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Creatività, flessibilità e innovazione. Come l’Italia supererà la crisi. Scrive Marco Alberti

Di Marco Alberti

Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto che contiene misure temporanee per il sostegno alla liquidità delle imprese, piccole o grandi. Si tratta di un provvedimento unico, imponente, necessario, che prevede una disponibilità fino a 400 miliardi di euro, di cui 200 per le imprese con sede in Italia e 200 per il sostegno all’esportazione, all’internazionalizzazione a agli investimenti.

Per chi si occupa di diplomazia economica, l’attuale emergenza sanitaria – e le risposte alla crisi innescata dal covid- 19 rappresentano un’opportunità per riflettere e uno stimolo ad agire. Il virus passerà. L’incertezza no. Quindi neppure la volatilità, che da essa dipende. Entrambe faranno parte del mondo che viene. Sono la cifra della modernità. Lo sappiamo bene, anche se a volte non vorremmo accettarlo. Combinazioni inedite di circostanze ci mettono innanzi all’esigenza di soluzioni nuove, mai praticate, sempre urgenti. Le best practices diventano subito vecchie e servono a poco. Semmai, in tutti i campi, bisognerà confrontarsi con next practices, cioè applicare massicce dosi di creatività. Non intesa nel senso di ispirazione artistica, evidentemente, ma come forza trasformativa della realtà. Applicare modelli nuovi, in tutti i campi. Ci farà sempre più bene lavorare insieme a chi fa della creatività il proprio lavoro.

Le misure di contrasto adottate dal governo aiuteranno le imprese a reagire. Per salvare un “paziente” colpito gravemente, occorreva una terapia urgente ed intensiva. Tuttavia, una volta guariti, per mantenersi in salute ed affrontare il pezzo di storia che ci aspetta, la ricetta resta una sola: sapersi adattare. Cioè imparare facendo. Non solo nuove risorse per lavorare, quindi, ma un diverso design del lavoro. Vince chi è capace di mettere a punto un progetto di anticipazione della realtà, adattando velocemente sé stesso. L’oro del business futuro è la flessibilità. E l’Italia sta dimostrando, ancora una volta, di essere una “miniera” piena di risorse.

La forza trasformativa delle nostre aziende, innanzi tutto. Armani, Calzedonia o Klopman, solo per citarne alcune, hanno deciso di riconvertire alcuni stabilimenti, o parte della propria attività, per produrre materiale di protezione sanitaria. In pochi giorni, i giovani ingegneri di Isinnova hanno trasformato una maschera da snorkeling in un respiratore di emergenza, con valvole stampate in 3D. C.u.r.a. (Connected Units for Respiratory Ailments) è il progetto di Carlo Ratti e Italo Rota, realizzato in open source coordinando una task force internazionale. Container modulari trasformati in unità di terapia intensiva, subito pronte per curare malattie respiratorie infettive. Il mese scorso non esisteva. Oggi è un prototipo. Domani salverà decine di vite. Lo chiedono già da tutto il mondo.

Potremmo riempire pagine intere. Qui interessa solo ricordare un dato: la flessibilità, oggi, significa valore. Molto valore, anche economico. Non è un plus, è un necesse est. Per questo, gli investitori la cercano e la prediligono, sapendo che in un mondo volatile, la specie destinata a sopravvivere non è la più forte, per dirla con Darwin, ma quella che meglio si adatta.

Non è tutto. Dal punto di vista del Sistema Paese, la capacità trasformativa delle imprese italiane significa maggior resilienza del nostro ecosistema, oltre che maggior forza attrattiva in termini di investimenti diretti esteri. Cioè, in buona sostanza, nuovo potenziale competitivo da esplorare e realizzare. Le emergenze non finiranno e per gestirle occorre velocità. La burocrazia va semplificata, questo si sa. Intanto, però, una nota positiva: molte aziende italiane stanno dimostrando di possedere un asset intangibile sempre più prezioso: la capacità di adattamento.

In questi tempi di crisi, tutti parlano di debolezze. Cito invece un secondo elemento di forza del nostro sistema economico-imprenditoriale. La portata sociale dell’innovazione generata. Intervenendo laddove il settore pubblico, da solo, non ce l’avrebbe fatta, molte imprese hanno modificato il proprio business, o creato nuove soluzioni. Non solo per proteggere sé stesse o le rispettive quote di mercato, ma in risposta a bisogni sociali generati dall’emergenza sanitaria. Il dinamismo italiano è l’espressione di un rapporto efficiente fra sostenibilità e innovazione. Quest’ultima, quando è “sociale”, ha un pregio ulteriore: aumenta la capacità di azione e mobilitazione della collettività, dando vita a soluzioni sempre più partecipate, sostenibili ed utili. Quindi in grado di generare valore. Non sappiamo con esattezza cosa succederà una volta passata l’emergenza sanitaria. Un dato è certo. Enormi volumi di liquidità andranno in cerca di modelli di business non solo efficienti, ma anche socialmente innovativi e sostenibili. La finanza globale, ancor prima della crisi, aveva confermato l’interesse degli investitori per aziende capaci di re-agire e pro-agire in questa direzione. La crisi non farà che accelerare questo trend. Come ha ricordato su questa rivista il cfo di Enel, De Paoli, sostenibilità significa generazione di valore, flussi di cassa meno volatili, maggiormente prevedibili e in costante crescita, nonché una riduzione del costo del debito e una minore rischiosità. Nel tempo delle sorprese, ridurre il rischio è la priorità di ogni investitore. Un must per le aziende. Alcune hanno intuito l’importanza di darsi un modello di business innovativo e sostenibile. I risultati hanno premiato la loro scelta. Innovare è la strada. Però l’obiettivo resta, per tutti, quello di diventare più sostenibili e collaborativi. La crisi ha reso definitivo questo concetto.

Ma c’è qualcosa di ancora più importante. Stiamo assistendo, in Italia, all’applicazione spontanea di un modello flessibile ed attuale di collaborazione fra grandi aziende e pmi/start-up. Innanzi all’emergenza, le prime offrono adeguata capacità produttiva alle seconde, che non avrebbero la forza industriale per “scalare” le proprie soluzioni e coprire l’entità del bisogno. Il caso dei respiratori è indicativo. Gianluca Preziosa, ceo di Siare Engineering di Bologna, unica azienda italiana a produrli, ha dichiarato di essere in contatto con Ferrari ed Fca, che potrebbero collaborare offrendo la propria capacità tecnologica e industriale. O supportando direttamente l’azienda, o realizzando loro stesse parti del respiratore in elevate quantità, consentendo a Siare di assemblarne un numero che da sola non potrebbe realizzare. Che significa? Solidarietà imprenditoriale in un momento difficile, certamente. Ma non solo. Soprattutto, creazione di supply chain embrionali, doppiamente inedite. Grandi aziende che riforniscono una pmi, superando schemi tradizionali e disomogeneità merceologiche. E sviluppo “orizzontale” della filiera, in funzione di una realtà tecnologico-produttiva già in essere. Creatività ed efficienza riunite in un unico progetto. Il massimo dell’innovazione. Grandi e piccoli che lavorano insieme su percorsi di open innovation realizzati in tempi record. Uno spunto interessante anche in chiave di futura internazionalizzazione o di sostegno all’export.

Creatività è anche abilità di realizzare nuove forme di collaborazione. In tal senso, la crisi rafforza l’opportunità di consolidare il patto pubblico-privato, magari ripensando taluni suoi aspetti. In primis, con l’obiettivo di sostenere il sistema in fase di emergenza, applicando le misure per la liquidità già approvate dal governo e le altre che verranno. Ma, subito dopo, per riflettere sul design della collaborazione fra aziende e Pubblica Amministrazione, collegando la sua evoluzione al processo innovativo che investe qualunque settore, struttura, professione.

Stiamo imparando che “nessuno si salva da solo”. Ma per agire insieme, e soprattutto per competere nel mondo, bisognerà avvalersi di schemi aperti e collaborativi. In parte nuovi. Le risorse economiche e finanziarie sono indispensabili per resistere alla crisi e al suo urto iniziale. Per le fasi successive, di ritorno alla crescita e di rilancio internazionale, sarà molto importante costruire un modello di cooperazione pubblico-privato adatto alle nuove circostanze. Se è vero che non saremo più gli stessi, come tutti dicono, allora bisogna pensare adesso cosa vogliamo diventare. E fare presto.

L’afflato collaborativo delle imprese, che abbiamo visto in questi giorni, e la loro voglia di tornare a competere, che vedremo presto in azione, richiedono un sistema pubblico di smart governance, al quale anche la diplomazia appartiene, in grado di combinare in modo diverso dal solito competenze ed esperienze.

La nuova configurazione di un sistema complesso, di solito, è progressiva. Questa volta lo sarà meno di altre, perché il presente è molto veloce e per anticipare il futuro bisogna interagire e sperimentare. Parafrasando Mariana Mazzuccato, anche lo Stato – a suo modo – dev’essere innovatore. Grace Hopper riteneva che la frase “Abbiamo sempre fatto così” fosse una delle più pericolose per il genere umano. Aveva ragione.



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