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Dopo il Covid-19 la guerra sarà meno fredda? Pellicciari legge Kissinger

Ci chiediamo come sarà il mondo dopo il coronavirus e già molto si va dicendo in questi giorni. Complice il fatto che tutti – analisti compresi – si stia fermi a casa ed il tempo a disposizione è molto per leggere, scrivere e riflettere in un presente sospeso.

Chi scrive, di origini bosniache, ha avuto la sfortuna di vivere una guerra, dalla quale ha maturato alcuni insegnamenti. Per esempio, che nel mentre della crisi è fondamentale pensare al dopo per esorcizzare le paure dell’oggi.  Va da sé che il dopo deve essere positivo. È un trucco che rientra nel piccolo manuale di resistenza umana di fronte ad eventi più grandi di noi.

Tra chi in questi giorni ci ha avvisato che “dopo” nulla sarà come prima, c’è anche Henry Kissinger. A 97 anni totem vivente delle relazioni internazionali, esempio di personalità apprezzata da analista più che per la sua esperienza politica cui deve notorietà ma anche critiche di opportunismo ed incoerenza.

Preoccupato per quanto seguirà dopo il Covid19, Kissinger traccia scenari e visioni cupe. Spiega in sintesi come ad essere messi in discussione sono i principi dell’ordine liberale e democratico, che andranno salvaguardati, pena il rischio di “incendiare il mondo”.

Non si può che essere d’accordo, per convinzione o per opportunità (non ci si mette mai contro i totem, per di più quelli viventi) e tuttavia, memori del suddetto precetto bosniaco, dovremmo sforzarci di pensare al domani anche in positivo. Ribaltare la prospettiva permette di osservare le opportunità oltre ai rischi, come proposto proprio su Formiche.net dal bravo Lorenzo Fioramonti.

Quale potrebbe essere dunque – dopo e grazie al Covid-19 – un importante cambiamento in meglio nel sistema delle relazioni internazionali? Uno dei primi riguarda la opportunità di arrivare ad un Nuovo Ordine Mondiale passando per nuove collaborazioni, prima impensabili e facilitate dallo sblocco di vecchie divisioni e incomprensioni.

Si prenda il caso dei rapporti russo-americani che ha toccato in questo ultimo decennio un record-low, con i dovuti distinguo, superiore a quelli della Guerra Fredda, dove almeno la dura competizione del bipolarismo aveva portato ad un ordine mondiale con definite zone di influenza reciproche, in genere rispettate dai contendenti.

Manca qui lo spazio per spiegare i motivi e le modalità del crollo di queste relazioni, ma parte importante ha giocato una regola base della geo-politica, che vuole che per uno Stato-Nazione dominante sia quasi più importante avere un nemico stabile e prevedibile che un pari amico.

Il nemico istituzionalizzato permette di definire in controluce e in forma speculare le proprie strategie, compattare i propri alleati, migliorare le proprie capacità in funzione di una situazione permanente di competizione e allerta, pur sapendo in cuor proprio che non si arriverà ad un vero redde rationem finale con il nemico.

Abbiamo assistito in questi anni a una serie di scontri molto accesi tra Washington e Mosca con incidenti che in altre epoche avrebbero portato ad una terza guerra mondiale e che pure si sono risolte con meno clamore.

Lo dimostra ad esempio l’uso sproporzionato dello strumento delle sanzioni: nella teoria delle relazioni internazionali intese come ultimo raro passo prima di un inevitabile conflitto, sono invece oggi divenute prima e frequente opzione introdotta proprio per evitarlo.

Tutto questo pare cambiare nel momento in cui il ruolo del nemico istituzionalizzato viene giocato non da un altro Stato-nazione dominante, bensì da un virus pandemico, peraltro diventato minaccia comune. Si creano nuovi paradigmi di collaborazione reciproca a mo’ di trama di un B-movie dove i due eserciti in guerra all’improvviso si coalizzano davanti all’invasione dei marziani.

Che qualcosa si stia muovendo in questa direzione è dimostrato dalla vicenda degli aiuti russi giunti negli Usa per il Covid, il cui valore simbolico è stato infinitamente più importante del loro risvolto pratico.  Ha inizialmente sorpreso che l’amministrazione Trump li abbia accettati ed è sembrato ad alcuni un errore impulsivo del presidente dare all’improvviso lo status di donatore a Mosca, dopo anni di freddezza diplomatica, che aveva coinvolto anche il settore degli aiuti.

Alla scelta del Cremlino di vietare in Russia ogni azione di Usaid (l’agenzia di cooperazione degli Stati Uniti), aveva risposto la stizzita reazione di Washington davanti a provocatorie proposte di aiuti Russi agli Usa (una su tutte, durante gli scontri razziali di Baltimora). C’è da scommettere che l’aereo cargo di aiuti russi all’America non resterà un caso isolato (per accettarli è probabile che lo State Department abbia negoziato la reciprocità di aiuti Usa da inviare alla Russia).

Sono dunque bastate poche settimane di un virus sconosciuto per mettere da parte le prassi del passato e facilitare un riavvicinamento tra i due contendenti, di cui gli aiuti sembrano essere un utile pretesto più che la causa

È troppo presto ovviamente per parlare di disgelo (sempre che quella che abbiamo visto finora sia stata una seconda Guerra Fredda), ma è sufficiente per sperare in un rafforzato dialogo per il periodo a venire tra Washington e Mosca.

Di sicuro male non farà al dis-ordine mondiale che regnava nel pre-Covid e in previsione, perché no, potrebbe facilitare un nuovo ordine mondiale nel post-Covid.


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