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Il morbo di Baumol e l’appello per salvare la musica dal vivo

Da Ennio Morricone a Ezio Bosso, da Maurizio Pollini ad Antonio Pappano, da Riccardo Chailly a Daniele Gatti, da Emma Dante a Cecilia Bartoli e Damiano Michieletto, 30 grandi musicisti e artisti italiani chiedono al premier Giuseppe Conte di tornare in scena. Lo spettacolo dal vivo – scrivono nella lettera-appello, che in poche ore il pomeriggio del 28 aprile ha raggiunto oltre mille firmatari-  va equiparato al turismo nelle disposizioni che regoleranno la fase 2, con le stesse misure di sicurezza.

“Consapevoli dell’importanza di tutelare la sanità dei cittadini, chiediamo al governo, quando deciderà di riaprire i servizi turistici, come la ristorazione all’aperto e l’ospitalità alberghiera, di autorizzare anche lo svolgersi di manifestazioni artistiche all’aperto, con le stesse precauzioni sanitarie e di distanziamento sociale”, si legge nel documento, promosso dalla stampa musicale di settore (le riviste Amadeus, Classic Voice, L’Opera, Musica, Suonare News). Una richiesta corale che attraversa le generazioni, da Morricone alla giovanissima star del pianoforte Beatrice Rana: l’emergenza che ha costretto allo stop lo spettacolo dal vivo, sottolineano, “ha risvolti artistici, sociali e occupazionali gravissimi. E una pesante ricaduta anche nell’economia dell’indotto. Musicisti, attori, ballerini, registi, scenografi, personale artistico e tecnico si sono trovati all’improvviso nell’impossibilità di esprimersi e di lavorare. Al pubblico, privato dell’accesso a spazi che garantiscano diffusione culturale, è stato negato un diritto costituzionale”.

A questo punto “uno stop più lungo rischia di essere fatale per un comparto artistico che è da sempre un fiore all’occhiello dell’Italia e un punto di riferimento per tutto il mondo”. Infine, la richiesta al governo è di assicurare “a tutte le istituzioni di produzione e diffusione dello spettacolo dal vivo le risorse necessarie per affrontare questo periodo di transizione e di sostenere le forze artistiche. Nessun artista deve sentirsi escluso”.

L’appello va letto in un contesto più vasto – quello dell’economia della cultura e delle ari sceniche – nonché nel quadro de dibattiti in corso a livello europeo (lunedì 27 aprile si sono riuniti in video conferenza i ministri europei del Turismo) per tentare di coordinare una linea comune in vista dell’ormai imminente estate.

In primo luogo, pochi hanno notato che nelle arti e nello spettacolo dal vivo, il “morbo di Baumol” si aggiunge al Covid-19. Il “morbo di Baumol” prende nome dell’economista, William Baumol, che negli Anni Sessanta – proprio durante un anno passato in Italia, soprattutto a Roma – ha scritto un fondamentale trattato sul settore dimostrando che in un mondo di rapido progresso tecnologico, senza supporto pubblico (tramite sovvenzioni o sgravi tributari adeguati alle elargizioni filantropiche), il teatro e soprattutto, la lirica e la sinfonica, muoiono. I teatri tedeschi hanno sovvenzioni che coprono mediamente il 90% dei costi e sono sempre pieni grazie ad un “sottostante” diffuso, popolare ed attivo. Per l’Italia, dove 400 anni fa è nato il teatro in musica, ciò vuol dire una perdita pesante di patrimonio nazionale.

Il pericolo è serio: per la Scala un mese di chiusura vuole dire una perdita di un milione di incassi, a livelli analoghi i danni finanziari per altri teatri. Per non parlare dei festival estivi che rischiano di saltare, e con essi l’indotto che attivano. Si sono già levate varie voci in supporto della cultura e delle arti sceniche. Ad esempio, a metà aprile l’Anfols (organizzazione che riunisce le fondazioni lirico sinfoniche) ha lanciato un vero e proprio grido di dolore. L’Istituto Bruno Leoni, ente privato a supporto del libero mercato, ha tenuto due conferenze on line (una dedicata alla prosa, l’altra alla musica) per discutere cosa fare e come intervenire, anche in maniera legislativa. Un gruppo di intellettuali ha proposto un fondo per la cultura, a finanziamento sia pubblico sia privato. Difficile, però, reperire finanziamenti se per i prossimi due anni il Pil cala mediamente del 7%.

Il Sovrintende del Teatro dell’Opera di Roma, Carlo Fuortes ha lanciato la proposta di emissioni speciali di bonds. È un’idea, per quanto embrionale, che ha precedenti. Nell’Ottocento, gran parte dei teatri e della sale da concerto proprio in Italia sono stati finanziati da consorzi privati (i “palchettisti”) sia nella fase di costruzione sia in quella operativa (anche quando la gestione era affidata a “impresari”), mentre nel resto d’Europa erano, in gran misura, opera dello Stato. Dopo la seconda guerra, principalmente nel mondo di cultura germanica, sottoscrizioni di cittadini ed imprese contribuirono in modo essenziale alla ricostruzione ed al rilancio di teatri e sale da concerto in cui gli arcigni funzionari del Piano Marshall non avrebbero investito mezzo dollaro bucato.

L’idea merita di essere approfondita. Un gruppo bancario, oppure un consorzio di istituti, particolarmente sensibile alla cultura, potrebbe emettere obbligazioni speciali finalizzate a cultura e spettacolo dal vivo. Dovrebbero essere a lungo termine (anche a zero coupon per un certo lasso di tempo) oppure non redimibili e coniugare un rendimento di mercato con “privilegi” per abbonamenti ed acquisto di biglietti. Tuttavia, potrà prendere corpo solo nel medio periodo.

Per questa ragione, è essenziale che venga ascoltato l’appello delle cinque riviste musicali. Nell’immediato, non solo è essenziale consentire “a tutte le istituzioni di produzione e diffusione dello spettacolo dal vivo le risorse necessarie per affrontare questo periodo di transizione e di sostenere le forze artistiche” aprendo, in sicurezza, gli spettacoli dove ci sono luoghi adatti (specialmente all’aperto) ma anche dove non ci sono spazi congrui sostenere, con un contributo a valere sul Fondo Unico per lo Spettacolo, quelle strutture fisse (ad esempio, quelle di grandi festival di rilievo internazionale) la cui sopravvivenza stessa è minacciata. E quanto stanno facendo altri Stati europei: ad esempio, questa estate, il festival wagneriano di Bayreuth non potrà tenersi (e quello estivo di Salisburgo è ancora in dubbio) ma i rispettivi governi hanno preso misure per tutelare la strutture.

Lo spettacolo e le arti dal vivo sono, poi, assi portanti del turismo che nei 27 Paesi Ue dà lavoro a quasi 23 milioni di persone, l’11% del totale. Una stagione cancellata aprirebbe voragini nel Pil di numerosi Paesi, Italia inclusa, dove vale il 13%  del Pil e conta 4,2 milioni di occupati (dato 2019). Su queste cifre si misura la risposta dell’Unione. Serve un protocollo condiviso per contrastare gli accordi bilaterali, già in corso, fra le nazioni meno colpite che penalizzerebbero le destinazioni del nostro Paese.

Lunedì 27 aprile si sono riuniti in videoconferenza i ministri del Turismo dei 27 Paesi Ue per sentire le previsioni sui danni che la pandemia infliggerà al comparto e capire come reagire. I numeri li ha dati il commissario europeo al mercato interno, Thierry Breton: nel 2002 ai tempi della Sars i flussi si erano contratti dello 0,4, dopo la crisi economica del 2009 del 4% . Ora il Coronavirus causerà un crollo fra il 20 e il 30%.  Le imprese che rischiano il fallimento aspettano con ansia che almeno sia operativo il pacchetto Mes, Bei, Sure. Ma non basterà. “Per superare la crisi avremo bisogno di fondi senza precedenti — ha detto Breton —. Serviranno misure rapide, pragmatismo e creatività per ricostruire un’industria turistica resiliente e sostenibile. Questa crisi ci richiama alla solidarietà. Nessuno Stato può uscirne da solo”.

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