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Ecco la rivoluzione della comunicazione trasparente. L’analisi di Camaiora

Da comunicatori affronteremo un argomento che consideriamo centrale, ma che manager e avvocati potrebbero considerare lezioso, quando non addirittura ridicolo: in materia di trasparenza semplificare il linguaggio con il quale si comunica per essere compresi dai nostri interlocutori è un pilastro, il primo ed essenziale e anche il più trascurato perché banalmente sottovalutato. Eppure è intuitivo: pensiamo di trovarci di fronte un’azienda straniera che nel nostro Paese comunichi nella propria lingua ad altissimi livelli di trasparenza, fornendo con dovizia di particolari ogni elemento riguardante gare, procedure, requisiti ma lo faccia in tedesco, arabo, russo o cinese. Su quale piano dovremmo valutare la trasparenza, quello della espressione dei concetti e delle informazioni oppure quello della comprensione e apprendimento degli stessi?

Il primo livello di trasparenza, dunque, consiste nella comprensibilità piena degli atti, che secondo i principi della Comunicazione trasparente si sostanzia attraverso una revisione dei testi capace di superare tecnicalità superflue, autoreferenziali e concettualmente fuorvianti, per giungere alla stesura di regolamenti, bandi, offerte che siano realmente accessibili a tutti.

Da qui, la necessità di una comunicazione chiara senza che essa risulti distorta o amputata nel proprio significato dall’esercizio di semplificazione. A ciò servono comunicatori qualificati e specializzati, operatori della comunicazione e dell’informazione esperti in Comunicazione trasparente.

Quella della semplificazione dei linguaggi giuridico-amministrativi per il settore pubblico e privato non è intuizione di chi, ma un preciso obiettivo, fissato dal dipartimento della funzione pubblica ben 17 anni fa con la “Direttiva Frattini” destinata a tutte le pubbliche amministrazioni e intitolata precisamente “Direttiva sulla semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi”.

Essere trasparenti significa anzitutto essere comprensibili e dunque parlare o scrivere in un linguaggio semplice, non eccessivamente articolato, diretto, utilizzando vocaboli di origine italiana, parole intere e non abbreviazioni, spiegazioni brevi e chiare quando si ricorre a formule tecnico specialistiche. Accessibilità e immediatezza nella comunicazione passano anche attraverso un’attività di editing capace di aiutare il lettore a individuare i concetti principali e a separare o unire i passaggi fondamentali di un testo.

A tal fine, è utile badare anche al modo di presentare i documenti: rifuggire da testi scritti in carattere 11 di qualsivoglia font, senza mai una riga a capo, senza un sottolineato, un neretto, un corsivo. Per contro, come sempre, il troppo stroppia: che senso ha, dunque, un testo presentato il 75% in grassetto?

E ancora: utilizzare i verbi in forma attiva e affermativa rende la lettura più rapida, rendere esplicito il soggetto e ripeterlo quando è necessario aiuta a non perdere il filo del ragionamento, usare in modo coerente maiuscole, minuscole e punteggiatura, evitare neologismi, parole straniere e latinismi.

Più in generale, superare burocratese, tecnichese e legalese significa rimuovere le opacità collegate a proposizioni di questo tipo “Tali posizioni sono da identificare non tanto in diritti irrefragabili, il cui esercizio prescinde dall’adozione di atti permissivi dell’amministrazione, ma in situazioni giuridiche suscettibili di trasformazione a seguito di atti di tipo suindicato” e modificarle, ad esempio, così: “I cittadini che vogliono iniziare un’attività devono chiedere un’autorizzazione alle amministrazioni competenti”. In questo senso, la Comunicazione trasparente rappresenta un potente strumento di Compliance come implementazione dei Modelli 231, nel settore privato, e dei PTPC, in quello pubblico.

Le parole del grande linguista Tullio De Mauro, pensate per la PA, valgano anche per i privati: “Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite: proprio per questo, diceva un filosofo, gli dei ci hanno dato una lingua e due orecchie. Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori. È un maleducato, se parla in privato e da privato. È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante, un dipendente pubblico, un eletto dal popolo. Chi è al servizio di un pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire”.



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