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L’impegno del Terzo settore nella sanità. Parla Petrangolini (Altems)

Già da diversi anni l’attenzione alle associazioni dei pazienti da parte delle istituzioni e delle aziende farmaceutiche è cresciuta. In un momento di emergenza sanitaria, però, ancora di più la collaborazione tra i diversi stakeholder del sistema salute risulta molto più costruttiva per l’adozione di misure centrate sulla persona in una logica bottom up. Formiche.net ha intervistato a questo proposito Teresa Petrangolini, direttore del PatientAdvocacy Lab dell’Alta Scuola di Economia e Management Sanitario (Altems) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Le problematiche relative alle altre patologie purtroppo non si fermano dinanzi al coronavirus. Quali sono le attività più importanti per i pazienti che le varie associazioni hanno deciso di intraprendere per fronteggiare l’emergenza Covid-19?

Le attività più importanti che abbiamo analizzato anche come PatientAdvocacy Lab (PAL) sono di diverso tipo e c’è da sottolineare che il 62% delle attività portate avanti dalle associazioni sono nuove. Ciò significa che la capacità di innovazione di questi gruppi è notevole. Tra queste rientrano: l’attivazione di web conference soprattutto finalizzate al supporto psicologico di persone con patologie, video consulti per i pazienti da parte di medici o dai referenti delle Associazioni per monitorare lo stato in cui versa il paziente, attività di comunicazione specifica sul coronavirus e patologie oggetto dell’impegno di ciascuna Associazione, digitalizzazione di servizi, redazione di sintesi di provvedimenti elaborati a livello governativo, formazione delle persone a distanza, iniziative di advocacy istituzionali, elaborazione di attività sociali a distanza.

Di recente è stato fatto uno studio dal PatientAdvocacy Lab proprio sulle progettualità anti Covid-19 messe in atto dalle associazioni.

Si, è stata fatta un’analisi, pubblicata sia nella newsletter del PAL che nella pagina Covid-19 di Altems dedicata all’emergenza nella quale abbiamo classificato 37 tipi di azioni rientranti nelle 8 tipologie messe in campo da 12 associazioni di pazienti. Adesso abbiamo deciso di allargare il campo raccogliendo più esperienze con l’obiettivo di costruire un vero e proprio Report sulle azioni condotte. Magari esse potrebbero diventare esempi di buone pratiche, anche al di là dell’emergenza.

Qual è il pericolo più grande in questo momento per le persone più vulnerabili? 

La disorganizzazione. Cioè il fatto che il nostro Sistema sanitario non è caratterizzato da quella flessibilità che in momenti come questi sarebbe fondamentale. Devo dire che, però, rispetto a quello che poteva accadere sono comunque state prese misure utili come la diffusione delle cure a domicilio per i pazienti rari o che correrebbero pericoli di contagio nelle strutture. Certo, è servita una lettera firmata da più di 150 associazioni promossa da Uniamo per realizzare quanto richiesto. Insisto dicendo che il problema del Servizio sanitario riguarda un’organizzazione non strutturata. Per esempio si è arrivati alla dematerializzazione delle ricette ma la stessa non è stata prevista per tutte le ricette e adesso le Associazioni stanno spingendo affinché si prosegua su questo percorso. Forse da questa esperienza e dal suo tragico bagaglio di lutti si potrebbero imparare alcune cose fondamentali come la realizzazione e potenziamento dei servizi di prossimità e la telemedicina. Bisogna avvicinare quanto più possibile i servizi alle persone. È anche un modo più sicuro di affrontare le emergenze, dedicando l’ospedale alla presa in carico delle persone gravi o comunque non curabili altrimenti.

Secondo Lei siamo uno Stato in cui è presente un valido sistema di welfare? In una situazione estrema come questa si sente il bisogno di potenziarlo.

L’Italia è considerata uno dei pochi Paesi con un Sistema Sanitario dei migliori, ma i servizi welfare sono ancora fragili. Spero che si sia capito finalmente quanto è importante investire in queste politiche. Il problema è che questa emergenza ha reso evidenti i punti deboli tra cui le differenze tra regioni, la visione ospedalocentrica, la carenza di operatori, insomma ancora una volta la disorganizzazione di una macchina che rende tutto difficile, accompagnata da un depotenziamento economico della sanità perpetrato per anni.

Nelle regioni in cui è stata fatta una maggiore integrazione organizzativa e di dislocazione delle risorse tra la parte sanitaria e la parte di welfare ha funzionato meglio la presa in carico della persona che dovrebbe essere a 360 gradi, in pace o in guerra, come siamo adesso.

Secondo Lei che ha vissuto dall’inizio il fenomeno dell’associazionismo in sanità, com’è cambiato negli anni?

È cambiato perché è diventato più forte e variegato. Come ricordavo prima le Associazioni sviluppano alle attività che vanno dal supporto alle persone fino all’advocacy nei confronti del Parlamento. Una gamma di attività da studiare attentamente come lo è il profilo delle Associazioni. Analisi è stata effettuata anche attraverso una Survey realizzata lo scorso anno dal Pal e pubblicata a fine 2019,  dal quale è emerso la tipologia di leadership che contraddistingue tali gruppi. Sicuramente è cambiato anche l’atteggiamento delle Istituzioni al di là delle leggi che vengono promosse. Rispetto al passato c’è un coinvolgimento attivo maggiore, anche se ancora c’è da molta strada da fare. Ad esempio le ordinanze della Regione Lazio relative all’emergenza in atto sono state fatte anche prendendo in considerazione quanto suggerito dalle associazioni regionali e molte di queste, soprattutto quelle nell’area respiratoria, hanno aiutato nel rendere disponibili i contatti diretti con le Aziende produttrici di mascherine o di respiratori, proprio conoscendo sulla propria pelle la qualità o meno di tali dispositivi.

So che è stata istituita una cabina di regia nel Lazio con l’obiettivo di creare attività sinergiche a favore dei bisogni dei pazienti. Può spiegarci meglio questa nascita?

Già negli anni precedenti, nel Lazio, avevamo proposto alla Regione di istituire un punto di riferimento che fosse una figura, un ufficio, per il dialogo con le associazioni di pazienti riguardo i bisogni e le lacune da colmare nel campo nelle malattie rare, croniche ecc. Via via questa idea è maturata e a ottobre 2019 è stata fatta una Delibera con la quale si è dato avvio ad un percorso di partecipazione. La novità rispetto alle altre regioni è che è stato costruito tutto dal basso, da un confronto costante con le associazioni, ascoltandole e recependo consigli. Anche la stessa delibera è stata elaborata attraverso l’aiuto dato dai referenti delle associazioni. Referenti che a rotazione, a seconda della patologia, faranno parte della cabina di regia. E’ stata, poi, creata la figura del facilitatore che in questo momento ricopro io, con la finalità di costruire insieme agli Uffici degli assessorati un dialogo costante con le associazioni. Devo dire che la creazione di questa cabina, prima dell’esplosione dell’epidemia, ha aiutato molto la collaborazione Terzo settore/Istituzioni.

Anche da parte delle aziende farmaceutiche c’è un’attenzione particolare al mondo del terzo settore in sanità, come lo dimostrano le sempre maggiori figure specializzate nella Patient Advocacy.

Si. La sfida delle aziende è di avere una strategia articolata di rapporti con il terzo settore non solo realizzando eventi, convegni ma attraverso la promozione di progetti innovativi anche a medio termine. Ad esempio Biogen, partendo da due Regioni come per il momento Lazio e Toscana, ha attivato un progetto pilota sugli screening neonatali, attualmente al di fuori dei Lea, per testare fin dalla nascita e quindi curare per tempo l’atrofia muscolare spinale altrimenti detta Sma. Questo è stato fatto insieme all’Associazione Famiglie SMA. Dunque, un progetto concreto costruito insieme per migliorare la vita delle persone. Un’altra Azienda come Msd si sta occupando, invece, di aiutare le associazioni a potenziare la loro capacità di digitalizzazione per incamminarsi in maniera veloce verso un uso delle tecnologie informatiche.

Il Patient Advocacy Lab cosa rappresenta in questa situazione? Riesce a tenere insieme le varie associazioni permettendo azioni sinergiche anche per contrastare la disinformazione? 

Il fine primario del PatientAdvocacy Lab è quello di sviluppare la competenza manageriale delle associazioni per essere ancora più in grado di relazionarsi con le Istituzioni e gli altri partner del Sistema. Ma dalla sua nascita molte cose sono avvenute anche per il fatto che questo Laboratorio è nato all’interno dell’Alta Scuola di Economia e Management Sanitario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dunque su un terreno “alto” e soprattutto neutro. Il legame che si è creato tra le Associazioni è stato molto costruttivo. Nel 2020 è partita la seconda edizione del master in PatientAdvocacy management e anche tra queste Associazioni si è sviluppata fin da subito la voglia di collaborare insieme, cosa che è stata fatta e sta accadendo soprattutto ora in riferimento all’emergenza da Covid-19. Si è facilitato il modo di interagire. Il Pal è stato ed è un valore aggiunto proprio perché costruisce un collante tra i vari gruppi operanti nel Sistema salute e come è noto il gruppo fa la forza.

 

 

 



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