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Abbraccio della fratellanza contro i virus delle divisioni. Parla il prof. Courban

Accademico di fama internazionale, docente di medicina, apprezzato per i suoi scritti di teologia, direttore della pubblicazione dell’Università dei gesuiti di Beirut, Saint Joseph University, cristiano di rito ortodosso, profondo conoscitore dell’Islam, il professor Antoine Courban risponde con l’usuale sollecitudine e cortesia dalla sua abitazione di Beirut dove è “praticamente in quarantena”, come il suo interlocutore lo è nella sua abitazione romana.

Questa analoga condizione lo induce a partire dall’incognita che ci accomuna tutti: “In che mondo ci ritroveremo quando potremo uscire di casa?”. La domanda che pone, a suo avviso, non riguarda soltanto gli sviluppi economici, la recessione, la miseria, che dopo la morte di tanti riguarderà molti dei sopravvissuti, quelli che potranno uscire e rivedere la pace del sole. Questa domanda riguarda il cyber-mondo nel quale ci troveremo a vivere, con nuovi controlli post-pandemia che produrranno nuovi sistemi. Accanto ai metal detector per prevenire il terrorismo gli aeroporti si doteranno di nuovi sistemi di controllo sanitario, che probabilmente prevederanno non più le vecchie tessere per le vaccinazioni, ma cyber sistemi di controllo sanitario. Ci saranno così nuovi strumenti che attivandosi ci consentiranno accessi altrimenti impossibili?

Scenari difficili da valutare ma ai quali presto ci potremmo trovare davanti, immagina. Ma la plausibilità di scenari oggi impensabili ci viene dimostrata da scenari fino ad oggi impossibili eppure già lì, da settimane, sotto i nostri occhi. Il primo scenario nuovo per tutti noi è la chiusura dei luoghi del sacro. “I luoghi sacri sono chiusi, in tutto il mondo. Questo è un evento provvisorio certamente, ma che diffonde un messaggio profondo e che riguarda il nostro stesso rapporto con l’idea di sacro. Un luogo sacro è ‘separato’, non appartiene a questo mondo. È ‘proibito’, ‘sperato’, ‘interdetto’, è la casa di Dio. Oggi quel luogo, quei luoghi, sono chiusi: La Mecca, Gerusalemme, San Pietro e tanti altri celeberrimi luoghi sacri, templi, santuari… La casa di Dio è stata chiusa”. Perché anche lì, in quel luogo sacro, possiamo essere infettati. Questo dato provvisorio colpisce l’immaginario collettivo, soprattutto dei fedeli, ma non solo il loro. Così ragionandone è facile condurlo al punto di tante discussioni odierne: è la crisi della fede? È il trionfo della scienza nella dimenticanza o marginalità del sacro?

Il suo ragionamento, anche da medico, rifugge dall’idea di Dio come “magia”, ma proprio per questo vede una nuova opportunità per tutte le religioni, che nelle loro diversità anche formali, istituzionali, gerarchiche, le riguarda tutte. La religione intesa come rispetto di norme, codici, obblighi, istituzioni, si stempera davanti all’esigenza avvertita come impellente dalle persone. Ma proprio questa esigenza rappresenta l’opportunità: accanto al bisogno del vaccino emerge a suo avviso forte, evidente, il bisogno profondo di consolazione. Ed è proprio per questo che il professor Courban attribuisce una valenza e una portata globale, nel senso di universale, che travalica i confini del cristianesimo, in quell’immagine del papa da solo in Piazza San Pietro venerdì 27 marzo. Quel suo lento salire verso l’altare dalla Piazza-mondo, faticoso, doloroso, al credente Courban ha ricordato il doloroso salire di Gesù sul Golgotha; ma all’uomo Courban ha ricordato la condizione di tutti gli uomini vittime della pandemia.

In questo implicito collegamento il professor Courban scorge il messaggio universale: l’umanità ha certamente bisogno del vaccino, ma in questo momento di grave sofferenza riscopre anche il bisogno della consolazione, che non può essere gerarchica, istituzionale, magari secondo precise norme canoniche, ma calorosa, come l’abbraccio nella fratellanza umana. È un bisogno di consolazione che riguarda tutti e che unisce tutti, a differenza di ciò che speculando sulle paure mira a dividere. E proprio questo bisogno di consolazione fa emergere la fratellanza come realtà, fatto e prospettiva. Questo lo porta a indicare nel recente documento sulla fratellanza umana firmato ad Abu Dhabi una pietra miliare nel cammino dell’umanità intera e di tutte le religioni. Tutte le religioni sono chiamate a confrontarsi  con questa evidente necessità e con questa profonda novità e così richiama la nostra attenzione sull’importanza di un grande evento religioso ormai imminente, il Ramadan. Come sarà il Ramadan dei musulmani in quarantena? Ormai è imminente, impossibile immaginare per allora un ritorno alla normalità. E poi, riflette, non sarà un fatto  da comparare con la Pasqua ebraica e la Pasqua cristiana vissute in condizioni analoghe?

Le religioni maggiormente vissute in modo gerarchico-normativo possono avere più difficoltà a entrare in questa dimensione consolatoria, che non dissolve ma trasforma l’istituzione. Questo bisogno consolatorio è percepito nell’oggi ma rimarrà anche domani, con il probabile recupero di forme rituali ma anche con la forza della riscoperta di questo bisogno di consolazione che non potrà essere soddisfatto tornando al primato normativo. In questo vede nel pontificato di Francesco, e nella scelta del tema della fratellanza, un servizio reso a tutti.

L’idea di fratellanza umana come priorità il professor Courban l’ha già vista superare i limiti di tanti “confini” con la celebrazione del 27 marzo a San Pietro e torna a parlarne per sottolineare una novità: quell’indulgenza data a chiunque “la desideri”, senza altre condizioni, gli ha ricordato la benedizione del mercoledì santo degli ortodossi, in occasione della funzione per la benedizioni degli olii, una benedizione speciale per la riconciliazione che solo i vescovi possono decidere di dare. È questo elemento, il bisogno di riconciliazione, che lo porta ad auspicare una benedizione pasquale, Urbi et Orbi, da San Pietro, con l’innalzamento del crocifisso: “Quel sacrificio, sulla Croce, è stato compiuto per tutta l’umanità.”


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