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Covid-19, cosa sappiamo e cosa ancora dobbiamo sapere. Il punto del prof. Novelli

Con  ormai oltre 1 milione di persone infettate dal virus e circa 70mila morti in tutto il mondo, il viurs Sars-Cov-2 sta dimostrando la sua grande capacità di diffondersi negli umani e la sua grande pericolosità nel causare una sindrome complessa e clinicamente difficile da affrontare.

Ogni settimana vengono pubblicati 60-70 articoli scientifici su riviste specializzate e sottoposte a controlli rigorosi, da ricercatori di tutto il mondo a dimostrazione del grande impegno e della necessità di acquisire e scambiarsi dati scientifici. Ebbene, in poco più di un mese la scienza ha acquisito informazioni straordinarie sulla natura del virus, sulla sua biologia e sulle sue caratteristiche patogenetiche. Senza queste informazioni la scienza non avanza e nessuna terapia, se non quella del “sentito dire”, potrà mai essere sviluppata.

Sappiamo come il virus sia fatto, quali informazioni genetiche contenga, come si inserisca nelle cellule umane e soprattutto come si riproduca nel nostro corpo. Il virus ha trovato un modo ingegnoso di entrare nelle nostre cellule: lo fa attraverso una “porta” presente su tutte le nostre cellule, una porta che si chiama ACE 2 e che normalmente fa un altro lavoro, ovvero aiutarci a difenderci dai danni dell’ossidazione e dell’infiammazione. È per questo motivo che durante l’infezione si attivano fenomeni infiammatori e ossidativi che danneggiano le nostre cellule: ACE 2, occupato dal virus, non può svolgere il suo lavoro. ACE 2 è dunque una molecola importante, fondamentale per far entrare il virus, e nello stesso tempo cruciale nel difenderci. Da qui il nome “lama a doppio taglio”: se aumenta fa entrare più virus, se diminuisce danneggia i polmoni. Dilemma di non facile soluzione per noi ricercatori. Conoscere meglio ACE 2 e le altre molecole che aiutano il virus ad entrare nelle cellule è il primo obiettivo su cui si stanno concentrando le ricerche al momento. È possibile che alcune persone producono naturalmente più ACE 2? È possibile bloccare il “portone di ingresso”?

Perché ACE 2 del topo non cattura il virus? Non abbiamo ancora un modello animale per studiare il virus, ma è necessario trovarlo al più presto. Queste sono solo alcune delle domande a cui dobbiamo rispondere per trovare soluzioni terapeutiche. Infatti, solo una volta stabiliti quali siano i sistemi in vitro e in vivo ottimali, si può procedere ad esempio al riutilizzo di farmaci già noti per altre patologie come sta avvenendo tutti i giorni, forse un po’ in maniera “affrettata” in tutto il mondo. Ad oggi non abbiamo ancora farmaci anti-Sars-Cov-2 specifici, ma alcuni utilizzati in passato come il remdesivir (anti-Ebola), può risultare efficace soprattutto perché si è dimostrato efficace nel prevenire la replicazione di Mers-CoV nelle scimmie. Altri agenti antivirali interessanti che necessitano di ulteriori studi comprendono la ribavirina, il lopinavir, il ritonavir, l’interferone α2b, l’interferone β, la clorochina fosfato, l’arbidolo e l’ivermectina. Dobbiamo comunque sempre considerare gli effetti collaterali di questi farmaci, che potrebbero in molti casi addirittura aumentare il danno infiammatorio e peggiorare la risposta immunitaria individuale. I cinesi hanno utilizzato i cortisonici per ridurre il danno polmonare, ma i risultati non sono confortanti.

Molta attenzione in questi giorni è rivolta al Tocilizumab, un anticorpo monoclonale che inibisce l’interleukina 6, una citochina coinvolta nel processo infiammatorio associato all’artrite reumatoide e molto aumentata nei pazienti Covid-19. Gli anticorpi monoclonali rappresentano la principale classe di bioterapici per l’immunoterapia passiva per combattere l’infezione virale. Il potenziale terapeutico degli anticorpi monoclonali è riconosciuto nel trattamento di molte malattie. Molti gruppi di ricerca, stanno cercando anticorpi monoclonali neutralizzanti contro Sars-Cov-2 e simili. In attesa di un vaccino potrebbero essere proprio gli anticorpi monoclonali la chiave giusta per curare i pazienti Covid-19.

Ma chi trattare, e con quali e quanti trattamenti? Covid-19 è una malattia a sintomatologia molto variabile, auto-limitante in più dell’80% dei pazienti. La polmonite grave si verifica in circa il 15% dei casi, con una mortalità nei casi gravi di circa 3-4% in tutto il mondo con variazioni dovute a differenze di assistenza, di malattie concomitanti e altre concause (ancora non definite). Questo ci suggerisce che vi sono persone con sintomi molto lievi da non richiedere nemmeno il test, ma che possono trasmettere l’infezione (gli asintomatici). Il test per Covid-19, è attualmente eseguito su materiale genetico virale estratto da tamponi nasali e faringei, utilizzando il metodo uno strumento di biologia molecolare molto noto che utilizza la reazione a catena della polimerasi a trascrizione inversa (Rt-Pcr). Il test funziona amplificando una specifica sequenza genetica del virus e quindi rilevare il virus solo quando esso è presente in una persona. È molto sensibile e non ci dice nulla sulla temporalità dell’infezione, né se c’è stata infezione (se risulta negativo).

Oggi, sono già disponibili i test sierologici in grado di rilevare se un individuo è stato in contatto con il virus. Esso rivela infatti gli anticorpi prodotti contro il virus (in genere ci vuole una settimana prima che si sviluppino nel nostro organismo per essere rilevati). I test sierologici possono essere molto utili per dimostrare l’estensione della diffusione virale in una comunità e fornire utili informazioni sulla salute pubblica. I test sierologici per Sars- Cov-2 al momento sono importanti per (i) tracciare i contatti (anche il test moleolare lo è); (ii) per attivare una sorveglianza sierologica a livello locale, regionale, e nazionale; e (iii) identificare coloro che hanno già avuto contatti con il virus e quindi possono (se come sembra, esiste un’immunità protettiva) essere immuni.

Supponendo che vi sia un’immunità protettiva, le informazioni sierologiche possono essere utilizzate per guidare le decisioni di ritorno al lavoro, anche per le persone che lavorano in ambienti in cui possono essere potenzialmente riesposti a SARS–CoV-2 (ad es. Operatori sanitari). Inoltre, i test sierologici, possono essere utilizzati retrospettivamente per diagnosi post-mortem, e infine essere eventualmente utilizzati unitamente al test molecolare per migliorarne l’accuratezza diagnostica.

I test sono certamente importanti per contenere la diffusione ulteriore del virus, ma cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Il virus scomparirà improvvisamente? O persisterà nella popolazione umana? Quattro dei sette coronavirus umani sono endemici in tutto il mondo, ma causano poco più del comune raffreddore. Sars-Cov-2 potrebbe scomparire come Sars-CoV oppure diventare endemico con stagionalità come l’influenza e altri coronavirus umani. È troppo presto per saperlo, per questa ragione dobbiamo rimanere vigili, e cautamente ottimismi. E soprattutto, stimolare la ricerca su più fronti e senza paura di competere (i ricercatori sono abituati alla competizione). Più ricerche, anche simultanee in più Paesi, sono necessarie: non avremo un solo vaccino, non avremo un solo farmaco, non avremo una sola terapia, ma molti farmaci, e più terapie. Facciamo tesoro delle esperienze, e diamo fiducia alla ricerca aiutandola e sostenendola. Segnali importanti, in questa visione, sono quelli che arrivano dalla Comunità Europea e da altre istituzioni anche nazionali, che si sono attivati per bandire dei fondi dedicati alla ricerca su questo tema.

È assolutamente vitale poter contare su degli stanziamenti straordinari perché le ricerche siano ben orientate e strutturate. D’altro canto, è importante che questi sforzi siano compiuti a livello globale, con l’attivazione di inedite e virtuose sinergie. Un modello utile, in questo senso, è rappresentato dal progetto Gefacovid recentemente sottoposto in sede Ue: una massiccia aggregazione di 29 soggetti tra accademie (Università di Padova, Brescia, Torino, Trieste, Essex, Brest, Essen, Madrid, Monaco, Maastricht, Shanghai, Isfahan), istituzioni (Ist. Spallanzani, Ist. Superiore di Sanità), fondazioni (Aviralia, Lorenzini), aziende (ThermoFisher, BBraun, ABBVIE, Alfa-Sigma, DaVinciDigital, Novartis), Start-up (Bioscience Genomics, Personal Genomics, Diatheva, Toma-Impact-Lab, Genomics Diagnostics, PharmGenetics), sotto la regia della Genetica di “Tor Vergata”, che è già al lavoro per analizzare l’influenza dei fattori genetici nello sviluppo della malattia.

Come e più di sempre, viviamo una condizione nella quale il lavoro di squadra potrà davvero fare la differenza.

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