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Con la Cina serve cooperazione e verità. L’auspicio di Civiltà Cattolica

L’articolo che il gesuita Benoit Vermander firma su La Civiltà Cattolica su “La Cina e il Covid-19” è un contributo importantissimo per sintesi, ricostruzione giornalistica, analisi sociale e lettura geostrategica. Quattro caratteristiche che ne fanno un contributo prezioso per tutti davanti a un problema che, importante nell’oggi, sarà decisivo per il domani. Il punto cruciale, che condurrà alla conclusione cui padre Vermander giunge e che vedremo alla fine può essere riassunto così: “Alcune domande non scompariranno facilmente: quelle sull’origine del virus e sulla sua gestione dei primi giorni; quelle sulla veridicità delle stime fornite durante il periodo del confinamento di Wuhan; quelle sul modo in cui la Cina affronta le conseguenze della pandemia per impegnarsi in una gestione clientelare dei suoi interessi Paese per Paese, o decide piuttosto di intraprendere un cammino più globale e generoso. La Cina deve comprendere che il modo in cui affronterà tali questioni influenzerà radicalmente le sue relazioni con l’Europa e il resto del mondo. Eppure sarebbe pericoloso e irresponsabile pretendere di ostracizzare questo Paese. La ricerca di possibili punti di convergenza e cooperazione è assolutamente essenziale, come pure non si deve rinunciare a «dire la verità».” Le ombre, i timori sono evidenti, ma sono soprattutto i pericoli che vanno capiti e quindi vale la pena di seguire la ricostruzione e l’analisi di padre Benoit Vermander dall’inizio. L’avvio dell’articolo però ci raccomanda di capire la Cina come un laboratorio, visto che è stata colpita per prima e per prima ha cercato il ritorno alla normalità. Questo doppio primato la rende un caso di studio per tutto il mondo.

“Nel mese di dicembre 2019 gli operatori sanitari di Wuhan – una città di 11 milioni di abitanti, capitale della provincia di Hubei – devono affrontare a poco a poco il manifestarsi di una polmonite virale che non risponde alle cure abituali. Notano che molti pazienti lavorano nel mercato alimentare di Huanan, le cui condizioni sanitarie sono a dir poco problematiche. Il 31 dicembre le autorità nazionali avvisano l’ufficio di Pechino dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) del possibile scoppio di un’epidemia. Il 1° gennaio 2020 il mercato viene chiuso, ufficialmente per la ristrutturazione, e l’area viene disinfettata”. Siamo alla drammatica vicenda dell’oftalmologo che finisce nei guai per aver dato l’allarme su We Chat dopo aver capito tutto grazie alla direttrice dell’ospedale di Wuhan.

“Il 3 gennaio l’Ufficio di Sicurezza di Wuhan gli invia una lettera di rimostranze e poi gli fa firmare una dichiarazione in cui riconosce di aver diffuso voci infondate e di dover astenersi dal farlo, a rischio di sanzioni più severe.” Colpito dal virus il 10 gennaio, il 31 pubblica un resoconto dei problemi che ha avuto con la polizia. Il 7 febbraio lui muore; e si scatena la collera. “Il governo istituisce una commissione d’inchiesta sulla gestione dei primi giorni dell’epidemia. Il giovane oftalmologo riceve una riabilitazione postuma e diventa un eroe comunista, devoto alla causa del popolo”. È uno snodo cruciale per capire l’analisi socio-politica di padre Vermander. Per prima cosa ricorda che il confinamento a Wuhan ha funzionato per un dato strutturale proprio della Cina urbana: “Un po’ ovunque, residenze di diversa dimensione e status sociale hanno il loro spazio ben delimitato da un recinto; l’ingresso è sorvegliato da guardie; un comitato di quartiere diffonde le istruzioni ufficiali”.

Dunque recinzioni, guardie, comitati di quartiere. Poi c’è la scelta scientifica: “Inizialmente colto alla sprovvista, lo Stato si è poi impegnato a diffondere un’immagine ‘scientifica’ e metodica: quella di un’organizzazione in grado di gestire da sola una crisi che, come è stato riconosciuto da Xi Jinping, mette alla prova il modello stesso di governance cinese. Allo stesso tempo, ha trovato un nuovo campo di applicazione per le tecniche di controllo sociale sviluppate metodicamente negli ultimi anni: il riconoscimento facciale aiuta a rintracciare e a identificare i trasgressori; essi vengono inseriti nella lista nera legata al sistema del «credito sociale», che ora è più o meno operativo; vengono usati droni per avvisare le persone sbadate o i refrattari a indossare una mascherina; vengono utilizzati robot muniti di sensori per avvicinarsi alle persone che potrebbero essere infette; e viene introdotto un sistema di codice QR per tenere traccia dei movimenti e per poter entrare nei luoghi pubblici”.

Sconvolta, anche la popolazione cinese è stata invasa da voci e ricostruzioni tra le più disparate. Complottismo, guerra batteriologica americana, si è arrivati anche a ipotizzare un’origine italiana del virus. Comunque queste voce, sottolinea l’autore, corroborano un’esigenza: affermare che il virus “non è cinese”. È l’altro virus, quello nazionalista, che si rafforza. Emergono però differenze: tra le reazioni dei vecchi, che “riscoprono i riflessi del reclutamento sociale e politico conosciuto in gioventù” e i giovani d’oggi, che oscillano tra rabbia e apatia. L’altra differenza è quella tra Cina sviluppata, ricca, efficiente, che può fronteggiare la sfida, e quella delle regioni svantaggiate.

Ma il Paese ha bisogno di “compattezza”, e il nazionalismo lo alimenta con il messaggio dell’ingratitudine mondiale davanti all’aiuto che la Cina offre al resto del mondo. E ora? “Anche se il desiderio di informazioni più trasparenti, meno manipolate, continuerà a manifestarsi (apertamente o in sordina), la Cina non è davvero pronta a cambiare il suo modello ‘meritocratico’. La governance politica e la legittimità tecnocratica dei dirigenti hanno assunto un’aura ‘scientifica’. Gli interventi diretti della società civile nelle questioni veramente importanti sono diventati ancora più difficili da prevedere. Ma la pandemia porterà a un rafforzamento del controllo sociale e dei sistemi tecno-politici associati. Si potrebbe ovviamente immaginare che la crisi provochi nella leadership forti divisioni. Tuttavia, anche se la massa dei cittadini tornerà alle preoccupazioni della vita quotidiana, una parte della popolazione rischia di uscire da questa lotta tollerando ancora meno di prima la pressione dello Stato. Se si verificherà un tale fenomeno, la sua intensità non basterà senz’altro per imporre riforme durature; tuttavia dovrebbe essere sufficiente per accrescere tensioni, certamente circoscritte, ma che si manifestavano già prima dell’epidemia”. La ripresa economica impone al governo di contenere la disoccupazione, una cui impennata sarebbe destabilizzante e così è facile prevedere investimenti pubblici, incoraggiamento ai consumi e riorientamento delle imprese verso il mercato interno. Ed eccoci al rapporto della Cina con il mondo. Il metodo classico nell’articolo viene presentato come “nuovo sistema tributario”.

Il sistema tributario classico, spiega l’autore, risale ai tempi della dinastia dei Qing: concedere favori a chi si riconosce tributario della Cina. E il nuovo sistema tributario? “Tali favori oggi possono includere investimenti, acquisti preferenziali, aiuti tecnici, supporti diplomatici e così via, a condizione che lo Stato ricevente si allinei a livello diplomatico con Pechino. Nel primo decennio di questo secolo, il sistema era ancora in gran parte limitato all’ambito regionale della Cina; oggi si è diffuso in tutto il mondo. Le ‘nuove vie della seta’ hanno reso sistematico l’uso di tale strumento, e saranno molti i Paesi che, a causa dello shock economico e sanitario, richiederanno questo tipo di sostegno”.

È chiaro che se la filosofia politica che ispirerà Pechino sarà quella che la miglior difesa è l’attacco i negoziati mondiali non porteranno lontano. Il quadro è quello indicato all’inizio. Ma l’auspicio, la considerazione finale è chiarissima: “L’Europa dovrà cercare di avviare con la Cina e con gli altri attori globali un processo che rifondi le basi della cooperazione internazionale di fronte ai pericoli che minacciano l’umanità, comprese le pandemie. Questo processo esigerà che la verità sia cercata ed espressa, ma richiederà anche di guardare al futuro, di coltivare un senso di responsabilità condivisa e di trarre tutte le conseguenze da un fatto la cui realtà è entrata nella nostra carne: l’umanità è davvero accomunata da uno stesso destino”.


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