Tutte le strade d’Italia, mai come in queste settimane, portano a via XX settembre. Nei giorni del lockdown e della grande paura per le conseguenze economiche, oltreché naturalmente sanitarie, della pandemia è al ministero dell’Economia e delle Finanze che guarda con più apprensione e interesse il Paese: le imprese per capire quali saranno le tappe e le ricette della ricostruzione che ci attende, i cittadini e i lavoratori per sapere su quali risorse potranno fare affidamento, i partiti tutti – di maggioranza e di opposizione – per decifrare portata e ampiezza dell’intervento pubblico a sostegno del tessuto produttivo italiano. Un fuoco incrociato di richieste e sollecitazioni pressanti al centro del quale si trova Roberto Gualtieri, sempre più sul filo di lana tra la prospettiva di riuscire a trovare i fondi necessari a salvare il salvabile – magari, ma l’ipotesi al momento sembra piuttosto remota, pure con l’aiuto dell’Europa, dove il ministro, visto il suo passato, può fare affidamento su una rilevante rete di relazioni – e il rischio di passare, infine, come il capro espiatorio di tutto.
Il tempo, d’altronde, stringe, ma la coperta è corta. Cortissima. Il primo decreto, il cosiddetto Cura Italia, è stato approvato ma le risorse stanziate – non troppe, per la verità, soprattutto in paragone a cosa sta succedendo all’estero – sono rimaste in sostanza incagliate, come si è tragicomicamente visto nei giorni scorsi all’Inps. Ora si attende il secondo cruciale passaggio con il cosiddetto decreto Aprile, ormai già famigerato visto che se ne parla da settimane senza che sia affatto chiaro quando sarà approvato né cosa prevederà nel concreto. Per non parlare dell’ammontare economico di questa manovra straordinaria sulle cui cifre, ufficialmente, regna sovrano il silenzio. L’unica certezza, in questo senso, è che i tempi paiono dilatarsi rispetto alle previsioni, in attesa che l’Europa batta un colpo e che giunga qualche buona notizia sul fronte sanitario, in grado magari di accelerare i tempi di una sia pur parziale, e progressiva, riapertura.
Nel frattempo, però, il pressing su Gualtieri cresce. Nelle prossime ore il ministro parteciperà, insieme a Giuseppe Conte, al secondo round della videoconferenza con i rappresentanti delle opposizioni sulle misure economiche da varare per far fronte alla crisi. E’ chiaro come Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia su questo versante siano destinati, in tempi piuttosto brevi, ad alzare inevitabilmente i toni. “Martedì prossimo si riunirà l’Eurogruppo, vogliamo sapere preventivamente se il governo è intenzionato a chiedere l’attivazione del Mes”, ha twittato ad esempio oggi l’eurodeputato leghista Antonio Rinaldi. Ma lo stesso processo si è già innescato pure nella maggioranza, in particolare ovviamente tra i cinquestelle, tra i quali si moltiplicano i distinguo e le prese di posizione più o meno pubbliche. In gioco c’è, tra le altre cose, la possibilità di ricorrere oppure no al Meccanismo europeo di stabilità, all’utilizzo del quale, pure senza le condizioni capestro che tanto hanno fatto discutere in questi mesi, i pentastellati oppongono una netta ostilità. D’altro canto nel Partito democratico sembra prevalere, almeno pubblicamente, la linea della trattativa con Bruxelles, rappresentata in particolare dallo stesso Gualtieri e dal commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni. Approccio pragmatico che però, anche tra i maggiorenti democratici, non convincerebbe del tutto.
Un groviglio di tensioni che inevitabilmente si scarica sul ministro dell’Economia, chiamato in queste ore a una difficilissima operazione di sintesi, nella maggioranza, tra le forze politiche e gli attori economici e in Europa. L’obiettivo è trovare una linea il più possibile comune all’interno, da rappresentare poi compattamente a Bruxelles. L’esito, però, è tutt’altro che scontato così come non lo sono le conseguenze politiche che questo delicato passaggio porta con sé. Una soluzione al ribasso o, peggio ancora, la mancata intesa – con il drammatico impatto che ne deriverebbe su tutto il Paese – spingerebbero nell’angolo il ministro dell’Economia con effetti a cascata difficili da prevedere. Al contrario, se dovesse farcela – se cioè riuscisse a trovare un accordo, in Italia e in Europa – ne uscirebbe rafforzato, al punto da essere addirittura proiettato a Palazzo Chigi nel caso, al momento di scuola per la verità, che questo esecutivo non riesca a reggere e che quello di unità nazionale guidato da Mario Draghi, e tanto evocato in queste ore, non decolli. Le Colonne d’Ercole sono ormai in vista.