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Non solo coronavirus. Ecco come l’autoritarismo dilaga in Ue

In Unione europea si parla praticamente solo, e certo a buon diritto, dell’emergenza Covid-19. Il problema è che, se continua così, una volta sconfitto il morbo, ci troveremo a fronteggiare una situazione ben peggiore, persino più subdola e strisciante di quella con cui abbiamo a che fare ora: quella democratica.

È proprio nelle situazioni più nevralgiche che si sente il bisogno di essere guidati da una personalità forte, autorevole, capace di farsi valere in sede internazionale. Il problema è che molto spesso queste personalità e i loro rispettivi partiti/cerchi magici, da autorevoli si trasformano in autoritarie.

Qualcuno potrà pensare che stia esagerando e che il mio sia solo allarmismo di un’europeista troppo convinta, ma le prime avvisaglie ci sono già. E, una volta accesa la miccia, alimentarla è molto più facile di quanto sembri.

In Ungheria, non più di due settimane fa, il Parlamento ha assegnato al premier Viktor Orbàn poteri molto più ampi di quelli previsti dalla sua carica. Il tutto per contrastare l’emergenza coronavirus. Il problema è che, in grazia della lotta alla pandemia, il capo del governo di Budapest ora può andare avanti da solo su qualsiasi legge senza il consenso dell’assemblea, può sciogliere la Camera e anche indire nuove elezioni. Orban è lo stesso premier che ha fatto costruire il primo muro per migranti nel cuore dell’Europa. Il ministro della giustizia Varga ha spiegato che si tratta di una misura momentanea per contrastare una situazione eccezionale come quella dell’epidemia, che al momento nel Paese conta circa un migliaio di contagiati e 70 decessi. Ma dopo quello ci saranno le misure economiche da adottare per tornare a una vita normale e non si sa per quanto tempo ancora Orban potrà esercitare questi super poteri.

Il caso ungherese ha fatto rapidamente scuola. Questa settimana un altro primo ministro, seppure in modo più soft, ha rafforzato il suo mandato, secondo alcuni giuristi aggirando in modo piuttosto palese la Costituzione locale. Si tratta di Ivan Janša, tornato a fare il capo del governo lo scorso marzo e che guida il Partito democratico sloveno, che nel Paese balcanico ha orientamento di centro destra. Janša si è messo a capo di una speciale unità di crisi per la gestione dell’emergenza che potrebbe aumentare, e di parecchio, le sue deleghe, con particolare riguardo al controllo delle forze di sicurezza. Intanto il primo ministro messo nel team suoi fedelissimi, fra cui persone provenienti dagli ambienti di estrema destra e sta cercando di estendere i suoi margini di manovra nel modo più veloce possibile.

Non c’è il due senza il tre e questo, per le dimensioni del Paese rischia di essere il più pericoloso di tutti. In Polonia, il prossimo 10 maggio si andrà comunque alle elezioni presidenziali, nonostante anche questo Paese sia sempre più alle prese con l’emergenza Covid-19. La data delle consultazioni è stata confermata dopo una rocambolesca votazione notturna, dove Jaroslaw Kaczynski, leader di Diritto e Giustizia, il principale partito della coalizione di centrodestra, ha fatto di tutto per chiudere la faccenda nel più breve tempo possibile. Questo gli ha evitato le presidenziali in autunno e garantire ancora due anni in sella all’attuale capo di Stato, Andrzej Duda, suo compagno di partito. Ma ha anche provocato una frattura all’interno della coalizione di governo, con il vicepremier, Jaroslaw Gowin che si è dimesso. Se il governo non dovesse reggere, la Polonia sarebbe il primo Paese senza esecutivo in piena emergenza Covid-19. E a quel punto nessuno sa cosa possa succedere.

Stati di emergenza, forzature della Costituzione, votazioni alla garibaldina sotto le mentite spoglie dell’emergenza sanitaria per nascondere un nemico che ancora troppi non vogliono vedere: una crescente voglia di autoritarismo.


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