Is China Winning? Sono trascorsi solo due mesi da quando, nel mezzo della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha scandito tre parole che hanno fatto il giro del mondo: “West is Winning” (“L’Occidente sta vincendo”). Un monito a Pechino: che sia una nuova Guerra Fredda o una semplice competizione su più fronti, tecnologico, culturale, commerciale, gli Stati Uniti (e i loro alleati) non vogliono cedere il passo alla Cina nello scacchiere internazionale. Due mesi dopo, la pandemia globale del coronavirus e la corsa all’egemonia geopolitica che ha innescato rischia di cambiare radicalmente le carte in tavola. Con una copertina destinata a restare negli anni, l’Economist si pone la domanda del momento: “La Cina sta vincendo?”. Formiche.net lo ha chiesto ad alcuni fra i maggiori esperti italiani di relazioni internazionali.
ENRICO FARDELLA, PEKING UNIVERSITY
Il Covid ha amplificato le fratture già esistenti nel sistema internazionale create dal decoupling tra Cina e Stati Uniti. La contesa sul virus riflette una battaglia più ampia sugli standard globali, ieri pubblicizzata dalle contese sul 5G e oggi estesa alla salute, e quindi all’individuo e alle sue libertà. Sarà dunque la sicurezza, la difesa dei valori su cui si fonda la sua percezione, a filtrare tempi e modi delle nuove esigenze di connettività? Se cosi accadrà allora i profili della globalizzazione che hanno garantito fino ad oggi il successo di Pechino verranno rivisti e richiederanno un approccio profondamente diverso da parte cinese: più public goods e senso di responsabilità e meno profitti mordi e fuggi. La Health Silk Road rappresenta già un’evoluzione in tal senso. Ma non penso che si configuri immediatamente in una vittoria della Cina. La strada è ancora lunga. Ritengo invece che in un mondo che tende a chiudersi in regionalismi in attesa di una nuova globalizzazione più sostenibile, questa riedizione della Guerra Fredda tra Washington e Pechino potrebbe risolversi in una nuova primavera delle forze intermedie, e quindi, se ne saremo capaci, in un nuovo risorgimento europeo.
FRANCESCO SISCI, CHINA’S PEOPLE UNIVERSITY
L’Economist pone un punto vero: il Virus è vissuto di fatto come un’arma di guerra. La guerra in atto era la seconda Guerra Fredda tra Usa e Cina, già in atto prima dell’epidemia e accelerata oggi. In una guerra c’è quindi chi vince e chi perde. Negli Usa si pensava di vincere questa guerra con facilità, ora invece si è visto che la Cina ha reagito e sta assestando colpi non banali. Pechino è riuscita a controllare l’epidemia mentre Europa e America sono in uno stato di grande confusione. È quindi la sconfitta americana? È certo una sconfitta americana. Ma ricordiamoci che le guerre sono lunghe. Nel dicembre del 1941 a Pearl Harbor i giapponesi sembravano avere atterrato l’America, ma meno di un anno dopo nella battaglia delle Midway gli Usa invertirono la situazione. Inoltre c’è anche da pensare a un altro esempio. A ottobre del 1950 le forze americane e sudcoreane avevano riconquistato quasi tutta la penisola coreana, ma a dicembre intervennero i cinesi e in un paio di mesi gli Usa persero quanto avevano guadagnato e si attestarono sul 38° parallelo in una situazione di parità. Da qui due domande. Uno: dove siamo oggi nella storia, a Pearl Harbor o al 38° parallelo? Due: c’è modo di cambiare radicalmente la logica di guerra che ci sta pervadendo? In questo forse la Santa Sede potrebbe essere di aiuto.
ARTURO VARVELLI, SENIOR POLICY FELLOW, ECFR
Apparentemente la risposta è si. La Cina sembra vincitrice se guardiamo agli effetti negativi economici: molto contenuti quelli in Cina che continuerà a crescere, disastrosi per europei e Stati Uniti. Se guardiamo anche alla percezione della Cina in Europa notiamo come questa non venga accusata di essere responsabile della propagazione della pandemia a causa di una risposta perlomeno tardiva, ma anzi viene spesso vista come ancora di salvezza per la disponibilità di materiale sanitario e per aggrapparsi a un futuro partner economico. Tuttavia i giochi non sono chiusi. Gli effetti a livello globale non sono ancora pienamente valutabili e la Cina, come tutti noi purtroppo, rischia una seconda ondata. Gli effetti politici e sociali di questa crisi emergeranno solo nei prossimi mesi. Quel che appare più chiaro è che Cina e USA potrebbero accrescere la loro rivalità. La pandemia più che mutare il sistema globale sembra un acceleratore di dinamiche pre-esistenti.
GERMANO DOTTORI, LUISS GUIDO CARLI
Covid-19 non ha interrotto la competizione geopolitica in atto fra le maggiori potenze. Sta accelerando alcune tendenze di fondo che erano già presenti, come ha sostenuto Richard Haas, anche se non si può escludere che si producano delle deviazioni dal percorso che si intravedeva, cosa che dà ragione anche a Kissinger. Si lotta con gli aiuti sanitari, ma è più importante l’alterazione dei rapporti di forza relativi, che viene perseguita dai più forti accorciando e riducendo l’estensione delle quarantene. Si stanno producendo trasferimenti di ricchezza tra Stati e territori, i cui effetti sono già palesi. Tornando alla copertina dell’Economist, è presto per concludere che la Cina abbia vinto. Sembra invece oggi più credibile l’ipotesi di un decoupling tra gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare, che imporrebbe la restaurazione del bipolarismo anche in campo economico. I mercati considerano ormai possibile una vera e propria biforcazione che riguarderebbe anche gli standard. La differenziazione dei protocolli sul 5G potrebbe annunciarne di altre. Circostanza che imporrà evidentemente delle scelte di campo.
ALESSIA AMIGHINI, CO-HEAD ASIA CENTER, ISPI
La tragedia sanitaria ed economica in corso conferma due grandi tendenze che caratterizzano la Cina di Xi dal 2013. Una è quella di nutrire una narrativa autoreferenziale sulla crescita della Cina come una grande potenza economica e politica responsabile, immagine funzionale ad aggregare sempre più consenso internazionale tra i paesi che ormai ne sono più o meno dipendenti, consenso che serve anche per dettare l’agenda internazionale nel G20 e negli organismi internazionali. Il comportamento interno alla dirigenza cinese in occasione dell’epidemia scoppiata ufficialmente già a novembre 2019 mostra quanto poco responsabile sia in realtà il governo cinese alla prova dei fatti, al di là delle parole. Il mondo sta pagando un costo umano, sociale ed economico di dimensioni gigantesche, ma il prossimo passo sarà quello di chiedere conto alla Cina del costo politico (che per ora solo Trump ha avuto l’ardire di esprimere). Una seconda tendenza è il tentativo di mostrarsi benevoli elargendo aiuti, in questo caso di presidi medico-sanitari, di cui la Cina è grande produttore mondiale, semplicemente perché si tratta o di prodotti a bassissimo valore aggiunto oppure di macchinari che le aziende estere hanno iniziato a produrre sul territorio cinese. Al di là del fatto che esportare questi prodotti per chi li produce non è assimilabile a un dono, sostenere che aver firmato l’MoU sulla Bri, anche per l’Italia, oggi porta i suoi frutti tangibili, non fa altro che confermare l’intento divisivo delle relazioni estere cinesi orchestrate sotto il cappello romantico della Via della Seta. A tal proposito la pandemia ha riportato alla ribalta anche il vecchio tema degli standard di qualità dei prodotti cinesi esportati nel mondo. Sfortunatamente, un numero non trascurabile di mascherine si è rivelato inferiore agli standard, e diversi dispositivi cinesi non conformi agli standard sono stati segnalati nell’Ue.
STEFANO PELAGGI, LA SAPIENZA, GEOPOLITICA.INFO
La Repubblica popolare cinese sta vincendo la battaglia nel dibattito pubblico. Uno degli obiettivi di Pechino è la polarizzazione del dualismo USA – Rpc, il ritorno a un bipolarismo stile Guerra Fredda con sostenitori di una delle due parti è uno scenario favorevole per il Partito comunista cinese. Con questa modalità Pechino riesce ad affermare l’idea di un ordine mondiale bipolare, una dinamica assolutamente lontana dai reali equilibri strategici e geopolitici che rimangono prioritari rispetto a quelli economici per stabilire il primato egemonico. La Cina sta invece perdendo la partita più importante per la sua sopravvivenza. Il primato economico, e la continua crescita del Paese, che è alla base sia dell’implicito patto tra la popolazione cinese e il Pcc sia della legittimazione internazionale della Rpc. Gli stimoli economici finora pubblicizzati da Pechino sembrano irrisori rispetto alle misure adottate dagli altri Paesi europei, addirittura ridicoli di fronte all’impegno statunitense. L’inevitabile calo dei consumi mondiali avrà delle ripercussioni molto gravi sull’economia della Rpc e i consumatori cinesi, impoveriti dalla crisi e con una forte tendenza al risparmio in periodi difficili, non sembrano in grado di poter sostenere il mercato interno. L’idea che la Cina potrà ripartire prima degli altri Paesi, dopo aver archiviato l’epidemia, non tiene conto della grande dipendenza dell’economia cinese dai mercati occidentali.
GABRIELE NATALIZIA, LA SAPIENZA, GEOPOLITICA.INFO
È troppo presto per dare una risposta. Certo è che se a inizio marzo la Cina sembrava stesse subendo un duro colpo di immagine dall’emergenza Coronavirus, poi ha dimostrato di essere un abile giocatore nella dimensione del soft power (o propaganda). Ha infatti ribaltato la narrazione sia sull’origine della pandemia (da morbo originato a Wuhan a morbo “globale”) che sulla sua gestione (dal modello cinese come problema al modello cinese come soluzione). Anche l’amministrazione Trump si sta confrontando con questa domanda. Per tale ragione non ha perso occasione per ribadire il concetto del “Chinese virus” e ha ordinato alla Cia di indagare sul “laboratorio di Wuhan”.