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Tracciamento digitale? Con cautela e sotto il controllo del Parlamento. La versione di Zanella (FI)

Di Federica Zanella

Il governo, tramite una call pubblicata sul sito del ministero dell’Innovazione, ha ufficialmente aperto alla possibilità di un tracciamento digitale dei cittadini ai fini del contrasto del covid-19. Da deputato che da anni si occupa di materie di privacy, da giorni seguo il dibattito sviluppatosi, anche a livello internazionale, sul modello sudcoreano piuttosto che di Singapore, Taiwan e altri. Ma vedendo il passo avanti dell’esecutivo in merito a una misura che potenzialmente inerisce i diritti di libertà individuale dei cittadini, pur trovandomi concorde nel cercare di esperire qualsiasi strada aiuti a sconfiggere questo infido virus, mi corre l’obbligo di lanciare un alert rispetto a una misura come questa che potrebbe sottendere vulnera e rischi importanti per la privacy, se non mirata, appropriata, proporzionata e ovviamente limitata nel tempo. Ovvero qualora non rispetti appieno le condizioni inderogabili, volte alla tutela della protezione dati personali, che sono state richiamate, oltre che dal nostro Garante privacy anche dal Comitato europeo per la protezione dei dati.

Anche perché i cittadini, la cui consapevolezza in merito al valore dei loro dati non sempre è spiccata, chiaramente alla domanda se preferiscano rischiare di venire contagiati dal virus o scaricare una app, non avrebbero dubbi nello scegliere la seconda soluzione. Sta quindi a noi dare loro le risposte che si attendono, preoccupandoci nel contempo della tutela dei loro diritti. Premetto che personalmente mi inquieta non poco il fatto che a gestire e quindi valutare le migliori soluzioni tecnologiche per contrastare l’attuale pandemia, sia in primis il ministero per l’Innovazione, la cui titolare ricordiamo essersi distinta per ringraziamenti a Casaleggio sul piano nazionale per l’innovazione e aver proposto una “password di Stato” che già aveva sollevato un vespaio di critiche in relazione ai temi della privacy. Ma ammesso che a fronte di questa emergenza che tutti cerchiamo di affrontare senza pensare certamente a interessi di parte, queste inquietudini possano rimanere mie personali, sul bando come sull’intera gestione dell’emergenza incombe un vulnus: sino a ieri, quando lo ha pur tardivamente sanato con un decreto legge, l’esecutivo si era infatti mosso a colpi di dpcm anche per misure restrittive che sono andate a limitare libertà personali. Mentre invece, laddove le misure abbiano profili di particolare delicatezza e rilevanza inerenti i diritti di libertà individuali, il Parlamento non solo deve essere coinvolto, ma è il solo ad essere “abilitato”, nel caso, a intervenire.

È solo il Parlamento – l’organo mediante il quale il popolo partecipa all’esercizio del potere statale – a poter valutare opportunità, condizioni e modalità di un eventuale intervento suscettibile di tradursi in una sorveglianza generalizzata del comportamento dei cittadini, ovvero una grave restrizione dei loro diritti, ancorché in presenza di una situazione di emergenza e per un periodo di tempo determinato. Sono ben consapevole infatti che l’esigenza di salvaguardare la salute pubblica e la sicurezza possa talora legittimare trattamenti di dati con una limitazione dei diritti degli interessati, ma – vorrei ricordarlo – occorre che ciò avvenga tramite misure di rango legislativo e che le stesse siano necessarie, proporzionate e adeguate.

Per intendersi, qualora il governo italiano decidesse di tracciare gli spostamenti dei cittadini attraverso i loro smartphone e trattando i dati personali (nome, cognome, ubicazione) non anonimizzati come misura volta al contrasto della pandemia, il Comitato Europeo per la protezione dei dati ha chiarito come sia necessaria una nuova base giuridica. A normativa vigente lo Stato in Italia non può legittimamente tracciare e geolocalizzare, in forma individuale e non aggregata, i cittadini senza il consenso degli interessati. Attivando un tracciamento individuale che diventa una sorta di pedinamento virtuale, per capirsi.

Tuttavia sia il fatto che il professor Walter Ricciardi dell’Oms- che guida anche la task force che coordina la “call” – abbia già rassicurato che “nessuno deve temere un Grande fratello”, sia il richiamo alla normativa vigente contenuto nello stesso bando, dovrebbero escludere che si vada in direzione di app invasive in stile sudcoreano, che prevedrebbero una legge ad hoc. Vale la pena di ricordare peraltro come il successo dell’azione sudcoreana non si leghi solo al tracciamento digitale, ma anche a uno screening diffuso della popolazione effettuato sin dall’inizio del contagio.

Una soluzione interessante da considerare potrebbe essere quella adottata a Singapore, dove qualche giorno fa è stata introdotta una App (Tracetogether) che sfrutta un sistema di connessione di prossimità per controllare tutti gli utilizzatori della app che si trovino nelle vicinanze di persone positive al virus, in maniera anonima e senza raccogliere altri dati e soprattutto senza, pare, inviare nulla al governo.
Ma visto che l’obiettivo che si pone il nostro esecutivo pare essere quello di ricostruire la catena trasmissiva del virus anche attraverso gli asintomatici, che non passerebbe mediante la schedatura di 60 milioni di italiani, ma tramite il tracciamento e la ricostruzione delle catene trasmissive del virus dentro un numero molto più limitato di focolai e quindi per un numero molto più circoscritto di persone, una app (che comunque rischierebbe di non coprire una parte significativa di anziani, la fascia più a rischio, molti dei quali non posseggono uno smartphone) potrebbe anche non essere necessaria. Si potrebbero infatti utilizzare per tracciare strumenti che già esistono. E che in taluni casi sono già utilizzati, come in Lombardia, dove la Regione sta monitorando, in modo anonimo e quindi senza “spiare” con app, gli spostamenti dei cittadini grazie ai dati forniti dalle compagnie telefoniche.

In sostanza prima di arrivare al “tracciamento”, ovvero una misura molto invasiva che prevede trattamento di dati storici di localizzazione e in forma non anonimizzata, come da monito anche del nostro Garante della Privacy, “i governi dovrebbero orientarsi secondo un criterio di gradualità e dunque valutare se le misure meno invasive possano essere sufficienti a fini di prevenzione“.

E anche lo stesso Comitato europeo per la protezione dei dati tra le condizioni inderogabili citate ha annoverato il fatto che “la legislazione eccezionale è possibile solo se costituisce una misura necessaria, adeguata e proporzionata all’interno di una società democratica” aggiungendo che, in merito al principio di proporzionalità “si dovrebbero sempre privilegiare le soluzioni meno intrusive, tenuto conto dell’obiettivo specifico da raggiungere. Misure invasive come il “tracciamento” possono essere considerate proporzionate in circostanze eccezionali e in funzione delle modalità concrete del trattamento, in termini di durata e portata, ridotta conservazione dei dati, rispetto del principio di limitazione della finalità.

È evidente come la durata delle misure straordinarie sia uno dei punti più delicati. D’altronde si sa, come ha ricordato anche lo storico israeliano Yuval Noah Harari sul Financial Times, non c’è nulla di più definitivo del provvisorio.

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