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Covid-19 in Africa. La doppia bomba a orologeria

È stato pubblicato il 6 aprile lo studio dell’Unione africana “Impact of the Coronavirus Covid-19 on the African Economy” (Impatto del Coronavirus Covid-19 sull’economia africana). Lo studio di 35 pagine delinea due scenari per la traiettoria della pandemia: uno scenario “medio-realistico” in cui la pandemia dura fino a luglio ma l’Africa “non è molto colpita”, e uno scenario “pessimistico” in cui dura fino ad agosto e l’Africa ne soffre maggiormente in termini sanitari. Ma la sfida maggiore sarà quella economica, e rischia di avere delle conseguenze importanti anche per il continente più vicino: l’Europa.

Se il dibattito sull’immigrazione di massa si è momentaneamente sospeso a causa della pandemia globale, quest’ultima non farà che aumentare la pressione migratoria sui due continenti. A maggio dell’anno scorso, il rapporto “African Economic Outlook 2019” dell’African Development Bank Group aveva messo in termini molto chiari il problema centrale del continente africano: la pericolosa combinazione della più grande crescita demografica e la disoccupazione di massa, specie fra i giovani. Si prevede che la popolazione africana in età lavorativa aumenterà da circa 705 milioni nel 2018 a quasi 1 miliardo entro il 2030, il che vuol dire che al ritmo attuale di crescita della forza di lavoro, l’Africa deve creare circa 12 milioni di nuovi posti di lavoro ogni anno per prevenire l’aumento della disoccupazione.

Ma mentre negli ultimi due decenni l’Africa aveva raggiunto uno dei più rapidi e sostenuti flussi di crescita, questa non ha favorito l’occupazione. Un aumento dell’1% del Pil nel periodo 2000-14 è stato associato ad una crescita dell’occupazione dello 0,41%, il che significa che l’occupazione si stava espandendo ad un tasso inferiore all’1,8% annuo, o molto inferiore alla crescita annuale necessaria del 3% della forza lavoro. Secondo l’African Development Bank, se questa tendenza continuava, 100 milioni di persone si sarebbero uniti ai ranghi dei disoccupati in Africa entro il 2030.

Inoltre, secondo le stime più recenti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il tasso di occupazione vulnerabile era del 76,6 per cento nell’Africa sub-sahariana, con un’occupazione non-agricola nell’economia informale che rappresentava oltre il 75 percento dell’occupazione totale della popolazione in età lavorativa su scala continentale, e in molti paesi addirittura oltre il 90% di questa popolazione, e il 52 percento nel Nord Africa.

Con lo scoppio della pandemia globale, ormai anche economica, questo scenario già negativo si trasforma in un incubo immediato: a rischio immediato, secondo il rapporto di ieri dell’Unione africana, 20 milioni di posti di lavoro tra il settore formale e informale.

Se a questo sommiamo i dati sulle migrazioni africane, rilevati dall’Ibrahim Forum Report 2019, scopriamo una vera e propria bomba ad orologeria: negli anni scorsi quasi l’80% delle migrazioni africane – di cui circa il 70% di quella sub-sahariana rimaneva nel continente, mentre circa un quarto si recava in Europa – avveniva per speranza in migliori prospettive economiche e sociali, mentre le migrazioni a causa di rischi di insicurezza per conflitti e violenza rappresentavano circa il 20%. E a muoversi maggiormente sono da sempre i giovani, i quali rappresentavano già il 60% della popolazione disoccupata prima della crisi Covid-19.

L’IMPATTO DEL COVID-19 SULL’ECONOMIA AFRICANA

La pandemia globale, benché attualmente ancora contenuta in termini strettamente sanitari sul continente africano (al 6 aprile erano stati registrati 9.198 casi positivi di Covid-19 in 51 Paesi africani con 414 morti, secondo i Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie), rafforzerà tutti i punti deboli pre-esistenti che erano maggiore causa della disoccupazione strutturale: i bassi livelli di trasformazione industriale, mancanza di sviluppo delle infrastrutture, la ritardata integrazione finanziaria e monetaria, e le barriere tariffarie e non tariffarie. Essi rendono l’economia africana un’economia estroversa e sensibile agli shock e alle decisioni esterne, con un commercio intra-africano attualmente solo al 16,6%, una forte dipendenza dell’esportazione delle materie prime e l’impossibilità di rendersi indipendenti per mancanza di un’industria manifatturiera capace di trasformare le sue materie prime per rispondere alla potenziale alta domanda di beni e servizi dei mercati nazionali e internazionali. Ed è proprio quest’ultimo punto, insieme all’educazione, quello sollevato dall’African Development Bank come unico metodo capace di creare i posti di lavoro necessari.

Alcuni dati dallo studio dell’Unione africana.

L’impatto negativo diretto sui più importanti settori di crescita economica del continente si fanno già sentire: La rottura dell’economia mondiale attraverso le catene del valore globali, i bruschi cali dei prezzi delle materie prime e delle entrate fiscali e l’applicazione delle restrizioni di viaggio e sociali in molti paesi africani sono le principali cause della crescita negativa. Si prevede che le esportazioni e le importazioni dei paesi africani diminuiranno di almeno il 35% rispetto al livello raggiunto nel 2019. Pertanto, la perdita di valore è stimata in circa 270 miliardi di dollari.

Le prime cinque economie africane (Nigeria, Sudafrica, Egitto, Algeria e Marocco) rappresentano oltre il 60% del Pil africano. Il livello dell’impatto di Covid-19 su queste 5 economie sarà rappresentativo per l’intera economia africana. I settori del turismo e del petrolio rappresentano in media un quarto (25%) dell’economia di questi paesi, due settori che stanno già risentendo in modo pesante dalla crisi attuale, a partire dal notevole crollo dei prezzi delle materie prime.

Il calo dei prezzi del greggio alla fine del 2014 ha contribuito a un significativo calo della crescita del Pil per l’Africa sub-sahariana dal 5,1% nel 2014 all’1,4% nel 2016. Durante quell’episodio, i prezzi del greggio sono diminuiti del 56% in sette mesi. L’attuale calo dei prezzi del greggio è stato molto più rapido. Già, i prezzi del greggio sono già diminuiti del 54% negli ultimi tre mesi dall’inizio dell’anno, e anche i prezzi delle materie prime non petrolifere sono diminuiti da gennaio, con i prezzi del gas naturale e dei metalli in calo rispettivamente del 30% e del 4%. Anche l’alluminio è diminuito dello 0,49%; il rame del 0,47% e il piombo del 1,64%. Il cacao ha perso il 21% del suo valore negli ultimi cinque giorni e anche i prezzi globali di prodotti alimentari chiave, come riso e grano, possono avere un impatto sui paesi africani.

I viaggi e il turismo sono uno dei principali motori di crescita dell’economia africana, rappresentando l’8,5% del Pil nel 2019 secondo il World Tourism and Travel Council (Wttc). Per 15 paesi africani, il settore turistico rappresenta oltre il 10% del Pil e per 20 dei 55 stati africani, la quota del turismo nella ricchezza nazionale è superiore all’8%. Lo Iata stima il contributo economico del settore del trasporto aereo in Africa a 55,8 miliardi di dollari, sostenendo 6,2 milioni di posti di lavoro e contribuendo al 2,6% del Pil. I primi effetti comporteranno la parziale disoccupazione del personale e delle attrezzature delle compagnie aeree. Tuttavia, in tempi normali, le compagnie aeree trasportano circa il 35% del commercio mondiale e ogni singolo posto di lavoro nel trasporto aereo ne supporta altri 24 nella catena del valore dei viaggi e del turismo. In uno scenario medio, il settore del turismo e dei viaggi in Africa potrebbe perdere almeno $ 50 miliardi a causa della pandemia di Covid-19 e almeno 2 milioni di posti di lavoro diretti e indiretti.

Inoltre, dato che la mobilitazione degli investimenti interni rimane bassa in Africa, molti paesi africani dipendono fortemente dalle fonti di finanziamento estere per equilibrare i loro attuali deficit. Il Fondo monetario internazionale ha annunciato il 23 marzo 2020 che dall’inizio della pandemia, sono già stati ritirati 83 miliardi di dollari di investimenti dai mercati emergenti. Gli esperti stimano che nel complesso l’Africa potrebbe perdere fino al 15% di afflusso di investimenti esteri diretti nel continente e mentre molti paesi africani continuano a fare molto affidamento sull’assistenza ufficiale allo sviluppo per finanziare il loro sviluppo, l’attuale condizione economica nei paesi donatori potrebbe influire sulla quantità di aiuti allo sviluppo erogato in questi paesi.

Tutto questo avrà un forte impatto anche sulle capacità governative di investire proprio sulle riforme di trasformazione dei mercati nazionali e continentali per superare le debolezze strutturali del continente africano e renderlo più indipendente da shock esterni tramite un processo di industrializzazione, commercio e educazione della forze di lavoro come previsto dal piano “Africa 2063”, a partire della creazione del mercato continentale unico che si implementerà in modo graduale da quest’estate. Però, la pandemia ancora una volta mette a rischio gli investimenti necessari: mentre dal 2006, le entrate fiscali nazionali sono aumentate significativamente in termini assoluti, l’Africa potrebbe perdere fino al 20-30% delle sue entrate fiscali, che erano stimati a 500 miliardi di dollari nel 2019. I governi non avranno altra scelta che fare affidamento sui mercati internazionali, aumentando ancora i livelli di debito dei paesi e gli investimenti per lo sviluppo infrastrutturale potrebbe ridursi di almeno il 25% a causa delle minori entrate fiscali e delle difficoltà di mobilitazione delle risorse esterne.

Infine, questo non impatterà soltanto quell’80% delle persone che migrano per ragioni economiche, anche quel 20% di persone che si muovono per ragioni di insicurezza è a rischio aumento: nel Sahel, Covid-19 è arrivato in un momento in cui la regione stava già affrontando le spaventose sfide della fragilità, dei conflitti e della violenza dovute a terrorismo, mix di jihadisti e milizie, instabilità politica e/o cambiamento climatico. Mentre i governi nazionali e le istituzioni regionali combattano la diffusione di Covid-19, il recente attacco del gruppo armato Boko Haram in Ciad che ha ucciso almeno 92 soldati il 25 marzo, ha mostrato la vulnerabilità della regione. E mentre secondo le Nazioni Unite, a febbraio 2020, già 765.000 persone erano sfollate internamente e 2,2 milioni avevano bisogno di assistenza umanitaria in Burkina Faso, la diffusione della pandemia in questa regione e la mancanza di risorse pubbliche renderanno difficile mantenere in piedi le forze di sicurezza necessarie e i servizi sanitari per fornire soccorso alle popolazioni locali, creando una prospettiva ulteriore di centinaia di migliaia di altri sfollati e rifugiati.

UN DESTINO COMUNE: PROSPETTIVE E OPPORTUNITÀ

In questo quadro di grande preoccupazione, l’Unione africana lancia una seria di proposte per venire incontro a questo outlook negativo. Al primo punto, l’intenzione di iniziare un round di negoziati ambiziosi per la cancellazione totale del debito esterno africano di un valore di 236 miliardi di dollari.

Ma, più importante per quanto riguarda il continente europeo, è l’appello a cambiare radicalmente paradigma e rendere il continente indipendente attraverso l’integrazione economica e enormi investimenti infrastrutturali. Visto il destino comune che a dati attuali rischia di travolgerci tutti con un prevedibile afflusso ancora maggiore di centinaia di migliaia di persone in cerca di un futuro migliore, mentre la nostra stessa economia e forza di lavoro è stata spazzata via dalla pandemia e le misure di contenimento, potrebbe essere l’inizio della finora mancata visione comune europea-africana che riesca a fare di necessità virtù.

Esiste un forte parallelo tra i due continenti: mentre l’Europa ha subito un processo di de-industrializzazione, in Africa questo non è mai realmente partita, rendendo entrambi fortemente dipendente da mercati esterni e suscettibili a shock esterni. Sono già tanti gli appelli ad un cambiamento di paradigma anche in Europa: riportare la produzione a casa, anche per evitare la continua corsa al ribasso per le forze di lavoro e conseguente delocalizzazione delle nostre industrie, e la dipendenza crescente su paesi predatori come la Repubblica Popolare Cinese, un altro fattore che in modo crescente accomuna l’Africa e l’Europa e ci rende vulnerabili anche in tempi senza crisi sanitaria.

Il forte bisogno di grandi investimenti infrastrutturali del piano “Africa 2063” per avviare quel processo di trasformazione industriale in Africa, permettendo loro di diventare essi stessi produttori di beni anziché esportatori di materie prime, non solo rappresenta delle importanti opportunità per gli investitori europei e il nostro settore manifatturiero e infrastrutturale, ma oltre a fermare quel flusso incessante di immigranti, potrebbe anche creare il più grande mercato crescente esterno letteralmente alle nostre porte.

Occorre cambiare rotta al nostro interno. Durante l’ultimo summit dell’Unione africana, l’assenza di una visione credibile europea si è fatta sentire nelle dichiarazioni di molti leader africani, e rischiamo di perdere il treno, lasciando che i benefici di questa enorme miniera continuino ad arricchire concorrenti sleali ed esponendo noi stessi ai rischi che quelle politiche predatorie comportano nel continente africano. Mentre al momento l’economia cinese rappresenta circa il 16% del Pil globale ed è il partner commerciale più grande per la maggior parte dei paesi africani, oggi un vero e proprio “aiutiamoli a casa loro” da parte europea secondo le linee del piano “Africa 2063” è l’unica via percorribile verso un rilancio comune di economie forti e indipendenti. L’alternativa sembra quella di soccombere assieme.


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