Abbiamo vissuto un trauma diffuso. Uno stress acuto che ci ha portato verso quello che Giorgio Agamben definisce Stato d’eccezione. Improvvisamente nella nostra routine quotidiana si è manifestata una situazione critica che ci ha mandato in panico e non ci ha fatto più ragionare né sentire normalmente.
L’esordio imprevisto ed inaspettato di Covid-19, una minaccia reale per la vita e la salute delle persone ha creato un’onda reattiva ad altissima emotività incontrollata (paura, ansia, vulnerabilità, impotenza) che ha portato a comportamenti impulsivi molto dannosi. A quel punto la minaccia da reale è diventata simbolica e narrativa e ci ha chiusi in un regime di verità drammatico senza via di uscite. Adesso dobbiamo uscire da questa situazione nevrotica. Si può.
E dobbiamo farlo al più presto per riprenderci in mano le nostre vite e la nostra economia.
COSA CI HA MANDATO SOTTO SHOCK: IL MOSTRO INVISIBILE E SCONOSCIUTO
Non è stato il coronavirus a creare il trauma. Paradossalmente, non è mai l’evento traumatico a traumatizzare. Ciò che ha scompaginato la psiche italiana è stato il mondo simbolico che via via veniva costruito intorno all’evento doloroso; soprattutto tra venerdì 21 e mercoledì 26 febbraio 2020. In quella settimana le immagini usate, le parole scelte, le metafore adoperate dai media mainstream, hanno creato un racconto pubblico angoscioso, isolante e senza scampo. Come ha detto Luca De Biase: una narrativa tragica. Con un preciso protagonista: un mostro invisibile e sconosciuto che poteva solo essere evitato o isolato.
Mettiamoci nei panni di una cittadina o di un cittadino di un altro Paese. Scegliete voi quale. Riuscite a vedere a cosa può aver assistito “chi era fuori”? Un evento reale, grave, che improvvisamente viene simbolizzato con i toni della calamità.
Narrazioni catastrofiche (oltre che tragiche) rinforzate dalle testate giornalistiche dai titoli calamitosi che hanno rotto la stabilità emotiva dell’agenda pubblica, rendendo il mostro un’afflizione fuori da ogni controllo. I titoli del 23 febbraio 2020 e dei due giorni seguenti erano decisamente apocalittici: da “Nord paralisi da virus” de La Repubblica a: “Il Nord chiude” de Il Giornale.
Fonte: https://bit.ly/2Tobf76
Studi televisivi vuoti che hanno palesato la minaccia. Vedere Barbara D’Urso e Fabio Fazio condurre i loro popolari programmi senza persone nel pubblico ha emblematicamente confermato l’isolamento emotivo e l’impotenza collettiva di fronte al “mostro invisibile”. Erano scelte obbligate ma che hanno sicuramente inciso nella percezione collettiva di un pericolo.
Credits: https://bit.ly/2VwhJ6v
Battaglie scientifiche tra virologi fatte a suon di tweet e post. Come quella tra la prof.ssa Gismondo e il prof. Burioni, che hanno in qualche modo fatto vacillare la percezione dell’oggettiva della scienza, facendo apparire il mostro-invisibile come ancora più spaventoso perché apparentemente incomprensibile:
Credits: https://bit.ly/2I45s1i
Istituzioni politiche che hanno fortemente “teatralizzato” l’evento a fini di propaganda interna, senza rendersi conto che forse il danno all’immagine internazionale sarebbe stato molto pesante. Dai golfini grigi e blu – molto tranquillizzanti – del premier Giuseppe Conte in diretta dalla sede Protezione Civile che davano un messaggio distonico rispetto alla serietà della situazione del DL che stava chiudendo una parte d’Italia, alla mascherina verde del presidente della Lombardia Attilio Fontana, appena “catturato dal mostro” che comunicava una gravità senza precedenti. A chi dare retta in questa assoluta schizofrenia?
La settimana scorsa, vedendo tutto questo da fuori, molti – complici anche interessi geopolitici – avranno pensato a una Italia preda di una crisi di nervi incapace di gestire un pericolo reale. Le conseguenze? Quelle che vediamo: danni reputazionali, blocchi economici, italiani percepiti come untori.
Diciamolo, ci siamo fatti prendere la mano. Da una gestione sadomasochista dell’emergenza a sua volta alimentata da un racconto pubblico distruttivo. Che ora dobbiamo al più presto rimediare.
ELABORARE LO SHOCK E USCIRE DALL’EMERGENZA. L’ITALIA DOPO COVID-19
Dopo un evento shoccante – soprattutto a livello sociale – bisogna subito iniziare un lavoro di elaborazione per non cadere in una sindrome traumatica che poi degenera in depressione collettiva.
So che per noi italiani il “fare squadra” non è proprio lo sport preferito. Ma in questa situazione abbiamo bisogno di tutte le parti sociali al meglio di loro stesse, che si riattivino fin da subito per rilanciare il mondo italiano post-covid 19. La parola d’ordine deve essere: ripartire.
Ripartire mentalmente, emotivamente, economicamente, socialmente.
Per ripartire abbiamo bisogno delle Istituzioni: governo e regioni devono assolutamente allinearsi e trasmettere un’immagine unitaria e positiva del Paese – sia all’interno che all’estero (se non sanno come fare, posso consigliare diversi bravi professionisti). Partendo con:
- iniziative economiche di supporto sia alle zone rosse sia all’intero Paese colpito dai blocchi economici come sembra si voglia fare (per una volta rilanciamo i consumi e pensiamo anche alle PMI e ai tanti precari con partita Iva che costituiscono un’ossatura economica primaria).
- campagne di comunicazione interne ed esterne capaci di motivare cosa è successo, passando da un racconto della tragedia a una narrazione della speranza.
Per ripartire abbiamo bisogno delle diverse associazioni di categoria, che si concertino e che aiutino i diversi associati a uscire dall’isolamento emotivo ed economico, dando slancio sul futuro.
Per ripartire abbiamo bisogno delle aziende grandi e medie che ri-coinvolgano i dipendenti, i clienti e i fornitori nel lavoro, dopo l’isolamento forzato, dando nuovo slancio all’attività economica.
Per riparire abbiamo bisogno dei media mainstream che pur polarizzati nei toni possano rilanciare il racconto Paese. Non siamo le vittime perdenti, ma gli eroi resilienti che si è rialzano dopo una calamità!
Per ripartire abbiamo bisogno dell’Europa e dei diversi Paesi membri, che possano mostrare solidarietà attiva verso un loro partner geopolitico.
Per ripartire abbiamo bisogno di noi.
Dei nostri cervelli e dei nostri cuori aperti, non isolati dal panico e dallo smarrimento. Per una volta chiamati a essere “Fratelli e Sorelli” non per una partita di calcio.
Dopo un trauma l’unica cosa da fare e alzarsi e ricominciare. Rivedere i colleghi, parlare con gli amici, riprendere il lavoro, recuperare fiducia, curare gli affetti, proiettarsi nelle proprie attività future e darsi il tempo necessario per riguadagnare le proprie forze.