Ci sono momenti per richiamare gli ideali, spostando l’attenzione dell’opinione pubblica su obiettivi di lungo periodo; un periodo che naturalmente ci si impegna quotidianamente per cercare di accorciare.
E ci sono occasioni storiche per agire. Subito. Individuando realisticamente i punti da attaccare per compiere un passo avanti verso quegli obiettivi di lungo periodo che perseguiamo.
Questo non è il momento per ricordare che servirebbe una federazione europea compiuta: un’efficace organizzazione della vita pubblica su più livelli di governo, in modo da garantire allo stesso tempo unità strategica d’intervento sulle questioni che interessano tutti i cittadini e decisioni decentrate per rispondere ad esigenze specifiche.
Chiunque oggi si limiti a predicare l’avvento di una federazione europea, soprattutto se ha avuto la possibilità concreta di costruirla, dati i suoi precedenti incarichi nelle istituzioni europee e nazionali ai massimi livelli, senza indicare come aggredire nelle prossime ore i dossier realisticamente cantierabili… fa un danno all’obiettivo di fondo. Immaginiamo, in maniera inconsapevole ed animata dalle migliori intenzioni… ma pur sempre un danno. Peggio ancora se ci si ostina a pensare che dei titoli di debito pubblico comune possano di fatto servire a mutualizzare i debiti nazionali (con scelte nazionali sulla destinazione dei fondi). L’articolo di Pittella e Fedeli, pubblicato su formiche.net due giorni fa, sembra purtroppo andare proprio in questa direzione. Che sarebbe negozialmente perdente.
Questo è il momento di mettere in campo tutte le competenze e le risorse (anche creative) per far emergere una volontà politica per un salto di qualità nell’integrazione europea. E tutti gli obiettivi realizzabili vanno perseguiti congiuntamente, attivando tutti gli strumenti ad oggi esistenti.
Meccanismo Europeo di Stabilità. Il MES non è uno strumento legittimo di scelta collettiva, ed oltretutto può intervenire (ad oggi) solo nell’eurozona. Ma è agile, può prendere decisioni immediate, ed è dotato di un capitale pari al 5% del PIL europeo. Quanto basta per rispondere efficacemente all’emergenza. Basterebbe che si impegnasse per una parte di quel capitale, poniamo il 2% del PIL europeo, facendo anche ricorso ad una emissione di titoli di debito. Non senza condizionalità. Perché nessuno presterebbe soldi incondizionatamente; neanche in una situazione d’emergenza. Ma certo nemmeno con la condizionalità prevista dal suo statuto, concepita per l’assistenza finanziaria ad uno o più paesi in difficoltà. Questa non è una crisi asimmetrica e non (solo) finanziaria, ma reale. Occorre quindi mobilitare risorse per investimenti collettivi, che tramite il progetto d’investimento siano da soli in grado di assicurare la sostenibilità del debito. Dei project-bond, insomma, legati ad investimenti (se possibile finanziariamente, socialmente ed ecologicamente sostenibili) in grado di generare crescita di lungo periodo per l’intera area dell’euro (che rispetto agli altri paesi non-euro ha problemi specifici e più forti di interdipendenza). Come qualcuno ha suggerito, il MES potrebbe agire sul modello della Cassa Depositi e Prestiti in Italia, raccogliendo sui mercati finanziari le risorse necessarie a finanziarie spese in conto capitale degli Stati (e magari di Enti Locali o loro raggruppamenti). In previsione dell’adozione dell’euro da parte di tutti i paesi della UE, potrebbe inoltre evolversi in un vero e proprio Fondo Monetario Europeo, sotto la responsabilità di un Ministro del Tesoro che sia Vice-Presidente della Commissione Europea (come già suggerito da vari documenti delle istituzioni UE). La posizione negoziale italiana in tal senso dovrebbe essere ancora più esplicita; e mirare a questo obiettivo. Come second best, si può pensare di utilizzare una cooperazione rafforzata per portare avanti risorse proprie e titolo per la ripresa comune, utilizzando l’alleanza provvidenzialmente emersa con Francia, Spagna, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio e Lussemburgo. Sulla quale la Germania sarebbe costretta a dare una risposta, che nel caso fosse negativa potrebbe avere un effetto devastante (probabilmente per la stessa Germania che si troverebbe a fare i conti con tensioni sulla moneta che potrebbero portarla ad uscire dall’euro).
Quadro Finanziario Pluriennale. I negoziati sul QFP devono ripartire da zero (anche perché erano fermi in un cul de sac). Gli attuali sono stati avviati sulla base di un documento della Commissione del maggio 2018. Un’era geologica fa. Nel frattempo, si è insediata una nuova Commissione, con nuove priorità; e la pandemia sta cambiando la percezione dei beni pubblici che è necessario vengano forniti in un quadro sinergico continentale. La Commissione dovrebbe nel giro di poche settimane riscrivere il documento da sottoporre alle negoziazioni dei governi, tendo presente che con i contributi nazionali ci si può anche fermare al finanziamento dell’1% del PIL, al fine di evitare perdite di tempo in estenuanti ed inutili negoziati sul “giusto ritorno”, ampliando però il bilancio al 3% del PIL con risorse proprie (alcune facilmente attivabili, tipo quelle sulle emissioni inquinanti come l’estensione ad altri settori dell’Emission Trade System e l’adozione di una border carbon tax; altre da attivare in modo scaglionato con le procedure il più possibile semplificate consentite dai Trattati).
Una convenzione costituente. Questi interventi emergenziali possono essere presi in spregio a qualsiasi legittimità democratica, al fine di salvare il bene superiore della tenuta del processo d’integrazione, altrimenti a rischio di implosione. Ma prima o poi dovranno essere proceduralizzati e fatti rientrare in un’ottica di piena legittimità (diretta, da parte dei cittadini, non mediata dai governi nazionali). Per far questo si deve mettere subito in cantiere una convenzione costituente, col mandato di riscrivere il patto fondativo della convivenza civile in Europa. In modo da rivedere le competenze da assegnare a ciascun livello di governo ed i meccanismi decisionali di azione collettiva, finalmente liberati dalla schiavitù del diritto di veto.
Banca Centrale Europea e Banca Europea degli Investimenti. Naturalmente, il tutto assistito da una politica monetaria non tanto ‘accomodante’ ma proattiva, che favorisca cioè con l’emissione di liquidità specifici interventi di espansione fiscale, attraverso i vari strumenti di intervento della BCE. E con l’assistenza tecnica della Banca Europea degli Investimenti per le emissioni di titoli e la loro collocazione sul mercato.
Per quanto si tratti di azioni con tempi di svolgimento diversi, è necessario che il segnale politico sia dato immediatamente e complessivamente, per dirigere le aspettative dei cittadini (consumi) e dei mercati (imprese) in una direzione virtuosa.