I video di migranti africani maltrattati, sfrattati e rifiutati dagli alberghi in Cina stanno mettendo a rischio i rapporti tra Pechino e i Paesi africani, fondamentali per l’espansionismo del Dragone. In questi giorni gli ambasciatori cinesi in Africa hanno un gran da fare, convocati dai ministri degli Esteri di molti Paesi: come racconta Quartz, il Ghana, la Nigeria, il Kenya e l’Uganda – oltre che la Commissione dell’Unione africana – hanno chiesto spiegazioni al governo cinese.
“Non so dove dormirò stanotte”, dice un uomo del Ghana in un video in cui si vedono bagagli sparsi per la strada. “Siamo nigeriani, ugandesi e ghanesi. Ora siamo bloccati”. In un altro video si vede una persona dire “ci stanno inseguendo, stiamo solo camminando sulla strada”, mentre si sente dire da chi filma “non ci danno case, alberghi… Non ci vogliono da nessuna parte”. Sabato la prima pagina del quotidiano keniano Nation titolava: “I keniani in Cina: salvateci dall’inferno”.
La Cina – compresa la città di Wuhan, epicentro regionale e mondiale del coronavirus – sta cercando di tornare alla normalità nonostante i dubbi sulla veridicità dei dati ufficiali sollevati anche dal presidente statunitense Donald Trump. Questa settimana, però, cinque nigeriani sarebbero risultati positivi al Covid-19 nella città di Guangzhou, la meta principali dei voli provenienti dall’Africa e centro dei rapporti tra la Cina e il Continente nero – tanto che il distretto degli affari è stato ribattezzato Piccola Africa. Secondo il Global Times e altri media del regime e del Partito comunista cinese, i cinque non avrebbero rispettato la quarantena, si sarebbero recati in un ristorante e avrebbero infettato il proprietario, che avrebbe poi trasmesso il virus a sua figlia di otto anni. È da questo episodio dai contorni ancora tutti da chiarire, scrive Quartz, che è montata l’ondata di sentimento antimigranti in città. “Ho dormito sotto un ponte per quattro giorni senza cibo… Non riesco comprare cibo da nessuna parte, nessun negozio o ristorante mi servirà”, ha detto all’agenzia Afp uno studente di 24 anni dell’Uganda.
Per cercare di calmare le acque si è mosso con una dichiarazione ufficiale Lijian Zhao, portavoce del ministero gli Esteri di Pechino, il diplomatico che nei giorni scorsi aveva alimentato teorie del complotto attorno all’origine del coronavirus. Infatti, la Cina, nota Quartz, non può permettersi uno scandalo diplomatico basato sulle accuse di discriminazione, “soprattutto dopo essersi lamentata del linguaggio razzista attorno al coronavirus, che a volte è stato definito ‘virus di Wuhan’ o ‘virus cinese’”. Quindi, Pechino punta tutto sulle sue donazioni per levarsi di dosso le responsabilità e distogliere l’attenzione dall’origine del virus, continua la testata.
Ma la Cina non può permettersi neppure di perdere gli “alleati” africani, conquistati a suon di renminbi. Per diversi motivi, due in particolare. Il primo riguarda l’innovazione: il Continente nero, infatti, è da anni ormai il laboratorio della ricerca cinesi. Il secondo riguarda invece il solido consensus di Pechino nelle sedi del multilateralismo, a partire dalla Nazioni Unite: se i Pesi africani dovesse iniziare a prendere le distanze dalla Cina, il Dragone rischierebbe di perdere già in partenza scommesse secolari come il progetto di riforma di internet proposto da Huawei, China Telecom e China Unicom come rivelato dal Financial Times e analizzato da Formiche.