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Bergoglio, il Fmi e i Paesi poveri. Una nuova “pacem in terris”

C’è una pagina nella storia del Vaticano che è tornata di grande attualità. Questa pagina risale al 25 ottobre del 1962, quando papa Giovanni XXIII, alle ore 12 di quel giovedì, pronunciò dai microfoni di Radio Vaticana un discorso in francese. “Il papa buono” si rivolse direttamente ai governanti della terra e a tutti gli uomini di buona volontà per scongiurare il pericolo per la crisi di Cuba tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Mosca voleva far giungere le sue attrezzature missilistiche e atomiche all’Avana, Washington lo riteneva un attacco diretto alla sua sicurezza. Il messaggio era stato già consegnato – poche ore prima – all’ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede e ai rappresentanti dell’Unione Sovietica accreditati presso il governo italiano. Quando Kruschev e Kennedy aprirono il plico lessero per prime queste parole: “Signore, ascolta la supplica del tuo servo, la supplica dei tuoi servi, che temono il tuo nome. Questa antica preghiera biblica sale oggi alle nostre labbra tremanti dal profondo del cuore ammutolito e afflitto. Mentre si apre il Concilio Vaticano II nella gioia e nella speranza di tutti gli uomini di buona volontà, ecco che nubi minacciose oscurano nuovamente l’orizzonte internazionale e seminano la paura in milioni di famiglie.”

In data 15 dicembre 1962, pervenne al papa questo un biglietto di ringraziamento dal Cremlino: “In occasione delle sante feste di Natale La prego di accettare gli auguri e le congratulazioni… per la sua costante lotta per la pace e la felicità e il benessere.”. L’anno seguente fu divulgata l’enciclica più nota nella storia del cattolicesimo, intitolata Pacem in Terris. È la prima enciclica di un papa che non si rivolge solo ai cattolici, ma, conseguentemente con quanto detto il 25 ottobre dell’anno precedente, a loro come a tutti gli uomini di buona volontà. È l’enciclica in cui compare, per la prima volta, l’espressione “diritti degli uomini”.

12 aprile 2020. Il mondo intero è scosso dalla nuovo pandemia, impaurito, incapace di trovare la via di un cessate il fuoco anche provvisorio in tutti i teatri di guerra che mentre dilaga il coronavirus tormentano tanti cittadini del mondo. In occasione della benedizione alla Città e al mondo, papa Francesco formula diverse richieste, diverse “preghiere”, diversi auspici impellenti: “Si mettano in condizione tutti gli Stati, di fare fronte alle maggiori necessità del momento, riducendo, se non addirittura condonando, il debito che grava sui bilanci di quelli più poveri”.

La sera del 13 aprile 2020, Kristalina Georgieva, managing director del Fondo Monetario Internazionale ha rilasciato questa dichiarazione: “Oggi ho il piacere di rendere noto che l’executive board ha approvato l’immediata riduzione del servizio del debito a 25 Paesi membri del Fondo monetario internazionale in virtù del rinnovato Catastrophe Containment and Relief Trust (Ccrt)”.

La dichiarazione prosegue con l’indicazione delle cifre, delle misure immediate, oltre all’annuncio di alcuni doni pervenuti. I Paesi aiutati sono Afghanistan, Benin, Burkina Faso, Repubblica Centro Africana, Chad, Comoros, Repubblica Democratica del Congo, Gambia, Guinea, Guinea-Bissau, Haiti, Liberia, Madagascar, Malawi, Mali, Mozambico, Nepal, Niger, Rwanda, São Tomé and Príncipe, Sierra Leone, Isole Solomone, Tajikistan, Togo e Yemen.

Questa è la prima conferma che non siamo in guerra, come molti dicono, ma che dobbiamo capire di essere “tutti sulla stessa barca”, come ha detto proprio Francesco venerdì 27 marzo in Piazza San Pietro, giungendo da solo all’altare non dalla Basilica, cioè dall’alto, ma dalla piazza, cioè dal basso. La decisione del fondo ovviamente è solo un primo passo, relativo a sei mesi di debito, ma il passo c’è, e c’è tanto altro da fare. Ma un primo passo è stato compiuto. Questo è innegabile. Anche a Cuba non scoppiò la pace…

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