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Dalle valute digitali nuova forza per l’Eurozona

Di Rosa Giovanna Barresi

Il mondo dei mercati finanziari si evolve nello stesso modo in cui le città si modificano sotto ai nostri occhi. Certo, questi cambiamenti sono costosi e richiedono anni di lavoro, ma poi i loro risultati appaiono all’improvviso e cambiano la vita di tutti i giorni: ponti e linee metropolitane creano nuove direttrici di traffico mentre nuovi edifici si sostituiscono ai vecchi. Senza dubbio, modificare l’organizzazione dei mercati finanziari risulta anche più impegnativo che cambiare la circolazione nel centro storico di una città.

Durante l’ultimo ventennio, i nostri mercati finanziari sono stati dominati dall’Eurozona e dall’Eurosistema. Quest’ultimo gestisce le infrastrutture comuni alle banche centrali nazionali dell’Eurozona (le 19 nazioni che hanno adottato la nuova valuta europea) ed alla Banca Centrale Europea (Bce).

Il 12 marzo scorso, la Bank of England ha pubblicato un documento sulle Cbdc (Central Bank Digital Currency, valute digitali emesse da banca centrale) aprendo una discussione pubblica sull’argomento. Forse, siamo alla vigilia di un cambiamento significativo: per apprezzarne il valore, occorre riassumere il contesto internazionale.

Uno dei maggiori successi dell’Eurosistema è stata la realizzazione delle infrastrutture per i mercati finanziari (Fmi). Piattaforme come TARGET2 (RTGS, sistema di regolamento lordo in tempo reale), T2S (regolamento transazioni in titoli), TIPS (sistema per pagamenti istantanei basato su TARGET2) hanno facilitato i rapporti tra istituzioni bancarie sia all’interno che all’esterno dell’Eurozona. La stessa Bank of England ha utilizzato TARGET2 per approvvigionarsi della valuta necessaria a finanziare l’interscambio con l’Unione Europea e, probabilmente, continuerà ad farlo anche al termine della Brexit.

Ma le forze dell’innovazione sono da tempo al lavoro per sovvertire questo scenario. Il progetto Libra, un’iniziativa lanciata da Facebook lo scorso giugno, è arrivato alla sua terza reincarnazione, che ora prevede lo sviluppo di una valuta digitale (stablecoin) ancorata al Dollaro USA, eventualmente seguita da emissioni analoghe per altre valute. Proseguono i preparativi della People’s Bank of China per il lancio della sua CBDC, in partnership con colossi come WePay, Alipay e Huawei.

Dal giugno scorso, la Sveriges Riksbank (Banca Centrale Svedese) sta trattando con la Bce le condizioni per il suo ingresso in TARGET2 e TIPS mentre, lo scorso gennaio, ha assegnato ad Accenture il compito di realizzare un’infrastruttura pilota per la sperimentazione di una retail CBDC (CBDC orientata ai consumatori). Contemporaneamente, la stessa Bce insieme ad altre cinque banche centrali (Canada, Gran Bretagna, Giappone, Svezia e Svizzera) ed alla BIS (Banca dei Regolamenti Internazionali) ha costituito un gruppo per condividere esperienze e valutazioni sulle valute digitali.

Sebbene il documento della Bank of England non dica nulla sulle sue reali intenzioni, esso descrive in dettaglio come introdurre il concetto di valuta digitale nella struttura dei mercati finanziari di una economia occidentale. Fedele al metodo democratico, applica il principio della balance of power per evitare di concentrare un potere eccessivo nelle mani di una sola organizzazione e riassume le decisioni da prendere sotto forma di domande, allo scopo di stimolare la valutazione delle possibili alternative.

La pubblicazione del documento serve a definire un contesto comune per la discussione ed a stimolare le parti in causa (le forze politiche, autorità di controllo dei mercati finanziari, istituzioni bancarie) a formulare le loro posizioni, in modo da iniziare quanto prima il processo di formazione del consenso.

È facile rintracciare i punti di contatto e le difformità tra il progetto della Bank of England e quello della People’s Bank of China.

1 – In entrambi i casi si conferma l’indirizzo generale per l’emissione indiretta. Secondo questo approccio, la Banca Centrale mantiene il diritto esclusivo di emettere valuta digitale e riconosce alle banche commerciali solo un ruolo di intermediazione, cioè di diffondere la valuta già emessa.

2 – A fronte dei prelievi di valuta digitale, le banche commerciali dovranno costituire depositi di garanzia presso la banca centrale, in valuta tradizionale e ad interesse estremamente basso (o addirittura nullo).

3 – Questo dovrebbe incentivare le banche commerciali ad offrire nuovi servizi a valore aggiunto, tipicamente pagamenti e prestiti.

4 – Questi nuovi servizi faranno uso esteso di Smart Contract, procedure in grado di vincolare l’uso della valuta digitale a transazioni specifiche.

Nella soluzione cinese, la gestione dei dati sensibili di tutti gli utenti è affidata (con criteri ancora da definirsi) ad un Centro Nazionale di Identificazione, che verrà posto alle dipendenze della Banca Centrale: differire la soluzione di un problema delegandola ad nuovo apparato statale è una strategia comune a tutti i regimi autoritari. In sostanza, la People’s Bank of China (pur dipendendo dallo Stato e dal Partito) ha una notevole autonomia nella realizzazione del progetto, al punto di non dover rendere pubblici né i dettagli né la sua pianificazione.

Sul problema dell’emissione, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno proposto una soluzione alternativa. Coerentemente con la definizione dei diritti speciali di prelievo (l’unità contabile utilizzata dallo stesso Fondo Monetario Internazionale ed il cui valore è calcolato in base ad un paniere di valute), hanno suggerito la sperimentazione di CBDC sintetiche, ovvero di valute digitali a parità garantita, ma non emesse da banche centrali. Secondo questo approccio, il ruolo delle banche centrali dovrebbe ridursi alla sola supervisione degli agenti di emissione (banche commerciali ed organizzazioni non governative, NGO).

Il problema è più complicato per le Banche Centrali dell’Eurozona, che hanno conferito parte delle loro prerogative alla Banca Centrale Europea: i trattati che hanno dato vita alla BCE non prevedono esplicitamente chi abbia la prerogativa di emettere una valuta digitale. In base all’articolo 16 del suo Statuto, la Banca Centrale Europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote, mentre le singole nazioni possono emettere monete denominate in Euro, ma nel rispetto delle quote massime stabilite dalla stessa BCE. A causa di queste incertezze, sull’argomento CBDC ciascuna Banca Nazionale ha una posizione autonoma, ed è poco probabile che una di esse possa pubblicare un’analisi sistematica quanto quella inglese.

A questo proposito, la Banque de France è una delle istituzioni più attive nel campo delle valute digitali e delle nuove tecnologie. Durante il suo discorso conclusivo al Forum Francese dei Pagamenti, Denis Beau, primo vice governatore della Banque, si è posto una domanda retorica: a fronte del sempre maggiore successo degli asset digitali (azioni, diritti di voto, accesso a servizi) non varrebbe la pena di emettere una valuta digitale per il pagamento di queste transazioni? Secondo la sua risposta, la Banca di Francia continuerà a sperimentare l’uso di una valuta digitale finalizzata ad operazioni di regolamento all’ingrosso (gross settlement): in particolare, alla fine di questo mese di marzo verrà lanciato un concorso di idee sull’argomento. Le proposte più interessanti verranno sperimentate presso la “Direzione infrastrutture, innovazione e pagamenti”, il nuovo titolo assunto dalla precedente “Direzione per la sorveglianza dei pagamenti e delle infrastrutture”.

Anche le infrastrutture dell’Eurosistema si stanno evolvendo nella direzione di consolidare in un unico sistema le singole piattaforme dedicate a servizi specifici (i bonifici, l’azionario, i pagamenti retail). La disponibilità di questa nuova versione (tra l’altro, basata sullo standard ISO 20022) era prevista inizialmente per il novembre di quest’anno, ma ha subito uno slittamento all’anno successivo, come accaduto del resto per l’analoga iniziativa SWIFT.

Un aspetto innovativo della nuova versione è la gestione centralizzata della liquidità. Attualmente, ogni banca commerciale deve aprire tanti conti correnti operativi quante sono le piattaforme (TARGET2, T2S, TIPS) a cui vuole partecipare ma, siccome questi depositi rendono poco o nulla, ogni partecipante cerca di impegnarvi meno liquidità possibile. Chiaramente, analoghe considerazioni valgono per i conti che ogni banca deve intrattenere con le altre piattaforme internazionali (ClearStream, Euroclear, CHIPS, …) e con le sue banche corrispondenti.

Sebbene tutte le piattaforme abbiano dei meccanismi di sicurezza, qualora un buon numero di partecipanti non onorasse i pagamenti per mancanza di provvista, si potrebbe arrivare al blocco della circolazione: pertanto i gestori richiedono per ciascun deposito una soglia minima di liquidità. Queste normative richiedono una supervisione dei conti operativi da parte del back-office delle banche e non consentono una gestione efficiente della liquidità.

La nuova piattaforma dell’Eurosistema prevede di centralizzare la liquidità su un conto corrente principale, costituito presso la BCE o presso una qualsiasi banca nazionale. Questo conto corrente alimenterà a sua volta i conti correnti operativi utilizzati dalle singole piattaforme, con il vantaggio di definire un’unica soglia minima sul totale della liquidità depositata. Purtroppo, la soluzione proposta dall’Eurosistema non copre le altre piattaforme internazionali.

Una recente alternativa propone l’emissione di CBDC sotto forma di conto corrente presso la banca centrale, movimentabile sia con i tradizionali ordini di bonifico e giroconto che mediante una piattaforma Distributed Ledger Technology (DLT). Quest’ultima soluzione consentirebbe di gestire la liquidità mediante smart contract: si tratta di veri e propri programmi associabili ad un conto corrente in CBDC, che vengono attivati automaticamente prima di effettuare qualsiasi transazione. Ad esempio, per far fronte ad una mancanza di provvista, uno smart contract potrebbe attingere ad una riserva comune di liquidità o addirittura richiedere un prestito ad un’altra banca.

Sperimentazioni in tal senso hanno mostrato che con questo tipo di tecnologia le banche commerciali potrebbero realizzare notevoli risparmi nella gestione della liquidità: ad esempio, le compravendite di asset digitali potrebbero avvenire interamente tramite DLT, senza passare più attraverso la piattaforma T2S. Come caso limite, alcune banche commerciali potrebbero accordarsi tra loro per trasferire liquidità tramite DLT, senza utilizzare l’Eurosistema.

Chiaramente, qualsiasi piattaforma DLT non controllata dall’Eurosistema potrebbe diventare un suo pericoloso concorrente e porterebbe a valutazioni non affidabili sull’economia dell’Eurozona. Ad esempio, l’Eurosistema calcola l’indicatore del tasso dei depositi overnight (€STR) analizzando i trasferimenti interbancari giornalieri. Se alcuni flussi finanziari transitassero su piattaforme indipendenti, sfuggirebbero all’analisi e la rilevazione sarebbe affetta da un errore sistematico.

Augurandoci che scenari del genere non si verifichino, prepariamoci a dare il benvenuto a queste innovazioni, che si avvicinano di giorno in giorno, e che porteranno nuove energie al progetto di Unione Europea.

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