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Stop a propaganda cinese. L’avviso di garanzia di Pompeo al G7 (Italia inclusa)

A inizio dicembre, dopo aver dato un passaggio a Giuseppe Conte da Buckingham Palace a Downing Street nella sua limousine presidenziale in occasione del summit Nato a Londra, Donald Trump assicurò alla stampa che il premier italiano aveva preannunciato di non voler “andare avanti” con l’affidamento della rete 5G alle aziende cinesi. Conte fu costretto a raddrizzare il tiro, chiarendo che l’Italia non meditava un’esclusione delle suddette aziende. Il piccolo giallo diplomatico si chiuse in fretta, ma il messaggio arrivò forte e chiaro a Palazzo Chigi.

Un episodio simile è andato in scena questo mercoledì, dopo la video-conferenza che ha riunito i sette ministri degli Esteri del G7, originariamente in programma a Pittsburgh. Terminato il colloquio, il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha confidato ai cronisti: “Ognuna delle nazioni che erano presenti al briefing di questa mattina era profondamente consapevole della campagna di disinformazione in cui il Partito comunista cinese (Pcc) è impegnato per coprire quel che è accaduto veramente”. La Cina, ha detto l’ex numero uno della Cia, “è stata e continua ad essere protagonista” di una campagna di propaganda ad ampio raggio sul Wuhan virus.

Le parole del capo della diplomazia americana hanno un peso politico. Da settimane l’amministrazione Trump denuncia un’offensiva diplomatica del Pcc in Europa e soprattutto in Italia, il Paese più drammaticamente colpito dall’epidemia di coronavirus. L’allarme è stato lanciato a più riprese non solo dal Dipartimento di Stato, ma anche da altri rami dell’amministrazione, come il National Security Council, che ha recentemente lodato gli sforzi del Servizio per l’azione esterna dell’Ue nella lotta alla disinformazione di Stati esteri sul virus. Si tratta, in effetti, di una controffensiva che trova un supporto bipartisan nella politica americana, con una mobilitazione del mondo democratico, Congresso, opinion-makers, think tank, che ha dell’eccezionale.

A ben vedere, stando almeno alle dichiarazioni pubbliche, non tutte “le nazioni che erano presenti al briefing” hanno preso posizione contro la propaganda cinese. L’Italia è al centro di un via vai di aiuti, materiale sanitario ed équipe mediche provenienti dall’Hubei e accompagnate da un tam tam di propaganda sui media di Stato cinesi. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, presente al briefing telematico, in questi giorni ha difeso strenuamente la politica degli aiuti.

Anche gli altri Paesi G7 non hanno condannato ufficialmente la propaganda made in China, che pure prosegue a tamburo battente. È dall’account twitter dell’ambasciata cinese a Parigi, ad esempio, che è partita una delle prime teorie complottiste per cui gli Usa avrebbero esportato il virus a Wuhan. Il Canada è il Paese G7 che, dopo gli Stati Uniti, ha più messo nel mirino la disinformazione di Stato cinese sul virus, complice uno stato non buono dei rapporti per il caso di Michael Kovrig e Michael Spavor, due analisti canadesi incarcerati in Cina come rappresaglia per l’arresto a Vancouver della numero due di Huawei Meng Wanzhou nel dicembre del 2018. Il capo della Difesa, il generale Jonathan Vance, ha dichiarato che “ci sono segnali” di una campagna di disinformazione da parte di “attori statali” nel Paese.

Come nel caso Huawei fra Conte e Trump a dicembre, anche questa volta le parole di Pompeo suonano come un avvertimento, all’Italia per prima. La Casa Bianca non intende sorvolare sulla campagna del governo cinese e si aspetta che i suoi alleati facciano una netta, inequivocabile scelta di campo.


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