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Dallo Stato di diritto allo Stato terapeutico. Le stoccate di Becchi

“Siamo di fronte ad una dittatura senza carri armati”. Tranciante e oltremodo esplicito. Non lascia alcuno spiraglio all’immaginazione. Il commento di Paolo Becchi a margine della conferenza stampa di Giuseppe Conte suona come una sentenza senza appello.

“La Fase 2? Non c’è alcuna discontinuità rispetto alla precedente”. L’unica conferma, a detta dell’accademico, è quella di essere passati “dallo stato di diritto allo stato terapeutico. Una fase nella quale ci troviamo governati da un esecutivo che si occupa della nostra salute senza concederci la possibilità di rifiutare le cure”. La convinzione di Becchi è che l’intendimento di Conte & co sia quella di “addomesticarci: privandoci delle libertà individuali a partire da quella di muoverci liberamente, il premier e il governo ci sta riducendo allo stato di bestie. Siamo però trattati peggio dei cani perché, al di là dell’ora d’aria pilotata, non ci viene concessa neanche la carezza che all’animale domestico si accorda. Noi infatti siamo costretti a mantenere le distanze di sicurezza”.

L’apparente accettazione passiva delle ripetute restrizioni “è indice del fatto che sotto la cenere qualcosa si sta muovendo. Il popolo non è più disposto ad accettare queste privazioni. Perfino i vescovi della Cei sono intervenuti dopo l’intervento di Conte intravedendo nel nuovo decreto una violazione della libertà di culto”. Una privazione ulteriore che Becchi stigmatizza dicendo che “siamo di fronte a una barbarie: l’umanità che è in noi sta scemando. Si sta invece affermando la barbarie”. L’unica via d’uscita? “La disobbedienza civile, nel solco del modello Tel Aviv”. Ovvero “scendere in piazza, a distanza di sicurezza, con le mascherine per evitare i contagi e protestare a gran voce contro questa tirannia maldestramente travestita da democrazia”.

Sono affermazioni pesanti ma che Becchi fa risalire ad un fatto emblematico: “Con l’impiego massiccio di queste task force – dice – si stanno assumendo decisioni che riguardano tutto il Paese, anche di carattere politico, bypassando completamente il vaglio del Parlamento. È una follia”.

Coerentemente con la sua dichiarata apertura verso un sommovimento di piazza, l’accademico si pone in controtendenza rispetto agli esponenti che in qualche modo afferiscono al suo alveo valoriale dichiarandosi “a favore delle persone che sono scese in piazza a manifestare il 25 aprile”. Cioè: “Hanno fatto bene questi ragazzi seppur con la bandiera rossa (che non posso condividere) a scendere in piazza e manifestare. Hanno dimostrato di aver avuto coraggio. Il coraggio che manca all’opposizione”.

Poi la confessione. “Anche a me piacerebbe scendere in piazza – scandisce Becchi – ma con una sola bandiera (bianca) e con una scritta: libertà”. Sulle parziali riaperture che il governo ha concesso ad alcuni comparti del mondo produttivo a partire dal 4 maggio, Becchi non ha dubbi: “Il sistema produttivo avrebbe bisogno di una dose massiccia di interventi pubblici. Liquidità vera: insomma ci vorrebbe una nuova Iri. Non so come le imprese riusciranno a ripartire, di sicuro so che non c’è un programma e non c’è un’organizzazione. Deve però ripartire tutto il Paese e il governo avrebbe il dovere di salvaguardare le piccole e medie imprese”.

In definitiva l’analisi politica che il docente universitario consegna alle nostre colonne riguarda lo “stato d’eccezione nel quale Conte ci costringe a vivere. Più fasi ci saranno, più questo governo durerà, continuando a derogare rispetto ad ogni meccanismo democratico e proseguendo nella sua volontà di limitare le libertà del popolo italiano. Se non è dittatura questa”. Ai reclusi, l’ardua sentenza.

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