Dopo l’ultimo intervento del presidente del Consiglio, per annunciare le modalità attraverso cui avverrà – o meglio, dovrebbe avvenire – l’allentamento del lockdown, la confusione rimane grande sotto il cielo. Penso d’interpretare e condividere il pensiero di molti, dicendo che ho davvero enormi difficoltà a distinguere fra fase 1 e fase 2: il congelamento dei diritti e delle libertà versa ancora in uno stato di torpore e l’incapacità del Governo di dissipare le incertezze è ormai quasi più dannosa delle limitazioni stesse. Ma qui, pur trattandosi di aspetti essenziali, non voglio soffermarmi su quello che il premier ha detto o sulle misure economiche per la ripartenza. Mi preme piuttosto evidenziare quello che non è stato detto: le parti omesse sono forse più importanti, e gravi, di quelle esplicite.
Fra i tanti temi cui corre il pensiero tra loro correlabili in vista di quella che doveva essere la nuova fase, dal perché non sia stata ancora implementato il testing a livello nazionale ai motivi per i quali per così tanto tempo le mascherine siano state introvabili o inaccessibili come costi, c’è senz’altro quello legato alla ormai nota app Immuni: famigerata per alcuni, messianica per altri, assolutamente non pervenuta nei trenta minuti di discorso del presidente Conte. Pur avendo largamente superato la soglia generale del paradosso, da tempo, sembra comunque ulteriormente paradossale che neppure un fugace riferimento sia stato fatto nella conferenza. Eppure, almeno stando a quanto si dice, Immuni sarà un elemento fondamentale per la ripartenza, congiuntamente agli aspetti di cui sopra, con cui ognuno di noi dovrebbe fare i conti.
Ma il presidente del Consiglio non ha fatto chiarezza su questi punti (e tanti altri purtroppo) che sarebbero stati dirimenti, a suo dire, per un allentamento molto più importante del lockdown. Tantomeno chiarendo se sia proprio il ritardo su queste misure a obbligare a una prolungata “cattività”, sempre meno sopportabile, i cittadini. Né lui né alcun altro ministro hanno ad ora trovato modo di riferire in maniera compiuta al Parlamento, cioè ai rappresentanti dei cittadini, su quali basi siano state fatte le scelte, rendendo note le relazioni predisposte dagli esperti della task force e le opportune considerazioni politiche che le hanno auspicabilmente accompagnate.
Non sono amante della politica via conferenza stampa, dell’annuncio a ogni costo e lo sono ancor meno quando questa mediatizzazione diventa il registro quotidiano dell’attività delle istituzioni. È il Parlamento la sede del necessario confronto: il governo è responsabile davanti alle Camere, non davanti ai media, tradizionali o social che siano. Da questo punto di vista, l’esecutivo è stato come sempre latitante.
Abbiamo richiesto a gran voce un’audizione in commissione Trasporti e Telecomunicazioni del commissario straordinario Domenico Arcuri, che pure più volte ha narrato in ambito mediatico delle magnifiche sorti e progressive della tuttavia ancora misteriosa app. Così come abbiamo chiesto che venisse il ministro Paola Pisano, intervenuta solo “ex ante” a narrarci delle “buone intenzioni” e degli impegni in merito che si voleva assumere il governo. Riusciremo ad audire Arcuri il 5 maggio (il giorno dopo l’inizio della fase 2, il che la dice lunga). Non ancora pervenuta la Pisano.
Conte dovrebbe relazionare giovedì le Camere su ciò che ha già presentato urbi et orbi in diretta tv, come sempre in prima serata mantenendo una certa suspense negli “affezionati telespettatori”. Ma mi permetto di dubitare fortemente che quella sia l’occasione in cui ci declinerà in modo puntuale le specifiche in merito a questi punti, soprattutto in considerazione del contenuto del suo “annuncio alla nazione”. Per questo abbiamo presentato il 24 aprile scorso con il collega Enrico Costa una risoluzione in commissione Giustizia alla Camera, che contiamo venga calendarizzata oggi, cosi da incardinare finalmente un dibattito ufficiale, e non aggirabile, fra esecutivo, maggioranza e opposizioni. E non vogliamo un dibattito qualunque, per poter dire “presente”: vogliamo un dibattito sul merito.
Nell’elaborazione del contenuto, abbiamo tenuto conto delle posizioni espresse dal Garante della Privacy, dal Consiglio d’Europa, dal documento “Tracciamento dei contatti e democrazia: lettera aperta ai decisori” predisposto dal Nexa Center for Internet & Society del Politecnico di Torino e da alcuni costituzionalisti come il professor Davide De Lungo dell’Università San Raffaele. Nella risoluzione che abbiamo presentato, abbiamo chiesto al governo di disciplinare la materia con norme di rango primario visto che si vanno a limitare libertà costituzionalmente garantite, elaborando una disciplina che sia conforme ad alcuni principi irrinunciabili: volontarietà, unicità, temporaneità, trasparenza, verificabilità, sicurezza e decentralizzazione delle tecnologie e degli approcci.
Come più volte ribadito anche in questa sede, imprescindibile subordinare l’istallazione e l’utilizzo della app al consenso dell’utente. Precisando che per garantire la reale libertà e quindi la validità del consenso, questo non deve risultare in alcun modo condizionato, né a limitazioni per chi non lo presti e non scarichi la app, e nemmeno a forme di premialità che prevedano per esempio di poter fruire o meno di determinati servizi o beni, come viene fatto in Cina.
Inoltre, va garantito che il tracciamento sia conforme ai più rigidi parametri di adeguatezza, ragionevolezza e proporzionalità. Il software delle tecnologie da adottare deve essere disponibile pubblicamente, con il codice sorgente completo e con licenza di software libero, e quindi liberamente verificabile. Si deve assicurare che la gestione della piattaforma e dei dati prodotti sia pubblica, trasparente e controllabile. Ed è profondamente sbagliato legare il tracciamento alle autocertificazioni online o a più o meno improbabili nulla-osta di circolazione che richiedono altre e diverse valutazioni di liceità del trattamento. La raccolta dei dati deve essere rigorosamente temporanea, e legata all’esigenza di scongiurare una nuova diffusione del virus entro orizzonti temporali ristretti e predeterminati. I dati raccolti, una volta esaurita la funzione e spirato il termine, vanno cancellati. Ci vogliono sanzioni per ogni ipotesi di violazione.
Si tratta di principi giuridici e costituzionali, e di condizioni di buon senso che nulla tolgono al pieno dispiegamento di una strategia sanitaria di contenimento del virus, ma che danno piena protezione alla tutela del cittadino e delle libertà che gli sono costituzionalmente garantite.
Se il governo intende dialogare con le opposizioni recependo questa impostazione di garanzia – tra l’altro, largamente condivisa nel Parlamento e nella società – ci sono tutte le possibilità per varare norme efficaci in un clima di collaborazione e concordia.
Viceversa, imponendo un colpo di mano a danno della privacy dei cittadini, si creerebbe una dolorosa ferita, con la cancellazione di tante conquiste negli ultimi venti anni. Di queste gravi conseguenze, il Governo e la maggioranza risponderebbero poi per intero al Paese.