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Investimenti, consumi e tecnologia. Ecco la strategia che serve all’Italia

Di Giacomo Bandini

La crisi economica non verrà superata con la semplice immissione di liquidità nel sistema. Che sia destinata alle linee tradizionali di credito o vera e propria helicopter money, la soluzione non è mai così facile. È bene ricordare che se il coronavirus ha dato la mazzata finale, la stagnazione italiana è una storia a sé con radici profonde e risale a decenni fa per poi essersi consolidata negli ultimi dieci. Serve una nuova strategia industriale fondata su investimenti, consumi e soprattutto innovazione tecnologica.

PERCHÉ È IMPORTANTE

Il rischio di una nuova crisi non è più il basso tenore della crescita, ma una depressione lenta e prolungata nei prossimi anni che aumenterà ancora di più il divario di reddito tra giovani e anziani e tra fasce geografiche (Nord-Sud). Ciò, unito alla situazione demografica e ad un indebitamento molto elevato, determinerà una spirale viziosa da cui sarà sempre più difficile uscire.

IMPARARE DAL PASSATO

Le emergenze economiche di una simile portata non sono mai state superate con l’insicurezza. Il timore è che in questo momento nessuna delle istituzioni che ci governano abbia un’idea precisa. Negli anni ’30, per esempio, non furono semplicemente adottate misure di sostegno “keynesiane”. Gli Stati Uniti nel decennio successivo, complice anche la guerra, iniziarono a ripensare i modelli di produzione introducendo innovazioni di media portata (non si parla del vapore o dell’elettricità) che però le permisero di riconvertire rapidamente una buona parte dell’industria.

Nel 1945, è bene ricordarlo, un’Italia in macerie riuscì a rialzarsi non solo grazie ai vasti piani di investimento tra cui il cosiddetto European Recovery Program (Piano Marshall), ma anche grazie alla costruzione di un primo sistema nazionale d’innovazione. Il cambiamento tecnologico, seppure rimasto incompiuto, ha segnato il periodo del Miracolo Economico. Sono stati gli anni degli investimenti, dei consumi e delle nuove tecnologie. Questo ha permesso un recupero senza precedenti che ha posto l’Italia tra i giganti mondiali.

LA CONFUSIONE REGNA SOVRANA

Ciò che accomuna i due periodi citati è la visione che la politica seppe mettere a disposizione del Paese. In questo momento l’indecisione e la scarsa solidarietà stanno mettendo a repentaglio le opportunità della ripresa. Internamente, il governo non possiede alcuna visione e si affida ai corpi estranei (tecnici, consiglieri, task force) per mostrare un dinamismo inesistente.

Sul fronte europeo le cose sono anche peggiori. L’Ue non solo è perennemente divisa tra Nord e Sud (come l’Italia), ma non è stata capace nei suoi anni di vita di realizzare una politica industriale armonizzata con benefici mutuali. Così non è mai stata in grado di competere con i due colossi globali: Usa e Cina. Il campione continentale è rimasta la virtuosa Germania, forte di una manifattura in grado di anticipare le trasformazioni e di una politica stabile. Gli altri hanno subito un declino inesorabile. Nonostante i proclami le istituzioni comunitarie non hanno saputo dare alcuna direzione precisa, arrivando in ritardo su tutto rispetto ai competitor.

NON È SOLO QUESTIONE DI LIQUIDITÀ

Il dibattito è rimasto fermo a Mes Sì o Mes No. Eurobond, Coronabond o Italexit. La confusione ha fatto perdere il focus: da una crisi non si esce solo aumentando la liquidità o facendo deficit, si esce avendo una strategia precisa. A parte le spese sanitarie e il sostegno alle imprese e ai cittadini, come vogliamo utilizzare una potenziale espansione monetaria?

L’esempio ce l’abbiamo davanti. Negli anni del Dopoguerra furono investimenti e consumi il traino. Mancò la vera fase tecnologica. Perché non puntare su questa ora? Molti processi sono già in atto, ma sono rimasti a metà. Mancano le infrastrutture, sia fisiche sia digitali. Mancano le competenze e la formazione avanzate per un rilancio dell’industria in senso 4.0. Necessitiamo di incominciare a produrre innovazione in modo endogeno (anche come Unione Europea) e ridurre la dipendenza dall’estero.

Una politica di visione non può affidarsi solo ai consigli degli esperti. Deve avere consapevolezza e visione. Senza esse, è inefficace se non inutile. Il rischio è quello di farci mangiare dagli altri. Per sempre.

(Articolo pubblicato da Competere)


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