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Virus, governo ai limiti della Costituzione. Ora cambi strada. Parla Lippolis

“Un Parlamento che non vuole essere emarginato ha tutte le possibilità per chiamare il governo a spiegare la sua linea di azione e a controllare il suo operato”. Ne è convinto Vincenzo Lippolis, docente di diritto costituzionale e comparato all’Unint e costituzionalista, che percorre con Formiche.net le critiche che in questi giorni sono state mosse al governo sull’uso smodato di Dpcm per far fronte all’emergenza Covid-19. Il governo si muove al di fuori del dettato costituzionale? La risposta non può essere dicotomica.

Aumentano le voci che avanzano dubbi o mettono decisamente in discussione la conformità alla Costituzione delle modalità con le quali il governo sta affrontando l’emergenza creata dalla diffusione del Corona virus. Su cosa si basano questi rilievi?

La critica si rivolge alla utilizzazione del Dpcm (decreto del presidente del consiglio, un atto normativo secondario, subordinato alla legge) al fine di prevedere limitazioni di diritti garantiti in Costituzione. Limitazioni pesanti che stiamo sperimentando tutti noi in questi giorni e che riguardano la libertà di circolazione e di soggiorno, il diritto di riunione, il diritto al lavoro, il diritto di iniziativa economica, il diritto di professare una fede religiosa. La costituzione tutela la salute come diritto “fondamentale” e prevede che limiti ad altri diritti possano essere posti per motivi di sanità o di sicurezza pubblica, ma chiede che ciò avvenga mediante la legge (c.d. riserva di legge), mentre – e qui si fonda la critica – il governo pone limitazioni con atti che non sono sottoposti alla firma del capo dello Stato, né esaminati dal parlamento. Così facendo incide su aspetti fondamentali della libertà dei cittadini sfuggendo ad ogni controllo ed al confronto con il parlamento. Abbiamo assistito ad un uso dei decreti del presidente del consiglio del tutto inusuale.

Detto così sembrerebbe che si sia fuori del dettato costituzionale.

È necessario precisare. La riserva di legge viene distinta dai giuristi in assoluta e relativa. È assoluta, quando l’intera disciplina della materia è riservata alla legge. È relativa quando alla legge spetta la disciplina essenziale o di principio e agli atti dell’esecutivo l’ulteriore disciplina di dettaglio. Il governo ha adottato due decreti legge, atti equiparati alla legge, ma sottoposti al vaglio del parlamento, nei quali ha previsto di poter intervenire con Dpcm anche per limitare diritti costituzionali. Ha cioè dato una base legislativa agli atti del presidente del consiglio. Il primo di questi due decreti è già stato convertito in legge, il secondo è all’esame delle camere.

Quali sono le maggiori criticità?

Secondo me, un problema nasce dal fatto che la riserva di legge per i diritti che vengono limitati è assoluta. E poi, anche ammesso che la costruzione possa reggere, mi pare necessario che la previsione di emanare tali atti sia ben circoscritta. Nel primo decreto legge vi era una previsione del tutto generica, una sorta delega in bianco, nel secondo il raccordo tra norma legislativa e Dpcm è stato meglio definito.

Così il governo si sarebbe posto almeno in parte al riparo da incostituzionalità?

Non del tutto. Un meccanismo come quello descritto è al limite perché lo strumento previsto dalla Costituzione per situazioni di straordinaria necessità e urgenza è il decreto-legge che è emanato dal Presidente della Repubblica e deve essere convertito in legge dal parlamento entro sessanta giorni. Al contrario, come dicevo prima, si è attribuito al presidente del consiglio un potere di emanare atti che limitano libertà fondamentali senza che tali atti siano sottoposti al vaglio del presidente della Repubblica e delle camere. Si deve anche tener presente che i Dpcm possono essere emanati ancor prima che il parlamento si sia pronunciato.

Il comportamento del governo è quindi da bocciare?

Non si deva andare con la scure. Di fronte all’erompere di una gravissima emergenza come quella che stiamo affrontando è naturale che sia l’esecutivo ad agire e può essere accettata qualche forzatura giustificata dal fine di combattere l’emergenza. È inutile prendere la matita rossa e blu per evidenziare sbavature. Le norme costituzionali vanno interpretate con riferimento al contesto. A febbraio l’imperativo era di respingere il virus. Il problema è semmai quello della durata: si può procedere come si è fatto solo temporaneamente, in un arco di tempo ristretto e per combattere il nemico che incombe. Ora che la situazione si sta normalizzando riterrei che si possa intervenire, quando necessario, mediante decreti-legge e ristabilire un più continuo rapporto con il parlamento. Non penso assolutamente che si possa parlare di colpo di Stato, ma vi è stata una concentrazione di potere nelle mani dell’esecutivo che non può protrarsi.

Può dirsi che il governo ha emarginato il parlamento?

A fronte di situazioni emergenziali è al governo che spetta affrontarle in prima battuta. Ciò però non può condurre ad una elusione continua del confronto con il Parlamento. Voglio però notare che in questo periodo le camere si sono riunite molto di più dei parlamenti di altri Paesi e hanno avuto modo di interloquire riguardo ai problemi causati dalla pandemia. Certo sono state tagliate fuori quanto alle misure concrete adottate con i vari Dpcm. Però un Parlamento che non vuole essere emarginato ha tutte le possibilità di chiamare il governo a spiegare la sua linea di azione, di controllare il suo operato e di dare direttive all’esecutivo. I regolamenti parlamentari contengono un arsenale di strumenti procedurali per intervenire.

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