“Non vogliamo in questo momento fare chiasso, ma solo far presente che il comparto dovrà andare avanti”. Lo dice a Formiche.net Franco Siddi, già segretario della Federazione nazionale della Stampa e attualmente presidente di Confindustria Radio Televisioni secondo cui il decreto Cura Italia dimentica l’essenziale ruolo informativo dell’emittenza locale.
Perché siete delusi?
Perché ci si aspettava che il governo, in un decreto come questo, tenesse conto di tutte le funzioni essenziali per il Paese e prendesse in considerazione la circostanza che l’emittenza locale sta svolgendo un’attività indispensabile alla collettività, in una condizione difficile. Mi riferisco alle condizioni create dall’epidemia e dalla conseguente mobilità con una presenza ugualmente assicurata nei territori. Aggiungo che sta diventando ancora più importante per la continuità assicurata, ma in una cornice economica che purtroppo sta cambiando.
Cosa potrebbe accadere al comparto?
Si tratta di un settore già povero di risorse. Il tessuto che concorre, tramite la pubblicità, a sostenerlo si sta fermando. E, fermandosi, la prima azione che fa è tagliare gli investimenti pubblicitari. Per cui ci aspettavamo che si trovasse il modo di dare atto che c’è questa situazione, con una realtà che sta svolgendo un ruolo primario.
Quale l’impatto sul sistema delle tv locali e delle radio?
Credo che l’intero sistema abbia bisogno oggi di un sentimento di riconoscimento del proprio ruolo, che si traduca anche in un supporto per la tenuta e la continuità aziendale. Se essa dovesse venire meno, allora si indebolirebbe tutto e non credo sia interesse di nessuno tale circostanza. La contingenza del virus sta facendo emergere un profilo più alto per l’intero sistema radiotelevisivo locale, se vogliamo, con una presenza nell’informazione e nell’orientamento. Mi riferisco all’adempimento di un dovere quasi civile, visto che si comprendono le disposizioni date per salvaguardare le vite di tutti e la realtà che tutti noi stiamo vivendo concretamente. Al contempo viene offerto un servizio che è di comunità e di coesione.
Gli editori sanno che il conto economico del 2020 segnerà il record negativo del nuovo millennio nonostante le redazioni stiano funzionando bene grazie agli strumenti digitali. Il fondo del pluralismo poteva servire?
Avevamo avanzato come associazione una serie di proposte come il fondo del pluralismo, destinato ai giornali e all’emittenza locale, immaginando che fosse una soluzione. Nel settore della comunicazione fatta ai cittadini, i media sono ormai diventati primari perché il primo punto di contatto. Nel momento in cui c’è bisogno di un’informazione certificata, ci si accorge del fiato corto dell’informazione massiva dei social. E quindi si comprende che occorre qualcosa di più sicuro e portato all’attenzione dei cittadini in modo professionale. Ciò viene fatto da chi organizza le imprese del settore e dagli operatori sul campo che, in questi giorni drammatici, stanno mettendo insieme un lavoro interdisciplinare straordinario e coeso, tra giornalisti, operatori, montatori e corpo amministrativo. Questa mole di lavoro non la troviamo nel provvedimento e vorremmo auspicare che ci saranno altri momenti in cui fare una riflessione più compiuta.
Secondo Federico Vincenzoni, amministratore delegato di Tuttosport, è necessario riformare il sistema dell’informazione “con un rapido adattamento del contratto collettivo, altrimenti perderemo un treno che dal passato sta viaggiando verso il futuro e sarà la fine”. Che ne pensa?
È un punto sul quale non entrerei in questo momento, lo lascerei alle parti sociali. Magari, a emergenza chiusa, si potrebbe riflettere sui problemi di tutto il settore.
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