Sviluppare forme di comunicazione coerenti con la compliance richiamata in modo sempre più stringente dal legislatore sia nel settore privato che in quello pubblico è l’obiettivo principale che si prefigge questo volume. L’esperienza ci dice che organizzazioni più pulite, oneste e trasparenti rimuovono anzitutto al loro interno gli spazi di opacità perché è in un ambiente segnato da scarsa trasparenza e intricate procedure che trovano terreno fertile sia odiati fenomeni corruttivi sia casi di gravissime inefficienze e inadempienze nei confronti dell’incolpevole cittadino.
Portare ordine e chiarezza, in una parola trasparenza, all’interno della macchina statale vuol dire quindi risolvere due ordini diversi di problematiche, una legata al rispetto della legalità, l’altra alle risposte che la società ha il diritto di ricevere dalle amministrazioni pubbliche. Ho colto con estremo piacere dunque l’invito a firmare la prefazione a questa pubblicazione, perché ne condivido scopo e presupposti: l’intenzione del manuale scritto da un comunicatore e da cinque avvocati, Andrea Camaiora, Antonio Bana, Elisabetta Busuito, Edoardo Belli Contarini, Carlotta Campeis e Cosimo Pacciolla, è proprio fornire agli operatori del settore riferimenti, modelli, buone pratiche che sostanziano quella che Camaiora chiama “Comunicazione trasparente” e che riflette in gran parte le intuizioni raccolte nella direttiva 74/2002.
Tra i meriti di questo libro c’è infatti sicuramente aver riscoperto questa direttiva, emanata dal ministero della Funzione Pubblica durante gli anni della mia guida del dicastero, specificamente rivolta all’attività di comunicazione delle pubbliche amministrazioni. Il testo voleva essere un’importante quanto fondamentale tappa di un progressivo disboscamento delle ampie fronde della burocrazia statale, un’opera di riordino che non può prescindere da un uso del linguaggio esperto, misurato, sapiente, efficiente ed efficace, ma anzitutto comprensibile.
Ormai 18 anni fa, per tentare di penetrare più a fondo la cortina che circondava le pubbliche amministrazioni, inventammo anche il progetto Chiaro!, finalizzato ad offrire agli uffici tutti gli strumenti utili per implementare flussi comunicativi e utilizzo delle parole negli atti e nei documenti, interni ed esterni. Era il tentativo di rifondare il linguaggio amministrativo, in linea con gli altri grandi Paesi occidentali.
Da questa visione nacque quella direttiva, dunque, che per la prima volta elencò vere e proprie regole di comunicazione e di struttura giuridica: regole di scrittura del testo pratiche e concrete, non più semplici indicazioni e raccomandazioni. Il ministero della Funzione Pubblica volle in questo modo dare attuazione a quanto già espresso in una legge, la n. 150 del 2000, predisponendo così un’opera di semplificazione e chiarificazione dei protocolli comunicativi in uso presso le pubbliche amministrazioni e che si inserisce nel solco di altre innovazioni legislative nel campo della PA di cui vado orgoglioso.
Obiettivo dichiarato di queste iniziative è sviluppare le relazioni tra i cittadini e istituzioni, potenziando e armonizzando i flussi comunicativi interni ed esterni alle PA: è del resto un diritto riconosciuto quello ad una efficace azione comunicativa dell’amministrazione. A partire dalla l. 150/2000 e poi dalla direttiva n. 74 del 2002 si inizia a parlare finalmente di comunicazione pubblica non come qualcosa di superfluo, di un vezzo, ma come di un tassello fondamentale al pari dei dipartimenti di relazioni esterne nelle imprese private.
Grazie alle linee guida offerte dalla normativa e dalla direttiva in questione, le pubbliche amministrazioni possono quindi puntare a implementare la propria visibilità e la propria immagine. Il testo della 74/2002 si inseriva nel solco di una serie di riforme: dal federalismo fiscale alla semplificazione della PA.
Con il combinato disposto della direttiva e delle altre leggi che influenzano il settore si sarebbe sviluppata una coerente politica di comunicazione integrata su tutti i livelli, sia nei confronti dei cittadini che nei confronti delle imprese. Come già scrivevo nella premessa della direttiva, questa “si propone di contribuire al perseguimento, da parte delle pubbliche amministrazioni, di alcune finalità” tra le quali spiccano la “gestione professionale e sistematica dei rapporti con tutti gli organi di informazione”, la “realizzazione di un sistema di flussi di comunicazione interna incentrato sull’intenso utilizzo di tecnologie informatiche e banche dati” e “l’ottimizzazione, attraverso la pianificazione e il monitoraggio delle attività di informazione e comunicazione, dell’impiego delle risorse finanziarie”. Nel testo si stabilisce anche che “la formazione, oltre ad avere il compito di professionalizzare le risorse umane, dovrà essere la leva primaria per rendere omogeneo il livello di preparazione e la capacità del personale impegnato nella comunicazione pubblica”.
Scopi della direttiva furono quindi quelli di garantire trasparenza nell’informazione della PA, pubblicizzando atti, documentazioni e processi utili, col vantaggio di ottimizzare l’efficienza e l’efficacia del servizio reso alla cittadinanza.
La semplificazione dei linguaggi amministrativi, la “Comunicazione trasparente”, pilastri di compliance che vanno incontro a una rivoluzione nel modo di intendere e attuare i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione. Una rivoluzione però ancora difficile da raggiungere pienamente. L’intero sistema è affetto da un morbo cronico che distorce il linguaggio stesso, producendo un idioma parallelo al nostro, fatto di inutili giri di parole, vocaboli complessi, formalismi superflui. Se le neolingue – avvocatese, burocratese, tecnichese – continuano a sopravvivere è perché negli uffici di tutta Italia si continuano a copiare schemi e modelli sempre uguali, anche negli errori o nelle ipertrofie linguistiche, con l’erronea convinzione che la complessità del testo sia essa stessa condizione necessaria e sufficiente per conferirgli validità. Nulla di più sbagliato.
Una amministrazione pubblica a misura di cittadino sarà possibile solo quando i modelli e le strategie comunicative delle istituzioni verranno adeguati alle esigenze di un mondo ormai velocissimo, di un mercato estremamente dinamico, di una società in continua fibrillazione. Perciò è e sarà sempre più importante fornire una formazione di qualità a tutti gli operatori, programmando inoltre ruoli specializzati e collaborazioni con professionisti qualificati.