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Coronabond, ma con chi ci sta. Una proposta per l’Europa

Il nodo è arrivato al pettine. L’Europa è frastornata, incerta, come stesa su una barella, affetta da Coronavirus. Ed è alla ricerca del vaccino che la possa salvare. Così com’è, non è in grado di reggere ad un urto forte come quello attuale che rischia di mandarla al tappeto definitivamente. Molti medici al suo capezzale con tante ricette, ma qual è quella giusta?

Se qualcuno osa proporla, pronta si allunga una mano vigorosa, che fa da muro, per fermarla, per fermare l’Unione. Ricomincia la discussione. Bruxelles come Roma, al tempo di Sagunto. Una discussione “un po’ più lunga” se dura da 70 anni, di fronte alle macerie del 45, a quelle dell’89, a quelle del 2007-2015 ed ora del 2020. Sembra che non bastino ancora. Invece bastano le analisi economiche, sociali, politiche, filosofiche, ecc .. che da tempo si fanno al capezzale dell’Unione. Le conosciamo tutte. Solo una ha fatto fatica ad emergere ed ora finalmente sta venendo alla luce.

Come se si avesse paura ad evocarla, per timore di fare del male all’Europa ed alla Germania, visto che riguarda la sua “cultura del predominio”, non della condivisione. Il rischio, questa volta, è che ci facciamo del male, più che col coronavirus. Adesso non contano le sensibilità di ognuno di noi. Abbiamo il dovere di parlare e discutere, apertamente e duramente se necessario, con senso di responsabilità.

Per capire dove siamo penso siano sufficienti le parole utilizzate da Steffen Klusmann sul Der Spiegel del 4 c.m. “…il rifiuto tedesco (degli Eurobond) è egoistico, meschino e codardo…” L’importante però che questa volta il confronto non si arresti davanti al “muro”, per evitare che il virus, come dicevamo, infligga un colpo mortale all’Unione. Non bastano più i compromessi pasticciati, incomprensibili ed inefficaci. Significherebbe buttare all’aria i sacrifici e le fatiche di tutti questi anni per far progredire l’Unione dalle macerie del 45, quando nemmeno i padri fondatori riuscirono a condividere l’economia e la politica come molti tra di loro avevano auspicato.

Forse la Germania, allora, accettò la Cee come una imposizione, così come dovette accettare la Costituzione scritta dagli anglo-americani. Perciò dopo l’89 comincia ad asservire l’Unione ai suoi metodi ed ai suoi interessi. Forse la riteneva un fardello. Accetta di fare ciò che porta vantaggi o evita danni ai tedeschi, come ha dichiarato la Merkel in questi giorni.

Non dice mai che nessun tedesco o olandese ha mai versato un centesimo di suo per gli italiani o per altri cittadini europei, lasciando così credere il contrario. Si utilizzano i luoghi comuni come una clava, da ambo le parti, a giustificazione di scelte politiche sbagliate. Appare così chiaro che la Germania non ha interesse all’integrazione politica ed economica dell’Unione. Una posizione legittima che va rispettata.

Però nessun Paese si può permettere di tenere in ostaggio l’Unione e di mandare a monte il Progetto europeo. Ognuno si assuma le sue responsabilità e decida dove stare. Se vuol far parte di un’Unione politica, economica e sociale lo faccia, altrimenti si accontenti del mercato unico. Chi vuole, prenda coraggio e decida di fare il salto verso la politica, mettendo in subordine la ragioneria con cui oggi è governata l’Eurozona.

Altri seguiranno, come è avvenuto sinora con la Cee, l’Unione e l’Eurozona. Bisogna andare al di là della “solidarietà” retorica del Trattato, far leva su nuovi principi da ricercare, un “valore comune europeo” che valga la pena di rilanciare e rafforzare insieme. Oggi il coronavirus ci sta offrendo una possibilità, come uno spartiacque: la difesa della vita delle persone, il bene esistenziale in assoluto. La risposta a questa domanda coincide con la risposta ai Covid-bonds, o Eurobond ed a quella della sovranità fiscale e politica dell’Eurozona. Un dilemma simile a quello del 2008-2015, davanti alla crisi finanziaria, poi economica e sociale. La risposta allora non ci fu, salvo quella della Bce. Tutto fu rinviato, con una tattica asfissiante, a “tempi migliori”, cioè peggiori.

Tempi, rapidamente sopraggiunti, che offrono una nuova opportunità di sopravvivenza all’Unione, ponendo fine alla sua agonia. La situazione è del tutto diversa, perciò diversa e forte dovrebbe essere la risposta. Le prime avvisaglie, però, sono confuse, deludenti nei comportamenti, nei tempi e nei contenuti. Di nuovo si è alzata la mano che fa muro.
Invece che risposte servono? Prima cosa la rapidità, da parte degli organi comunitari, ponendo fine alla tattica del rinvio! Un comportamento suicida ed egoista, mentre fila di bare solcano il suolo europeo.

La Commissione ha cercato di correre ai ripari, dopo i primi sbandamenti, la sottovalutazione e la derisione dei primi paesi colpiti. Si è trattato, all’inizio, di provvedimenti utili più per gli annunci e le conferenze stampa che non per gli aiuti immediati. Secondo: la liquidità. Serve grande liquidità per le imprese e le persone, nell’immediato e per la crisi economico-sociale che verrà. Bisognerà mobilitare almeno dai 3 mila miliardi in su. Terzo: l’emanazione di Eurobond. Una risposta politica ed economico-fiscale allo stesso tempo. Occorre spiegare ai cittadini, in particolare a coloro che hanno beneficiato di più dell’Eurozona e del mercato unico, che è arrivato il momento di ricambiare con un segnale di solidarietà economica e politica, non con l’elemosina, ponendo fine ai tatticismi ed ai rinvii, iniziati già nel ‘57. Qualora non fosse possibile raggiungere un simile risultato tra tutti, occorrerebbe che se ne facciano carico i paesi firmatari dell’appello rivolto al Consiglio del 26 marzo, con gli altri che si sono aggiunti.

Dovrebbero procedere comunque, con l’emissione di obbligazioni comuni, destinate a far fronte almeno all’emergenza sanitaria. Naturalmente serve la tenuta della Francia, che speriamo non venga meno. Non bastano più le mezze misure, come quelle che si stanno profilando nuovamente in questi giorni Il Mes era nato già male ed era destinato ad altro. L’eventuale nuovo fondo così come si profila è nella logica dell’esistente. Gli altri provvedimenti annunciati, sono utili ma insufficienti, hanno tempi troppo lunghi e lasciano il debito a carico dei paesi membri.
Siamo ad un passaggio storico per l’Europa. Occorre più coraggio. I cittadini adesso se lo aspettano. L’Unione deve uscire dal guado in cui si trova dal ’57. Vincerà chi avrà più coraggio, chi saprà osare.

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