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Diario dallo smart working di una Generazione X

Chi, come la sottoscritta, non nasce digitale e ricorda ancora il rumore del gettone che scende nel telefono pubblico, il ticchettio della macchina da scrivere, il gracchiare delle prime connessioni via modem, ha un approccio differente allo smart working rispetto ai nativi digitali (Millennials e, ancora di più Gen Z, che praticano ogni forma di lavoro mediante lo schermo di dispositivi portatili) e rispetto ai Baby boomer (che, in questa fase di isolamento domestico, delegano a figli e nipoti lo svolgimento delle più complesse incombenze digitali).

L’approccio reso necessario da questi giorni di isolamento domestico è di rendere più produttivo possibile il tempo dell’autoisolamento, cercando tuttavia di condividere al massimo con i propri gruppi di lavoro le attività svolte. In questo senso, per noi Generazione X lo smart working è una innovazione utile e interessante e apprezziamo parecchio le tecnologie che abilitano queste possibilità; spesso non condividiamo tuttavia l’entusiasmo e la conseguente smartness dei giovanissimi, né l’approccio isolazionista e spesso dilatorio praticato da molti Baby boomer, che rinviano ogni attività a “quando la crisi sarà finita”.

Dell’esigenza di praticare il lavoro in modo “agile” si è parlato a lungo in provvedimenti, convegni e dibattiti. Tuttavia, occorre dirlo, si è giunti tutti poco preparati alla fase di necessaria applicazione del lavoro agile, come è stato ribattezzato con un italianismo incerto (perché traslare in italiano un concetto che ha una sua compiutezza nella versione globish? Per sovranismo lessicale?)

In questo senso, per consentirci di dare il meglio nella fase dello smart working ha senso ripensare alle regole e alle pratiche di funzionamento, molto differenti rispetto alle mere circostanze in cui, a causa di un malessere o altre ragioni di natura personale, si è lavorato da casa. La circostanza che tutti si lavori da casa nello stesso momento rende molto differenti le circostanze. L’esigenza di ricreare quella vita relazionale che permea i gruppi di lavoro più riusciti prevede l’utilizzo di Skype di gruppo in sostituzione del free thinking espresso insieme al rito del caffè del mattino; la programmazione di scadenze congiunte, gestite da remoto, rafforza la volontà individuale di sbrigare il lavoro per quel “dopo” che tutti attendiamo e prefiguriamo; la telefonata o l’area commenti del programma di file sharing sostituiscono quelle riunioni informali da corridoio che tanti effetti positivi hanno sul lavoro individuale e di gruppo.

In questi primi giorni, il mio approccio, come Generazione X, si è focalizzato sulle seguenti modalità:
• lavorare per blocchi orari, concentrando determinate attività e incombenze al mattino, riservandone altre alla fascia pomeridiana e serale;
• tenere i contatti, con ogni mezzo (da WhatsApp a Skype) con le diverse community di lavoro: colleghi, stakeholders vicini e lontani, contatti più saltuari. Siamo tutti nella medesima situazione, tanto vale approfittare della circostanza per sentirsi, anche brevemente;
• riservare un po’di tempo a quel grande progetto nel cassetto per cui non si trovava mai il tempo. Non ci sono scuse, ora;
• arrendersi alle difficoltà tecnologiche che spesso si incontrano. Uno Skype interrotto per mancanza di wifi non è una disgrazia, specie in questo periodo in cui si relativizza tutto;
• aprirsi alle innovazioni nel modo di lavoro che spesso ci giungono da colleghi e contatti di lavoro. Per fortuna l’isolamento fisico non significa che non bisogna lasciar circolare le idee, specie quelle più innovative.
• apprezzare i pochi aspetti positivi del lavoro svolto in solitaria (il silenzio di sottofondo, la possibilità di concentrarsi su quanto si va facendo, la possibilità di finalizzare gli sforzi lavorativi in una unità di spazio-tempo).

Ovviamente, questo approccio non è l’unico e le regole messe a punto in questa prima fase possono non valere per tutti: fattori comportamentali, cognitivi e di capacità variano molto di generazione in generazione e nuove pratiche e modelli possono essere messi a punto per far funzionare lo smart working per Millennials e Boomers. Dal confronto tra persone di differenti fasce di età sul tema possono nascere nuovi sistemi per far funzionare al meglio, tutti insieme, questa opportunità di lavorare in modo diverso, insieme con le tecnologie da remoto.

 


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