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Golden Power, non tutti i poteri che luccicano sono d’oro. Parla Nones (IAI)

La normativa Golden Power ha allargato il perimetro delle aziende ritenute strategiche per la sicurezza nazionale (almeno temporaneamente) per far fronte al ciclone che il coronavirus sta portando nella nostra economia. Ora saranno necessarie una serie di mosse da parte di Palazzo Chigi per evitare che il meccanismo anti scalata così potenziato sfugga di mano. In primis, rafforzando la struttura presso la presidenza del Consiglio che dà impulso al meccanismo di controllo e poi con la creazione di un ufficio in ogni amministrazione competente, per seguire la strada tracciata dalla Pdc. Anche perché, “tra gli imprevisti di controllare troppo, c’è quello che alla fine non si controlli nulla” spiega a Formiche.net il vice presidente dell’Istituto affari internazionali (IAI), Michele Nones. “La ricetta è nel definire una strategia nazionale, non semplicemente delle regole”. Il timore è che “si cerchi di chiudere la stalla quando ormai i buoi sono scappati”. Attenzione a non confondere proprietà con capacità tecnologiche, poiché secondo il vicepresidente IAI, “il mantenimento delle capacità tecnologiche e industriali nazionali è ben diverso dal controllo degli assetti proprietari”.

Il governo ha appena approvato il decreto Liquidità all’interno del quale si amplia e rafforza la normativa Golden Power in chiave anti Covid-19. Tra le novità, si estendono le difese anti scalata ostile anche a soggetti europei, il tutto fino al 31 dicembre 2021. Si tratta di una modifica invocata da più parti, in primis dal Copasir, per tutelare il Paese. La condivide?

In termini generali mi sembra giusto aumentare il livello di attenzione nei confronti delle attività strategiche in un momento in cui il crollo delle borse per le società quotate e la crisi finanziaria e, fra poco, economica per tutte le imprese, potrebbe consentire facili acquisizioni da parte di investitori di Paesi terzi. Il rischio sarebbe quello di perdere prima il controllo nazionale ed europeo delle proprietà e poi delle capacità tecnologiche e industriali coinvolte. Quanto al merito delle disposizioni adottate ho qualche perplessità e l’impressione che non si siano valutate attentamente tutte le implicazioni. Mi sembra che, sotto la spinta emotiva della constatazione che in passato determinate produzioni nel settore sanitario o alimentare sono state via via abbandonate o non sono state sufficientemente tutelate, adesso si cerchi di chiudere la stalla quando ormai i buoi sono scappati. La mancanza di una strategia nazionale nei confronti delle attività strategiche non può essere sanata solo con nuove regole, anzi. Continuano a mancare le linee guida e le strutture che dovrebbero predisporre adeguatamente le decisioni e poi monitorarne efficacemente il rispetto. E continua a permeare il dibattito politico l’idea, quasi il mito, che il problema sia nella mancanza o debolezza delle regole e che, quindi, più regole e più stringenti, possano risolvere ogni cosa, a prescindere da strategia e strutture decisionali ed esecutive.

Quali sono i rischi ai quali il sistema incorre ampliando il Golden Power?

Il primo e più grave è che, volendo controllare tutto o comunque troppo, si finisca con il controllare niente. Fissare obiettivi irraggiungibili rischia di rendere meno credibile il controllo nei confronti di quanti potrebbero perseguire obiettivi in contrasto con i nostri interessi nazionali e, in compenso, creare ostacoli a quanti vogliono, invece, investire nel nostro Paese. Piaccia o non piaccia, l’Italia ha bisogno e deve, quindi, favorire nuovi investimenti nelle nostre imprese per consentire il loro sviluppo fisiologico. Entrare a far parte di un grande gruppo transnazionale o affiancarsi ad attività complementari o avere soci che possono favorire l’ingresso su nuovi mercati o semplicemente finanziare la crescita, non sono che alcuni degli esempi di internazionalizzazione virtuosa. Ma questo rischia di essere sfavorito da procedure di controllo incerte, complicate e troppo lunghe. Non va mai dimenticato che il mantenimento delle capacità tecnologiche e industriali nazionali è ben diverso dal controllo degli assetti proprietari. Questo obiettivo deve essere perseguito non utilizzando solo il Golden Power. Insieme vi può essere anche la partecipazione diretta (più o meno rilevante) al capitale sociale. In più vi sono le forme indirette offerte dalle diverse politiche pubbliche attuabili: acquisti, ricerca, controllo delle esportazioni (non solo militari, ma anche dual-use), sostegno delle esportazioni, autorizzazioni e abilitazioni. Infine vi è la moral suasion, tanto più forte quanto è forte e autorevole il governo e lo Stato che la esercitano.

Sono troppi a suo parere i settori attualmente inclusi nella normativa?

Il rischio è quello di creare confusione sulla gerarchia delle attività strategiche. Come noto, l’attuale legislazione è nata attorno all’esigenza di controllare gli investimenti nel settore della difesa e della sicurezza. Parallelamente, ma con modalità meno stringenti, vi erano stati affiancati trasporti, energia e comunicazioni, ritenuti giustamente strategici, seppure in posizione secondaria. Poi si è allargato il perimetro alle attività cibernetiche, considerando giustamente questa nuova dimensione come trasversale a tutte le altre. Adesso si aggiungono moltissimi altri settori: infrastrutture critiche fisiche o virtuali (tra cui energia, trasporti, acqua, salute, comunicazioni, media, trattamento o archiviazione di dati e infrastrutture aerospaziali, di difesa, elettorali o finanziarie, strutture sensibili), nonché gli investimenti in terreni e immobili fondamentali per l’utilizzo di tali infrastrutture; tecnologie critiche e prodotti a duplice uso (tra cui intelligenza artificiale, robotica, semiconduttori, cyber-sicurezza e tecnologie aerospaziali, di difesa, di stoccaggio dell’energia, quantistica e nucleare, nonché le nanotecnologie e le biotecnologie); sicurezza dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici (tra cui energia e materie prime, nonché la sicurezza alimentare); accesso a informazioni sensibili (compresi dati personali o capacità di controllare tali informazioni); settori attinenti la libertà e il pluralismo dei media. Tutti, o quasi, possono, essere considerati strategici, ma non lo sono evidentemente nello stesso modo. L’attuale sistema di controllo degli investimenti è, invece, programmato in modo indifferenziato.

Tuttavia, l’uso allargato del Golden Power è soltanto temporaneo…

Sembra esserci un rischio di snaturamento del sistema Golden Power. È sbagliato cercare di utilizzarlo per evitare cessazioni di attività ritenute strategiche o per avviarne nel nostro Paese, così come per scoraggiare ristrutturazioni e riorganizzazioni societarie motivate da ragioni di efficientamento organizzativo (ma a volte anche da facilitazioni fiscali e burocratiche). Ogni strumento è fatto per svolgere una determinata funzione: solo eccezionalmente e per breve tempo può essere utilizzato diversamente e i risultati non sono, per definizione, ottimali. Il Golden Power non può essere visto come la panacea di tutti i mali della globalizzazione economica, finanziaria e industriale. I risultati, alla fine, potrebbero essere insufficienti e la delusione cocente.

Tradizionalmente il Golden Power italiano, prima di questi ultimi decreti, tutelava soltanto le aziende strategiche e della difesa. Quali sono state le difficoltà incontrate nel funzionamento del meccanismo di controllo?

Il Golden Power offre al governo tre possibilità: 1) prendere atto dell’investimento estero 2) fissare delle condizioni a cui l’investitore e la società coinvolta devono sottostare 3) impedire l’investimento. La prima e l’ultima si concludono comunque rapidamente. La seconda, per usa natura, è la più complicata perché deve, caso per caso, individuare quali misure servono per tutelare l’interesse nazionale e controllare poi che vengano rispettate nel tempo. Nella fase istruttoria è fondamentale la velocità decisionale perché nell’economia reale la fase di incertezza che intercorre fra il momento in cui l’investitore concorda con gli altri soci il suo ingresso e il momento in cui questo si verifica lascia l’impresa in una condizione di incertezza, particolarmente delicata nel rapporto con i clienti e con i fornitori, oltre che con le banche. All’inizio del Golden Power si ritenne che quindici giorni potessero essere sufficienti, poi, giustamente, due anni or sono si aumentarono a quarantacinque. Per questa ragione nella prassi si è sempre cercato di anticipare il più possibile ogni decisione, senza aspettare la scadenza dei termini. Fino ad ora, comunque, il sistema ha retto ed è riuscito a gestire il normale carico di lavoro. Qualche criticità si è avuta nei settori civili, soprattutto in sede di interpretazione dell’area di applicazione. L’aggiunta delle attività cibernetiche ha, peraltro, consentito di chiudere un potenziale varco in un settore particolarmente delicato. In ogni caso, l’esperienza di questi otto anni ha evidenziato che per affrontare queste tematiche sono necessarie conoscenze specifiche, non sempre disponibili all’interno delle nostre amministrazioni, dove, i meccanismi di promozione, rotazione e pensionamento portano troppo spesso a perdere competenze ed esperienze preziose.

Ma chi controlla chi? Quanto è importante l’efficacia della macchina di controllo e da chi viene attivata? Ora che la tutela si allarga a dismisura, per le nuove materie inserite nel decreto, pensa sia opportuno prevedere un irrobustimento dei meccanismi predisposti al controllo?

Nell’attuale sistema Golden Power l’attività istruttoria e di controllo successivo è demandata all’amministrazione con competenza prevalente. È, invece, compito della presidenza del Consiglio dei ministri ricevere e smistare le informazioni e designare, caso per caso, l’amministrazione che deve gestire l’iniziativa prevista. Sulla fase del controllo siamo sempre stati molto deboli, ma è, purtroppo, una caratteristica del nostro sistema-Paese. A volte arriviamo così sfiniti a ogni decisione che sembriamo non avere più le forze necessarie per controllare che tutto vada come previsto. O, più banalmente, sembriamo restii a mantenere nel tempo la necessaria attenzione. Per rimanere al settore della difesa e della sicurezza basti osservare cosa avviene con i nuovi programmi di investimento: tempi lunghissimi per arrivare a tutte le approvazioni necessarie dentro la Difesa, il governo e il Parlamento e poi per firmare il contratto. Dopodiché si rischia di dimenticare tutto e il programma va avanti per inerzia, salvo i frequenti tagli e allungamento dei tempi. La stessa riflessione si potrebbe fare per le missioni internazionali: polemiche interminabili al loro avvio e poi troppo spesso dimenticate, a meno che non vi siano gravi episodi.

Come ovviare al problema delle competenze, quindi?

Sarebbe indispensabile costituire in ogni amministrazione uno specifico ufficio (non necessariamente grande, ma sicuramente formato da personale qualificato) che possa svolgere i compiti previsti dal Golden Power sulla base di modalità comuni indicate dalla presidenza del Consiglio. Oltre all’istruttoria dei nuovi casi dovrebbe essere regolarmente e sistematicamente controllato il rispetto delle prescrizioni fissate dal governo nei confronti di investitori e società. E, ovviamente, anche la PCM dovrebbe vedere rafforzata la propria struttura per affrontare il forte allargamento del perimetro di applicazione della normativa Golden Power.

Una maggiore sinergia con l’intelligence potrebbe aiutare il funzionamento del meccanismo?

Nel caso del Golden Power non si tratta tanto di raccogliere solo le informazioni che le imprese devono regolarmente fornire in merito al rispetto delle prescrizioni, ma di analizzarle e integrarle con tutte le altre che possono essere acquisite formalmente e informalmente per evitare che si creino delle criticità più che per doverle poi affrontare. Molto spesso tali informazioni sono di natura riservata e devono, quindi, essere utilizzate per avviare approfondimenti, anche se non possono essere presentate ufficialmente. Lo stesso, d’altra parte, vale anche per la fase istruttoria. In questo senso è fondamentale l’apporto che può venire dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza della presidenza del Consiglio. Non a caso nell’ultimo biennio il Rapporto annuale del Dis ha ripetutamente richiamato l’attenzione sulla necessità di tutelare meglio le nostre attività strategiche.

Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica presieduto da Raffaele Volpi, ha avuto un ruolo di stimolo da non sottovalutare nel rafforzamento del Golden Power.

Il Copasir sta affrontando sistematicamente questa problematica e dovrebbe auspicabilmente diventare sempre più la sede privilegiata per il confronto fra governo e Parlamento per definire le linee guida della nostra strategia nazionale nei confronti degli investimenti esteri in Italia.

La prima applicazione della normativa Golden Power avvenne con l’acquisizione da parte del colosso Usa GE dell’italiana Avio. Poi altre attivazioni della normativa hanno riguardato la Piaggio. Cosa ci insegnano questi due casi?

Il primo è quello su cui si è costruita l’iniziale legislazione e, per fortuna non vi sono stati problemi. Il secondo è, invece, un caso emblematico: nonostante due interventi governativi le prescrizioni imposte all’investitore non sono mai state rispettate, nemmeno al semplice livello delle informazioni che dovevano essere comunicate e la rinuncia dell’investitore e il conseguente commissariamento della società sono arrivati come un fulmine a ciel sereno, dopo ben sei anni di semi-agonia della quale nessuno sembrava accorgersi. Forse, se si fosse intervenuti subito, quando la “malattia” ha cominciato a manifestarsi, il paziente poteva essere stabilizzato e, seppur con sacrifici, poteva riprendersi.

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