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All’ovest niente di nuovo. 90 anni fa il primo film pacifista

Da qualche anno Papa Francesco avverte il mondo del reale pericolo di una Terza Guerra mondiale, “combattuta a pezzi”. Ora, con la pandemia del Coronavirus sulle prime pagine dei giornali e in apertura dei servizi TG, le guerre “regionali” sono passate in secondo piano o silenziate (vedi la Siria). Per alcuni osservatori il Coronavirus introduce a un futuro stato psicologico di guerra, combattuta con altre armi. Sono ipotesi, e qui ci fermiamo.

Sarebbe un monito etico per tutti, a novant’anni dalla sua uscita, rivedersi, in questi giorni di domicilio forzato, Niente di nuovo sul fronte occidentale (All Quiet on the Western Front, 1930) di Lewis Milestone, il film tratto dal romanzo di Eric Maria Remarque Im Westen nichts Neues (Niente di nuovo all’ovest), primo film pacifista della storia del cinema, nonché uno dei dieci che inaugurarono l’era del sonoro. Il film arriva sugli schermi degli States dal 21 aprile e il 2 maggio 1930, nel vecchio continente entro la fine dell’anno. In Italia, unico caso in Europa, per via della censura fascista prima, e dei timidi governi repubblicani dopo, verrà distribuito solo nel 1956!

Ma facciamo un passo indietro di tre anni. Erich Maria Remarque scrive il romanzo Im Westen nichts Neues quasi di getto, in sei settimane, nel 1927, ma deve attendere alcuni anni prima che trovi un editore. Ciò a testimonianza che gli editori (come i produttori cinematografici) avevano rimosso il dramma della Grande Guerra evitando di pubblicare storie che riaprivano ferite non cicatrizzate: si pensava che il pubblico dei lettori e gli spettatori in genere (cinema e teatro) dovessero essere solo intrattenuti piacevolmente dai media. Nonostante il tema delicato, il libro suscitò, alla sua uscita, polemiche: apprezzato dai pacifisti quanto osteggiato dai nazionalisti, che nel 1933 lo inserirono tra i libri vietati e, insieme a questi, fu bruciato “sulla pubblica piazza” (Remarque). Il romanzo tratta la vicenda di un gruppo di sette studenti diciannovenni, amici, che partiti entusiasti per il fronte, scopriranno il volto tragico della guerra: solo uno, l’autore del racconto, sopravviverà sino all’ottobre del 1918. Im Westen nichts Neues, scritto in prima persona, alterna momenti drammatici ad altri lirici. Tale stratificato registro stilistico, tra il diaristico, il poetico e il tragico, si collocava nel solco del nascente realismo degli anni Trenta (di pensi a Alfred Döblin), che reagiva alle avanguardie, alle quali Remarque, tra l’altro, per alcuni aspetti si rifà. Anche per tale scelta stilistica il romanzo divenne subito popolare, soprattutto dopo il film di Lewis Milestone. Nelle prima quindici pagine Remarque passa dalla notazione ironica al duro realismo della guerra, sottolineato da deformanti quadri debitrici dell’espressionismo. L’incipit del romanzo colloca il lettore in media res:

Siamo a riposo, nove chilometri dietro il fronte. Ci hanno dato il cambio ieri; oggi abbiamo la pancia piena di fagioli bianchi con carne di manzo, e siamo sazi e soddisfatti. Anche per la sera ciascuno ha potuto prenderne una gavetta piena; inoltre, doppia porzione di salsiccia e di pane: tutto questo fa bene.

In testa, naturalmente, i più affamati: il piccolo Alberto Kropp, che di tutti noi è la testa più quadra, e perciò è soltanto appuntato; Müller, che si tira dietro ancora i libri di testo, sogna sessioni supplementari d’esame e sotto il fuoco tambureggiante biascica definizioni di fisica; Leer che porta la barba intera e predilige le ragazze dei casini per ufficiali […]; venivo, infine io, Paolo Bäumer. Tutti e quattro diciannove anni; tutti e quattro partiti dalla stessa aula scolastica per andare in guerra.

[…] Per uno strano caso fu proprio Behm uno dei primi a cadere. Durante un assalto fu colpito agli occhi, e lo lasciammo per morto. Portarlo con noi non si poteva, perché dovemmo ritirarci di premura. […] Poiché non ci vedeva, ed era pazzo dal dolore, non cercava affatto di coprirsi, sicché venne abbattuto a fucilate, prima che alcuno di noi potesse avvicinarsi a prenderlo.

Il film di Lewis Milestone, All Quiet on the Western Front, invece, inizia con il paese in festa per i volontari colti mentre sfilano per la via centrale, tra fanfare e donne che applaudono e gettano fiori sui soldati in marcia. Tutto il popolino è in preda a un’isterica autoesaltazione. La camera, in un indimenticabile back-travelling dall’esterno (se ne ricorderà Orson Welles in Citizen Kane, 1940), entra attraverso la finestra aperta, in un’aula scolastica, in cui il prof Kantorek, docente di greco e latino (nel romanzo è un docente di educazione fisica), incita i giovani scolari al “dovere di sacrificarsi per la Patria”. Uno a uno tutti i ragazzi aderiranno entusiasti, gettando in terra quaderni e libri, convinti che la guerra sia più importante della formazione: tutta la sequenza, inserita dagli sceneggiatori americani, involontariamente pre-vede, in un felice guizzo di letteratura di anticipazione, quello che sarà in Germania il rogo dei libri. Il racconto filmico di Milestone procede verso la tragedia lentamente e inesorabilmente: gli studenti amici, arriveranno in caserma, e saranno subito trasformati in macchine per uccidere. La loro innocenza e i loro sogni di cavalieri della patria cominciano a scomparire davanti al duro sergente, sino a pochi giorni prima innocuo e comico portalettere del loro paese, che inizialmente non riescono a prendere sul serio.

Durante l’unica licenza che il protagonista, Paolo Bäumer riceve, lo vediamo triste. Prima di arrivare a casa, passa davanti alla scuola e Kantorek, come tre anni prima, ancora arringa i giovani studenti con la visione libresca e falsamente romantica della guerra. Kantorek appena vede Bauer lo invita a trasmettere una fervida testimonianza sulla nobile guerra. Paolo delude l’insegnante e i giovani scolari dicendo la verità: la guerra è abbrutimento e morte, e il sacrificio per la Patria un nonsense. Poi, Milestone, lo segue in casa. Qui l’anziana madre si preoccupa per lui ma egli cerca di mostrarsi sereno e la rassicura. Quando la donna va a letto, su raccomandazione del figlio, questi, si gira sul suo guanciale e quasi piangendo dice a se stesso, “Perché mamma non riesco a piangere più   sulla tua spalla?”.



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