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L’Opa di Di Battista nel M5S? De Masi spiega perché prevarrà Di Maio

A volte ritornano. Sulla scena politica è uno sport abbastanza frequente. Se poi si parla del Movimento Cinque Stelle ancora di più. E, Alessandro Di Battista, dopo aver vergato compulsivamente i suoi reportage dai suoi viaggi dal sapore esotico, è tornato a dire la sua. Le basi della nuova idea movimentista espressa da Dibba su un lungo articolo sul Fatto Quotidiano prendono le mosse da alcuni mantra del grillissmo delle origini. Per capire meglio gli sconvolgimenti in atto interni ai pentastellati, abbiamo fatto due chiacchiere con Domenico De Masi, professore emerito di sociologia del lavoro all’università La Sapienza.

Professore, la riscossa di Dibba, tornato a far sentire la sua voce su Draghi, Cina ed Europa, che ricadute avrà sul movimento Cinque Stelle?

Immagino che Alessandro Di Battista abbia un suo seguito. D’altronde, all’interno del movimento ci sono varie anime, così come all’interno dei partiti. La differenza sostanziale però è che i movimenti si costituiscono con l’obiettivo di rappresentare una serie di interessi nei quali un gruppo più o meno ampio di persone si riconoscono però il movimento si presenta come tanti granelli di sabbia. Il partito invece, pur avendo al suo interno diverse correnti, ha una sua integrità e si presenta come un mattone. Il partito è stato prima di tutto un movimento, ma il movimento non sempre riesce a diventare un partito. Il processo di transizione è piuttosto lungo e talvolta complesso proprio perché deve far coesistere le tante anime che lo popolano.

I Cinque Stelle già da tempo stanno avviando un processo di riorganizzazione interna che vede contrapporsi la visione più movimentista da un lato e più istituzionale dall’altro. Crede che, a emergenza Covid-19 finita, questo causerà lacerazioni all’interno della classe dirigente grillina?

Di Maio e Di Battista addirittura negano che ci sia una destra e una sinistra. Se questo manifesto di Di Battista causerà lacerazioni è improbabile dirlo ora. Sicuramente entrambi dovranno rendersi conto che una destra e una sinistra ci sono ancora. Ad ogni modo, io spero che questa emergenza causi problemi un po’ in tutti i partiti perché credo fermamente che gli attuali rappresentanti della classe politica abbiano totalmente smarrito l’idea di società che vogliono perseguire. Peraltro camuffando il tutto con la parola post-ideologia. In realtà, ci troviamo di fronte a partiti che un’ideologia non ce l’hanno proprio. Gli stati liberali si fondavano sul pensiero di Montesquieu. Il Sacro Romano Impero aveva i Vangeli. Oggi, non c’è nulla.

Dalla Farnesina Luigi Di Maio e proprio grazie alla crisi è riuscito a ritagliarsi un nuovo protagonismo politico. Come valuta il suo operato?

Più che parlare di un operato, parlerei di non operato. Di Maio ha avuto una buona intuizione in politica estera: ha mantenuto una linea di equidistanza tra la Cina e gli Stati Uniti. D’altro canto è stata l’America stessa a guida di Trump a scegliere la linea isolazionista e in un certo senso ha abdicato alla volontà di essere la guida del mondo occidentale. Da questo punto di vista occorre anche considerare che l’Italia non ha mai avuto una vera e propria politica estera, se non ossequiando quanto stabilito dalla Nato. La scelta di Di Maio è assimilabile a quella di Tito quando si mise fra due blocchi. Quindi, l’Italia ha scelto di non essere allineata e di non vendersi a nessun padrone.

Dalla sua analisi emerge che il Movimento Cinque stelle si trovi in un momento magmatico di transizione ma che non abbia ancora raggiuto una dimensione e una maturità. Maturità che invece dovranno essere le urne a stabilire. Se dovesse fare una previsione, pensa che gli elettori di M5S premieranno la responsabilità di Di Maio oppure la spinta movimentista di Di Battista?

Credo che, attualmente, il M5S sia più partito e meno movimento. Da otto anni di esperienza di partito non penso sia possibile tornare indietro. Tra le due anime prevarrebbe quella di partito alle urne. Si imporrebbe l’ala istituzionalista rappresentata da Di Maio e Patuanelli. Anche perché mettere il Paese nelle mani di uno che ha scritto le cose che ha scritto Di Battista nel suo libro…sarebbe un suicidio.

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