sua nuova candidatura, e sembra intenzionato a seguire le volontà del parlamento – che è guidato dai suoi sostenitori. Dopo che la proposta di Tereshkova è stata avanzata, Putin s’è presentato di persona alla Duma e ha detto di essere d’accordo con la modifica che, di fatto, potrebbe anche tenerlo in carica fino almeno al 2036.

Putin ha detto di avere il diritto di ricandidarsi per “mantenere la stabilità” della Russia. Il presidente è il garante “della sicurezza del nostro Stato, della sua stabilità interna”. Alla fine del suo discorso, si è rivolto al popolo russo, dicendo: “Sono sicuro che insieme faremo molte altre grandi cose, almeno fino al 2024. Poi vedremo”. Di fatto non ha espresso ancora intenzione diretta di ricandidarsi, ma da diversi mesi i politici a lui collegati si muovono per creare i presupposti.

Attualmente, la Costituzione russa impedisce ai presidenti di servire per più di due mandati consecutivi. Ciò significherebbe che Putin dovrebbe dimettersi quando il suo mandato scade nel 2024. Ma già in passato c’è stato un gioco di sponde per aggirare la costituzione: Putin è stato presidente dal 2000 al 2008, e primo ministro dal 2008 al 2012, e di nuovo presidente dal 2012.

In Russia il potere putiniano è in piedi da oltre vent’anni ed è del tutto presumibile che – salvo clamorose rivoluzioni, che nella storia russa non sarebbero un unicum – resti tale fino alla dipartita fisica dell’attuale presidente. I movimenti per formalizzarne i passaggi si riportano più per dovere di cronaca che per analisi. Però di questi passaggi costituzionali, e soprattutto di queste nuove divulgazioni pubbliche, è interessante sottolineare il contesto.

Ieri il prezzo del petrolio è crollato sotto una strategia di cui Putin stesso è artefice – e l’Arabia Saudita, con cui la Russia è entrata in aperto scontro, vettore. La scorsa settimana la Russia non ha voluto accollarsi le richieste sui tagli produttivi che avrebbero mantenuto in equilibrio il sistema Opec+ e risollevato i prezzi che già stavano scendendo, ma Mosca non ha accettato – e Riad a quel punto ha scelto la via della rappresaglia annunciando aumenti di produzione (circa 2,6milioni di barili al giorno, il 10 per cento del totale) e sconti eccezionali.

Risultato: il greggio è ai minimi storici, secondo i piani russi. Putin da tempo studia un vendetta contro gli Stati Uniti, artefici principali del sistema sanzionatorio punitivo contro la Russia. E adesso sfrutta il contesto creato dal coronavirus – che ha imposto una contrazione economica con conseguente calo della domanda petrolifera, per primo dalla Cina.

Mandare a picco il prezzo del petrolio serve a infastidire (molto) gli Stati Uniti, che producono tramite l’estrazione dagli shale, sistemi sedimentari che richiedono tecniche più costose delle convenzionali – e per questo servono prezzi alti. Per capire il contesto: importanti società del fracking – la tecnica estrattiva usata per gli shale – come Occidental, Eog e Continental Resources, ieri hanno perso il 40 per cento a Wall Street; operatori più piccoli sono scesi fino all’80 (le società del nuovo petrolio americano sono di solito finanziariamente deboli).

Il prezzo per cui l’estrazione con il fracking va in perdita è di venticinque dollari al barile, e ieri è già sceso attorno ai 30: una condizione critica per i produttori americani, che Mosca crea nel delicatissimo momento della campagna elettorale per le presidenziali. Fase in cui il Cremlino putiniano è che impegnato con l’obiettivo più grande di distruggere la fiducia degli americani nell’intero sistema elettorale.

Operazioni che richiedono un uomo forte al comando. Ieri Mosca ha ringhiato, annunciando di essere pronta a investire tutte le proprie riserve valutarie – le quarte più grandi del mondo – ma di non voler cedere sulla limitazione delle produzioni. Ieri sera i media di stato russi diffondevano stime sulla capacità del paese di resistere fino a dieci anni con il petrolio a 25-30 dollari. Poche ore dopo, oggi, Putin è andato alla Duma a sostenere una riforma che lo potrebbe mantenere al potere per i prossimi 16 anni – almeno.



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