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US Space Force in orbita! Ecco come si muove (e con chi) la nuova forza armata

È decollata alle 16:18 californiane del 26 marzo la US Space Force, la nuova forza armata degli Stati Uniti specificatamente dedicata alle attività spaziali. Lo ha fatto con il lancio dell’AEHF-6, un avanzato satellite realizzato da Lockheed Martin per le comunicazioni sicure degli alti vertici nazionali e delle Forze armate, il primo payload a partire con la targhetta “national security space launch” e il logo (discusso) della US Space Force. Lo ha fatto con un programma ormai internazionale, che coinvolge partner storici per gli Usa: Canada, Olanda, Australia e Regno Unito.

IL LANCIO

Il satellite è partito dalla base di Cape Canaveral a bordo di un razzo Atlas 5 della United Launch Alliance. A 46 secondi dalla partenza, lo stop improvviso a causa di un problema idraulico riscontrato al sistema di terra. I tecnici si sono mossi rapidamente, tanto che è stato possibile ripartire nel giro di un’ora e mezza rispettando la stringente finestra di lancio (aperta per un paio d’ore). Dopo quasi sei ore è avvenuta la separazione dal vettore, seguita poi dall’acquisizione del segnale fino alla comunicazione più attesa: il satellite risponde ai comandi del centro di controllo da terra.

LA COSTELLAZIONE PER LE COMUNICAZIONI SICURE

È il sesto e ultimo satellite della costellazione AEHF (acronimo di Advanced Extremely High Frequency), tutta in orbita geosincrona e tutta realizzata da Lockheed Martin. È strutturata per fornire comunicazioni sicure (voce e dati) h24 alla leadership degli Stati Uniti e a tutte le forze armate. L’esemplare numero 6 ha raggiunto i gemelli lanciati dal 2010 fino allo scorso anno, dovendo affrontare però l’emergenza Covid-19. È per questo, alla luce delle riduzioni di staff, che il generale John Thompson, comandante del centro Space and missile system center della Space Force aveva identificato la missione come “assolutamente essenziale”, visto che le attività proseguono solo se presentato tali caratteristiche.

IL PROGRAMMA INTERNAZIONALE

Il programma ha un deciso respiro internazionale, nonostante l’evidente sensibilità in termini di sicurezza nazionale per gli Usa. Lanciato alla fine degli anni 90 per sostituire il sistema MilStar, ha visto nel 1999 l’adesione del Canada, seguita nei primi anni 2000 da Olanda, Regno Unito e, infine, Australia. Gli accordi bilaterali permettono ai partner internazionali l’accesso ai servizi di comunicazioni protette offerti dalla costellazione, in cambio della partecipazione finanziaria al programma di sviluppo. I servizi sono comunque venduti dagli Stati Uniti con la formula dei Foreign military sales (Fms) che prevede la fornitura di terminali di terra appositamente variati per i partner.

IL PAYLOAD AGGIUNTIVO

Per tutti loro, con l’AEHF-6, la costellazione potrà operare fino al 2030, funzionale anche alle comunicazioni sicure dei militari impegnati nei vari teatri operativi. Non a caso era la prima missione ufficiale con il cappello US Space Force, condita per l’occasione da un payload aggiuntivo, un cubesat sperimentale denominato TDO-2. È sviluppato dai laboratori della Air Force (la forza che più di altre contribuirà ai ranghi della Space Force) per testare tecnologie di calibrazione ottica e laser per la “space domain awareness”, cioè per dare consapevolezza di ciò che succede oltre l’atmosfera.

LA SPACE FORCE

Ciò rientra a pieno titolo nelle competenze della neonata Space Force, la sesta forza armata degli Stati Uniti, formalmente alle dipendenza del dipartimento dell’Air Force, ma comunque ideata per avere ampia autonomia d’azione. È attualmente al comando del generale Jay Raimond, il primo a congratularsi per il successo del lancio, seguito a stretto giro dal capo del Pentagono Mark Esper, tra gli artefici del piano di Donald Trump per realizzare la Space Force. È realtà dallo scorso dicembre, quando il presidente ha approvato il budget destinato alla Difesa contenente i primi 40 milioni di dollari per la nuova forza armata. Per il prossimo anno, il Pentagono ha già chiesto 111 milioni, anche se c’è da tener conto soprattutto dei 15,4 miliardi messi a bilancio dell’Air Force, chiamata a un trasferimento di competenze e personale che non sembra indolore.

LA COMPETIZIONE CON CINA E RUSSIA

Non è stato facile difatti arrivare alla Space Force. Negli ultimi due anni il dibattito è stato serrato tra Congresso, Casa Bianca e dipartimento della Difesa. La competizione con Cina e Russia, attive nello Spazio militare, ha poi convinto tutti, tanto che già da settembre è attivo lo Space Command, l’undicesimo comando unificato, combatant e operativo, specificatamente dedicato alle attività militari nello spazio. Seppur autonomo rispetto alla Space Force (il generale Raymond, che li guida entrambi, lavora sul coordinamento), ha segnato il trend, poi confermato a dicembre dalla Nato che ha riconosciuto lo Spazio quale dominio operativo a tutti gli effetti, suscettibile cioè di attivazione della clausola di difesa collettiva prevista dall’articolo 5 del Trattato del nord Atlantico.

LA COOPERAZIONE CON I PRIVATI

Oltre C’è un elemento aggiuntivo dal lancio di ieri: il forte focus sulla cooperazione con l’industria, Lockheed Martin in testa. L’amministrazione Trump ha accelerato il trend della commercializzazione dello Spazio, spingendo per una maggiore collaborazione con i privati anche sui programmi più sensibili, quelli relativi alla sicurezza nazionale. Fa il paio con la cooperazione ormai rodata avviata nel campo dell’esplorazione, anche con formule contrattuali nuove e più flessibili, prima di tutto sul programma lunare della Nasa (su cui però potrebbe impattare il virus, causando ritardi imprevisti). Il tutto segue il progetto spiegato da Trump sin dall’arrivo alla Casa Bianca: affermare l’America first anche oltre l’atmosfera.


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