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Dati, dispositivi e diagnostici, così può partire la fase 2. L’analisi di Gino Gerosa

“Credo che uno dei temi più cogenti dopo questa emergenza sarà porre nuovamente il Sistema Sanitario, la Ricerca e l’Innovazione tecnologica al centro dell’agenda di governo per garantire investimenti adeguati che permettano di guardare al futuro con ottimismo anche nella realtà italiana”. Gino Gerosa è uno dei nostri più affermati cardiochirurghi, ha creato, per intenderci, il primo cuore bionico italiano, ed è professore di Cardiochirurgia all’Università Di Padova. Fa parte dei 150 accademici che hanno lanciato un appello per rimettere in moto l’Italia perché c’è sia l’emergenza sanitaria ma anche quella economica da affrontare al più presto.

Professore, perché ha firmato l’appello? Lei è un medico e, quindi, la sua opinione diciamo che “pesa” di più…

In prima istanza perché condivido appieno le posizioni contenute nell’appello promosso dal prof. Valditara e poi perché ritengo che sia opportuno che l’expertise espresso da questo gruppo di ricercatori e scienziati possa aiutare i decisori politici nell’identificare le strategie più opportune nel disegnare la fase 2 di uscita dall’attuale emergenza.

Dal punto di vista sanitario cosa ha funzionato e cosa non è andato bene in Italia?

Premesso che non sono un virologo ed epidemiologo credo, piuttosto, che sia più importante studiare, e questo lo dico da ricercatore, i due modelli Veneto e Lombardia (dove si sono raccolte significative differenze in termini di numero di pazienti infettati e deceduti) per comprendere al meglio quali strategie abbiano fornito i risultati migliori nel controllo della diffusione dell’infezione e del successo terapeutico in termini di sopravvivenza dei pazienti una volta contratta la malattia.

Nell’appello si fa ricorso al contact tracing come possibile soluzione unita al bisogno di eseguire tamponi a tappeto, prendendo a modello quello della Corea. Pensa che siamo attrezzati?

Come estensori del documento noi abbiamo avanzato delle proposte sostenute dall’analisi delle esperienze recenti. Credo che ora sia compito degli epidemiologi affinare queste indicazioni e dar modo così alle autorità di identificare le strategie più opportune per tradurre in atti concreti i suggerimenti proposti. Non posso credere che un Paese come l’Italia non sia in grado di identificare tecnologie e comportamenti adeguati a rendere realtà fattuale le ipotesi proposte.

C’è dibattito sulle date di “riapertura” del Paese. È possibile secondo lei ipotizzare quando può partire la fase 2?

Non mi permetto di fare previsioni non avendo competenze specifiche per rispondere a questa domanda. Mi auguro però che possa avvenire al più presto. Gli esperti suggeriscono ipotesi di lavoro che prevedono di testare su aree circoscritte l’utilizzo combinato di test sierologici e controllo, mediante app dedicate, sulla mobilità delle persone. Sicuramente un lockdown prolungato e generalizzato ha un impatto significativo non solo di tipo sanitario ma anche economico e sociale che non può essere prorogato in tempi non definiti. Ecco perché come indicato nell’appello dei 150 accademici pensare alla fase 2, successiva all’ emergenza, diventa necessario ed inderogabile.

In un’intervista a Formiche.net il prof. Valditara ha detto: “Non possiamo limitarci all’idea del contenimento che sul lungo periodo rischia di essere ancora più pericoloso del virus”. È d’accordo?

È un segnale importante riuscire a disegnare un percorso concreto e integrativo evitando di rincorrere l’emergenza e le sue conseguenze. È opportuno predisporre e disegnare con anticipo le strategie. Riassumerei l’intero percorso della fase due con la teoria delle 3D (dati, dispositivi e diagnostici): se non ci facciamo trovare impreparati sicuramente il futuro dipenderà da noi e non dal susseguirsi caotico degli eventi

Molti medici non condividono la retorica che li dipinge come “eroi” contro il coronavirus. Lei cosa si sente di dire?

Sono molto contento come medico che venga finalmente riconosciuta a livello di opinione pubblica la dedizione che tutti gli operatori sanitari, quindi non solo i medici, hanno profuso nella loro attività quotidiana. L’Italia è un paese strano dove fare il proprio dovere diventa un atto eroico. Non abbiamo bisogno di eroi ma di professionisti (medici, infermieri, tecnici) che facciano al meglio ciò per cui hanno studiato e si sono preparati, nel contempo sarebbe opportuno che il giusto riconoscimento (morale ed economico) trovasse piena applicazione sempre e non solo nei momenti emergenziali.

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