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Covid-19 cambia la politica italiana. Servirà un governo di unità. Parla Panarari

Un campo minato. Il governo si deve districare tra i fili di bombe che pian piano vanno rimosse. La metafora rende perfettamente l’idea di come ci si senta in questo momento dalle parti di Palazzo Chigi a nomine nelle società partecipate fresche d’intesa.

“Le nomine sono frutto di un accordo in cui il Pd si è confermato nella sua funzione di partito di sistema e il Movimento 5 Stelle ha avuto la quota preponderante per ciò che riguarda la rappresentanza”. L’analisi è lucidissima e in un qualche modo rispecchia anche l’equilibrio – a tratti fortemente minato – in cui i rappresentanti dell’esecutivo si trovano a dover fare i conti. A parlare è Massimiliano Panarari, docente dell’università Luiss Guido Carli e sociologo della comunicazione.

Nella configurazione dei ruoli che sono stati assegnati ai due partiti di governo nelle partecipate, Panarari identifica un gioco dei ruoli che “assegna al Pd una grande responsabilità in termini decisionali in un contesto di disintegrazione economica globale. D’altro canto, i 5 Stelle si sono mossi nell’ottica di una totale discontinuità rispetto allo scenario precedente che risentiva di una forte impronta renziana e gentilioniana”.

Al netto dei nominati, il tema che più caratterizza queste giornate concitate riguarda la gestione della cosiddetta Fase due. E, in particolare, la “mancanza di coordinazione tra il governo centrale e le regioni, in particolare a guida leghista e segnatamente la Lombardia”. A detta del docente “differentemente da Zaia che si sta muovendo molto bene nella gestione dell’emergenza Covid-19, il governatore Fontana sta tenendo alti i toni dello scontro e, la volontà tutta politica di voler riaprire per primo dopo essere stato quello che ha optato per il lockdown più stringente ne è una delle prove”.

Il deflagrare di questa conflittualità però è “devastante – osserva Panarari – per tutto il sistema economico e produttivo perché non fa altro che produrre incertezze che in un certo senso sono il veleno per l’economia”. Ma, soprattutto, la mancanza di una decisione univoca e di una strategia chiara da seguire “rivela una grande fragilità del sistema Paese. È evidente che il federalismo all’italiana ha delle grosse lacune: noi siamo il Paese della campagna elettorale permanente e questo si vede nel conflitto tra il presidente Conte e i Governatori di regione. Il tutto porta a creare un cortocircuito micidiale”.

Non solo. Attingendo a piene mani dai suoi studi classici che emergono lampanti nel proporre un’analisi degli scenari che identificano nella dicotomia tecnica – politica “l’inizio della fine” della politica stessa, Panarari è convinto che la task force di Conte alla cui testa si trova Colao sia la “rappresentazione plastica di una classe politica che voglia abdicare al suo ruolo e rinunciare a prendere decisioni che, la tecnica, ha avocato a se”. Anche se l’Italia in realtà “non dovrebbe pretendere dai tecnici soluzioni politiche ma, nei fatti, stiamo assistendo da questo punto di vista ad una vera e propria sostituzione”. Il rischio è che “la tecnica prenda gli spazi lasciati vuoti dalla politica, senza dover rispondere alle dinamiche complesse, anche dal punto di vista sociale, che la politica intesa come investitura di rappresentanza da parte dei cittadini dovrebbe fare”.

In questa situazione già sufficientemente ingarbugliata e magmatica, si allunga l’ombra del Mes e di un centrodestra che pare sia attraversato da molte divisioni interne. “L’opposizione è divisa. Da un lato – spiega il docente – Forza Italia anche grazie alla presenza di Antonio Tajani è più sensibile nei fatti alla sintonia europea e alla commissione. Questa cosa, però, non può essere recepita da FdI e Lega che peraltro hanno diverse competizioni interne. In più c’è la frangia sovranista dei 5 stelle che non può dire di sì al Mes per paura della Lega, sebbene una parte di movimento abbia fatto una parte di campagna elettorale su istanze sovraniste”.

Il futuro del centrodestra dunque agli occhi del sociologo della comunicazione appare di difficile previsione: “Prima del Covid-19 – spiega – ci trovavamo in una situazione nella quale si era registrata una battuta d’arresto alla cavalcata di Salvini. Ma la destra egemonizzava il campo di destra-centro in termini della narrazione populista, e nel frattempo montava la competizione sulla leadership vista anche la costante crescita di Fratelli d’Italia e il gradimento per Giorgia Meloni. Dopo il Covid-19 credo che lo scenario politico risulterà profondamente cambiato”.

L’auspicio di Panarari è che questo virus non apra un vulnus “nel quadro delle regole della democrazia liberale e dello stato di diritto”. Soluzioni possibili? “Un governo di unità nazionale a guida di Mario Draghi non sarebbe una cattiva idea. Anzi, potrebbe portare un contributo importante nella direzione di cercare di diminuire la violenza dei colpi di natura socio economica sul Paese e di un migliore posizionamento dell’Italia in termini di equilibri sovra nazionali”.

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