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Crollo petrolio: Covid-19, hedge fund e un attacco contro gli Usa?

L’epidemia prodotta dal coronavirus SarsCoV2 ha lasciato senza ossigeno la domanda mondiale di petrolio, e il risultato cumulato è arrivato lunedì 20 aprile 2020 con un dato storico: il prezzo del greggio americano WTI è sceso per la prima volta sotto lo zero. Un barile di petrolio WTI all’inizio dell’anno costava 60 dollari, ieri sono stati chiusi contratti di vendita che danno a chi compra 37 dollari. Ossia, il calo della domanda ha creato un surplus tale che in questo momento il valore non sta nella materia prima, ma nei serbatoi per l’immagazzinamento.

Dunque, chi estrae paga chi ha ancora posto per l’immagazzinamento – “ancora” perché le riserve sono già zeppe. Non bastano le petroliere che davanti alle coste vengono usate come cisterne parcheggiate e riempite di greggio, all’ancora senza destinazione; non bastano i depositi. Ieri il presidente americano, Donald Trump, ha commentato la crisi spiegando che “è di breve termine”, i prezzi “rimbalzeranno in fretta tra i 25 e i 28 dollari” ed è “una questione finanziaria” (ci si arriverà, ndr). Poi Trump ha aggiunto che comunque gli Stati Uniti, visto la convenienza offerta dal mercato, continueranno a riempire le riserve, ma gli osservatori notano che di fatto sono già quasi piene (secondo l’Eia hanno superato i seicento milioni di barili, a fronte di una capacità di 768,8 mb).

E anche questo ha prodotto la svalutazione del WTI, il riempimento delle scorte e i timori collegati degli investitori. Detto con un’immagine: Enterprise Oil ha deciso di invertire i flussi degli oleodotti che portavano il greggio alle raffinerie americane e alle petroliere al Golfo del Messico (da cui sarebbe partito per le vendite). Ora vanno verso l’Oklahoma, esattamente al grande deposito di Cushing, che però è praticamente pieno.

La crisi del prezzo riguarda i futures di maggio, ossia la cifra previsionale per le vendita del mese prossimo. Per le vendite a più lungo tempo – già da giugno – il valore del barile di petrolio torna in territorio positivo. Ma sempre basso. Il punto sta infatti in quel calo della domanda che l’epidemia ha prodotto, senza avere niente di certo sulla durata e sui termini del recupero.

Arabia Saudita e Russia (leader del sistema Opec+) hanno trovato un accordo il 12 aprile per un taglio alle produzioni  – da 9,7 milioni di barile al giorno, a partire proprio da maggio, per questo i futures successivi vanno meglio – che potesse ristabilire i prezzi per la legge della domanda/offerta, ma davanti alla paresi economica prodotta dai lockdown per contenere la diffusione del virus, nemmeno i grossi tagli previsti sembrano rassicuranti.

C’è un enorme spazio di speculazione, perché chi può comprare con i prezzi per maggio e rivende successivamente avrà guadagni formidabili. E un’operazione speculativa potrebbe essere quella che ha aggravato la situazione. Nei giorni scorsi, mentre il Brent – il benchmark di mercato europeo – viveva fasi positive attorno ai 28 dollari al barile, il WTI non solo faticava a tornare sopra ai 20 dollari, ma era già iniziato a scendere. I movimenti erano dovuti ad aggiustamenti di portafoglio da parte dell’USO, l’US Oil Fund, un hedge fund che aveva iniziato a vendere futures petroliferi per maggio, comprando per giugno. Questo chiaramente contribuisce al calo dei prezzi, visto che USO era già il più grande Etf del mondo e tre giorni fa è cresciuto ancora immagazzinando circa un quarto dell’intero mercato WTI (in un mese e mezzo USO ha triplicato il patrimonio gestito, toccando quota 3,8 miliardi di dollari).

Il rischio è strutturale perché gli Etf che gestiscono il fondo sono per la gran parte acquistati da piccoli risparmiatori, e dunque la speculazione è portata avanti con il risparmio reale americano. E i rischi di perdite per gli investitori sono enormi. Ma anche l’aspetto finanziario, e quello congiunturale (prodotto da grossa produzione e scarsa domanda), secondo alcuni analisti potrebbero non essere sufficienti a spiegare quanto successo. Anche perché a essere colpito è stato il greggio americano – l’europeo Brent ha subito in effetti un calo solo del 3,6 per cento.

Per qualcuno si è dunque trattato di un attacco contro l’America. “Questa è la Pearl Harbor dei petrolieri americani”, ha commentato Kirk Edwards al Wall Street Journal. Edwards è presidente della compagnia texana Latigo Petroleum, e non è l’unico a fare certe supposizioni. Il Wsj stesso aveva parlato tre giorni prima della possibilità che i sauditi volessero manipolare il prezzo del bene Usa: a marzo era arrivata quella che il giornale di Wall Street ha chiamato una “flotilla tanker”, 20 petroliere da 40 milioni di barili di greggio estratti nel Golfo verso le coste degli Stati Uniti, quando il mercato americano era già saturo di petrolio.

“Nei giorni precedenti all’accordo Opec+ i sauditi hanno avuto grosse pressioni dagli americani, perché i prezzi bassi colpivano pesantemente lo shale (che ha costi produttivi molto alti e bisogno dunque di vendita con cifre maggiori). E in quei giorni, come meccanismi di pressione, sono stati fatti diversi movimenti politici a Capitol Hill. E – spiega Cinzia Bianco, esperta di Golfo dell’Ecfr – come sempre quando c’è tensione a Washington, a Riad schizzano le preoccupazioni: per questo credo che la questione attacco-saudita non sia troppo realistica. Non ne vedo la necessità”.

“Il punto è che quelle navi erano veramente già partite e sono da diverso tempo in giro, perché l’ultima strategia dell’erede al trono saudita Mohammed bin Salman, era spingere le produzione e fare sconti sulle vendite (per rappresaglia contro la Russia che a inizio marzo non voleva tagliare l’output, ndr). Ed è possibile che MbS abbia proposto a Trump di inviare negli Stati Uniti quei tanker contenenti petrolio che, estratto a nastro da Riad, per via dei cali della domanda era di fatto senza acquirenti. Probabilmente i due erano spinti dall’idea che gli acquirenti ci sarebbero stati, quindi da una sottovalutazione della recessione”, aggiunge Bianco.

“Sommiamoci poi che i media americani sono tendenzialmente severi con i sauditi, e per questo il Wsj ci ha fatto subito l’articolo producendo un aumento delle tensione che si riverbera sul mercato. E ricordiamo che a subire sono stati i futures, che normalmente sono vulnerabili”, chiude l’analista del think tank pan-europeo.

Il crollo dei prezzi del greggio ha già innescato la depressione nei mercati azionari globali – a giudicare dall’avvio degli asiatici – e gli investitori guardano con preoccupazione alla sicurezza dei titoli del Tesoro. Secondo David Winans, analista per US Investment Grad Credit Research citato da Nova, l’andamento dei prezzi sotto lo zero non potrà tuttavia durare a lungo, come detto anche da Trump, poiché i produttori in questo momento stanno tagliando la produzione. “Alla fine – spiega Winans – il percorso dei prezzi del petrolio seguirà il percorso del coronavirus. Fino a quando la domanda non mostrerà qualche segno di vita, i prezzi del petrolio rimarranno probabilmente attaccati al respiratore artificiale”.

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