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La solitudine di Putin (dentro e fuori la Russia) contro il coronavirus

Doveva essere il suo momento di gloria, la consacrazione finale. Le due Camere del Parlamento avevano già approvato tutte le riforme costituzionali che aveva proposto e così avevano fatto anche le 85 divisioni amministrative che compongono il Paese più estero del mondo: la Russia. Il 22 aprile, avrebbe avuto l’ennesima luce verde da quel popolo per cui è ancora l’unico leader possibile e il suo trionfo si sarebbe concluso il 9 maggio, data del 75mo anniversario della vittoria della Seconda Guerra Mondiale, con la tradizionale parata militare sulla Piazza Rossa più imponente che mai.

E, invece, Vladimir Putin si trova davanti alla sfida più importante da quando ha preso il potere. Perché stavolta non può fare affidamento né sulla sua intelligenza politica, né sul suo cerchio magico, né sulla forza delle armate russe. Di fronte ha un virus che non perdona e che è costretto ad affrontare da solo. Ma che sta facendo di tutto per trasformare in un’opportunità per la Russia, oltre naturalmente a cercare di limitarne gli effetti il più possibile.

Quando mercoledì il presidente della Federazione Russa ha parlato alla nazione, gli sono bastati meno di 30 minuti per fare capire che, in una situazione di pericolo ormai reale, il Paese aveva già comunque un piano di emergenza pronto. Putin ha parlato con tono fermo, dicendo chiaramente al suo popolo che la situazione era seria e che ognuno doveva fare la sua parte.

Nella Kommunarka, a Mosca, è in costruzione un ospedale modello Wuhan, così come in altre città importanti della Federazione. Sono già pronte misure economiche per aiutare le classi più svantaggiate e le piccole e medie imprese, un settore produttivo su cui il presidente ha intenzione di puntare molto per rilanciare un’economia russa in evidente affanno. Putin è arrivato persino a tassare i conti delle persone più ricche del Paese, i famosi oligarchi, alcuni dei quali sono anche i garanti del suo stesso potere.

Nella speranza che tutto questo basti. La narrativa nazionale racconta che la Russia è riuscita ad arginare il contagio del virus nella sua forma più violenta. Ed è vero che Mosca è stata fra le prime a interrompere i voli con la Cina e a chiudere ermeticamente gli oltre 4000 chilometri di confine di terra con la Repubblica Popolare Cinese. Soprattutto se si conta quest’ultimo particolare, se nel Paese la pandemia non è ancora esplosa è sicuramente definibile un successo. Se Putin dovesse davvero riuscire a contenere i numeri dei contagiati e dei morti, questo consoliderebbe ulteriormente la sua leadership, nel caso ne avesse ancora bisogno e la sua tenuta del potere avrebbe la strada spianata. Per il momento, è riuscito a mettere parzialmente a tacere le voci che lo avevano criticato per non avere affrontato prima e con trasparenza l’emergenza coronavirus.

Ma la situazione evolve di ora in ora. I contagiati in pochi giorni sono passati da poche decine a oltre 1200 e se è vero e che i morti per il momento sono solo 4, ci sono forti probabilità che il bilancio potrebbe esplodere nelle prossime ore.

Vladimir Putin si gioca più degli altri grandi leader mondiali impegnati in questa emergenza perché, a differenza dei suoi “colleghi”, lui è davvero solo. Non ha un’opposizione in parlamento reattiva in grado di coadiuvare il governo. E la Russia è anche isolata dal punto di vista internazionale. Il presidente non è uno che si perde d’animo. Ha fatto in modo di inviare il più aiuti possibili all’estero, anche in Paesi che potrebbero rilevarsi amici in sede internazionale come l’Italia. Ha fatto appello al G20 perché si crei un piano economico condiviso per rilanciare l’economia a livello mondiale.

Un piano che potrebbe anche rilanciare Mosca sullo scacchiere internazionale. Soprattutto se la sua battaglia contro il coronavirus dovesse finire almeno in pareggio, con un numero contenuto di vittime.

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