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Un’Europa pavida

Mentre si stavano moltiplicando gli appelli (tra i quali quello firmato da oltre 500 intellettuali e politici europei, capeggiati da Prodi, Letta, Lamy, Baron Crespo, etc) perché l’Europa cogliesse l’opportunità dell’eurogruppo di domani per ampliare la sfera d’intervento del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, i Capi di Stato e di Governo hanno deciso di derubricare la discussione sul MES da ‘primo punto’ all’ordine del giorno alle ‘varie ed eventuali’, senza quindi approvarne la riforma.

Un’ennesima dimostrazione di debolezza; grave. Che può ancora essere sanata. Ma a costo di passi ancora più coraggiosi nel futuro, che ne innalzeranno ancor più il costo, rischiando di non essere mai attuati. Allontanando così, definitivamente, i cittadini dalle istituzioni europee; e consegnando un’ennesima vittoria nelle mani dei nazional-sovranisti.

Negli appelli sopraricordati veniva chiesto di non rinviare la riforma del MES, ma di affrontare nel dibattito la sua modifica, per poter far fronte sia all’emergenza sanitaria, trasformandolo da fondo salva-Stati a fondo aiuta-Stati, sia per agevolare la ripresa economica, tramite il finanziamento in deficit (col collaterale del MES), per finanziare investimenti in beni pubblici collettivi europei: ricerca, transizione ecologica, energia, infrastrutture di comunicazione e trasporto, innovazione, etc.

Insomma, per evitare le critiche che il MES sia un fondo concepito unicamente per salvare il sistema bancario e finanziario (pur essenziale) e dare qualche risposta concreta alle esigenze dei cittadini, tramite un vasto programma d’investimenti pubblici su scala europea. Una risposta che sarebbe meglio arrivasse dal bilancio dell’Unione, che tuttavia è bloccato dai veti incrociati dei vari governi e da una estenuante e ridicola discussione sul suo ammontare, comunque incapace di far fronte alle esigenze della collettività europea.

L’eurogruppo ha invece preferito evitare di confrontarsi con queste richieste, rappresentate ai massimi e più estesi livelli della società civile europea, glissando sul MES.

È una sconfitta per i cittadini europei. Non un elemento di cui andare soddisfatti, come suggerisce la propaganda nazional-sovranista (e l’ingenuità complice generalizzata), che infatti avrebbe visto con timore una discussione che avrebbe potuto portare a spuntare le loro armi contro “un’Europa che non fa nulla per i cittadini”.

Come evitare che questa ennesima dimostrazione di pavidità decisionale, di inutile gestione confederale, ambigua, animata da generici propositi sovranazionali e solidaristici ma fermamente ancorata a risposte nazionali, egoiste e miopi alle crisi, si dimostri l’ennesimo passo falso, di cui certo l’Europa non aveva bisogno? L’unica via d’uscita dal cul de sac in cui si sono cacciati i governi europei è che, quando discuteranno del MES nelle ‘varie ed eventuali’, qualcuno di loro (dotato del diritto di veto per la sua riforma, per una volta messo a disposizione del cambiamento, non dello status quo) si alzi per dire che il MES va riformato in maniera ancora più profonda di quanto previsto dall’ultima bozza, immaginando appunto esplicitamente che diventi strumento di crescita, non di semplice assistenza finanziaria. Ma occorre anche che una tale riforma si concretizzi in breve, prima che sia finita l’emergenza sanitaria ed il MES sia realisticamente utilizzabile per la ripresa. E che vengano messe in atto quelle riforme istituzionali che ne accrescano la legittimità decisionale, attraverso un percorso di riforma dei Trattati (o fuori dai Trattati, magari con un’avanguardia di paesi) che porti all’adozione di una effettiva capacità fiscale europea, al servizio dei quasi cinquecento milioni di cittadini europei.

L’Europa si gioca la sua credibilità nei prossimi giorni. Se non sarà in grado di assumere iniziative coraggiose, in grado di mostrare l’effettiva superiorità della risposta sovranazionale rispetto alle frammentate risposte nazionali, la retorica e la propaganda nazional-sovraniste torneranno ad avere la meglio, probabilmente per decenni a venire.

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