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Covid-19 e consumo dei media. E se la pandemia fosse un’opportunità?

L’emergenza Coronavirus sta agendo prepotentemente sul consumo dei media da parte degli italiani. Una domanda crescente sta alimentando un’offerta mediatica massiva, dalla programmazione delle televisioni al volume di traffico sui social.

Anche il consumo informativo digitale sta crescendo. Nell’analisi Audiweb, tra il 2 e il 22 marzo le variazioni medie dell’audience dei siti online hanno raggiunto un picco di +73,2% rispetto alle settimane pre-emergenza, con variazioni medie del tempo speso pari al +61% nella settimana tra il 16 e il 22 marzo e + 95% trascorso sui brand di news online.

Questo non avviene solo in Italia. In una recentissima analisi pubblicata sul sito del World Economic Forum si parla del consumo dei media ai tempi del Coronavirus. La ricerca è stata compiuta intervistando circa 4000 mila utenti della rete negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Gli intervistati coprono una platea che va dai 16 ai 64 anni di età.

Nel rapporto pubblicato oltre l’80% dei consumatori negli Stati Uniti e nel Regno Unito dichiara di consumare più contenuti dall’inizio della pandemia, con la televisione e i video online (YouTube, TikTok) a rappresentare i principali mezzi di comunicazione di tutte le generazioni e di tutti i generi.

Post Millenials e Millenials sono i principali consumatori di media online. Mentre ad usare di più i servizi tv in streaming, stampa online, e le dirette video sui social, sono i 30 – 50enni. Sempre nella ricerca il 68% dei consumatori ricerca online principalmente aggiornamenti sulla pandemia.

Tutti gli intervistati indicano nell’Oms e nei siti rispettivi governi le fonti di informazione più affidabili sull’epidemia. Le altre fonti godono di poca o pochissima fiducia da parte delle persone: in fondo alla classifica figurano le notizie condivise sui social media e le notizie pubblicate dalle riviste e dai quotidiani.

Siamo di fronte a un cambiamento dei consumi informativi interessante e sarebbe sbagliato considerarlo solo momentaneo. Piuttosto ci interroga in quale direzione si svilupperà nei prossimi mesi una società pienamente digitale.

Marie Rosenkranz sul sito dell’Alexander von Humboldt Institute for Internet and Society ha scritto un pezzo molto interessante. Secondo la ricercatrice, il Coronavirus e la quarantena stanno facendo emergere non solo nuovi strumenti e pratiche sociali basate su internet, ma quelle che già esistevano stanno assumendo un ruolo sociale fondamentalmente nuovo.

Quest’attivazione della società digitale pone anche una domanda politica: spesso abbiamo parlato delle promesse non mantenute di internet, come l’accesso libero e paritario alla conoscenza. E se la pandemia fosse un’opportunità per riattivare questa possibilità? Come dice Rosenkranz: “Il Corona virus ci insegna il concetto di contingenza: non c’è nulla che non possa essere cambiato. Le norme, le risorse e i modi di produzione si stanno muovendo a un ritmo vertiginoso. Stiamo assistendo a un periodo di creatività forzata eppure elettrizzante connettiva, e potremmo uscirne come una società digitale migliore”.

Sarà una società migliore, più consapevole, più informata e quindi più libera, a seconda di quale scelta faremo, ovvero da dove vorremo ripartire. Dall’eccesso normativo, regolatorio e censorio nei confronti del digitale, che – abbiamo già visto – non produce risultati? Oppure dalla centralità della persona, del cittadino-utente nei processi politici, economici e sociali che la rete ha generato e genererà in futuro? A me pare che non ci siano alternative nello scegliere questa seconda opzione. Se non vogliamo illuderci di vivere in un mondo che dopo la pandemia non esisterà più.


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