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Golden Power? Un segno di debolezza. Ecco la versione del prof. Cassese

“Le norme sul golden power? Un grande segno di debolezza”. Il professor Sabino Cassese non ha dubbi: la disciplina contenuta nel decreto varato ieri dal governo, a suo avviso, non deve essere salutata positivamente.

“Sono fortemente contrario a provvedimenti di questo tipo perché vogliono dire che la struttura industriale italiana e lo Stato sono deboli e che quindi è necessario avere una pistola, un’arma, per potersi difendere”, ha affermato il giudice emerito della Corte Costituzionale, secondo il quale la soluzione andava, invece, cercata nella Costituzione: “Se ci ricordassimo che nella nostra Carta costituzionale che c’è un articolo che dice che la Repubblica promuove la formazione del risparmio privato per indirizzarlo alla proprietà dei grandi complessi produttivi del Paese? Se facessimo quello che c’è scritto nella Costituzione, non ci sarebbe bisogno di barriere. Ci sarebbero italiani che comprano le azioni delle aziende italiane. Ed è così che si difendono le nostre imprese, non prevedendo poteri di autorizzazione appannaggio del governo”.

Nel corso di una video-intervista rilasciata all’Istituto per la Competitività (I-Com) nell’ambito della video-rubrica dal titolo “A casa con“, Cassese ha poi parlato più largamente di un tema oggi al centro del dibattito politico ed economico: il ruolo dello Stato in economia. “È un argomento avvolto dentro le mitologie”, ha commentato da questo punto di vista il professore della School of Government della Luiss. Che poi ha aggiunto: “Ad esempio,  Margaret Thatcher per varare le sue privatizzazioni ha dovuto inevitabilmente rafforzare in modo rilevante lo Stato perché altrimenti non sarebbe stato possibile.

Lo Stato è sempre rimasto lì con tutta la sua potenza di fuoco, qualche volta in maniera più visibile e qualche volta meno. Come in queste settimane, nelle quali ha riacquistato forza e, soprattutto, visibilità”. E in cui – ha sottolineato ancora Cassese – ha pure riscoperto il valore della competenza: “Ormai la nostra vita dipende in tutto e per tutto dalle persone competenti: un valore che è stato disprezzato in passato e che oggi è tornato in auge”.

In tal senso, il giudice emerito della Corte Costituzionale è tornato a battere sull’importanza di un tema sul quale si è spesso concentrato in passato, la formazione della classe dirigente in Italia: “L’attuale ha poche esperienze e una formazione culturale generale modesta. Penso, per fare un esempio italiano, alla differenza con  Giovanni Giolitti all’inizio del secolo scorso oppure con due leader di oggi come Angela Merkel in Germania ed Emmanuel Macron in Francia”.

Dall’altra parte, come è emerso ancora negli ultimi giorni, l’emergenza scatenata dal coronavirus ha riacceso il dibattito sull’assetto dei rapporti tra Stato e regioni e sulla relativa distribuzione delle competenze. A questo proposito c’è chi propone di riformare la Costituzione per riassegnare al centro in particolare la sanità e chi ipotizza, invece, l’introduzione di una clausola di supremazia che in nome dell’interesse nazionale possa consentire allo Stato, in presenza di determinate circostanze, di recuperare competenze assegnate in via concorrente o esclusiva alle regioni.

Ma Cassese non è d’accordo: “Penso che non ci sia bisogno né dell’uno né dell’altro: dovremmo invece ricordarci di quanto è scritto nelle leggi della Repubblica italiana. La Costituzione afferma che la profilassi internazionale spetta esclusivamente allo Stato e che il governo centrale può sostituirsi ai governi periferici quando è in pericolo l’incolumità della nazione. Già la Costituzione consentiva di evitare questa cacofonia di voci”.

E invece? “Sentiamo il duca di una regione, il principe di un’altra, il marchese di un’altra ancora: ognuno dei quali sostiene di volere affrontare da solo il problema. Ma non hanno nemmeno il senso del ridicolo. Abbiamo un fenomeno globale che mai si è verificato nella storia del pianeta: le pare che il duca di una piccola regione italiana possa farcela solo?”.

E cosa ne pensa, invece, del dibattito sulla gestione dell’emergenza di cui tanto si è discusso in queste settimane? Ci vorrebbero poteri speciali da potere attivare in presenza di condizioni straordinarie e urgenti? “Nella nostra Carta non esistono, direi grazie a Dio, gli articoli corrispondenti a quelli tra il 48 e il 54 della Costituzione ungherese. Non esistono perché non si è pensato di introdurre un criterio generale di emergenza, di pericolo. Sono stabiliti limiti soltanto diritto per diritto: ad esempio alla libertà di circolazione o di riunione. Ed è indicato chi può e deve intervenire”.

Ma, allora, qual è stato in tal senso il problema? “Quando c’è un’emergenza di questo tipo chi scrive le norme dovrebbe conoscere la legislazione vigente: la raccolta di qualche giorno fa comprendeva 300 pagine tra decreti legge, decreti del presidente del Consiglio dei ministri, ordinanze regionali e comunali, nonostante vi sia in Italia un testo unico delle leggi sanitarie. Ma c’è qualcuno che ricorda che esiste e che c’è un blocco di articoli che riguarda proprio la gestione delle emergenze e delle epidemie?”.

A questo riguardo, secondo Cassese, le difficoltà nella catena di comando che sono emerse in particolare all’inizio dell’emergenza (qui la nostra conversazione con l’ambasciatore Giovanni Castellaneta) sarebbero dipese “per il 20% da pure ignoranza delle leggi esistenti e per l’80 dallo squilibrio che si è venuto a creare tra i governatori – come vengono abusivamente chiamati i presidenti delle giunte – di alcune regioni e il potere centrale”.

Al centro sarebbe mancata “l’autorevolezza” mentre “in sede locale ci sono persone che pensano che non esiste un servizio sanitario nazionale bensì una confederazione di servizi sanitari regionali. Lo hanno anche affermato ma senza rendersi della contraddizione: il problema più globale che esiste sul pianeta terra è il coronavirus, contro il quale loro lottano con un foglio di carta”.

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