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Hitchcock, cosa resta a 40 anni dalla morte dell’inventore della suspense

Il padre, per punirlo per una innocente marachella, lasciò il bambino, per ore, chiuso in una stanza di un Police Office di Londra. Quella esperienza, vissuta a nove anni, dovette marcare tanto il futuro maestro del thriller, Alfred Hitchcock, se uno dei temi ricorrenti del suo cinema sarà quello dell’innocente incolpato ingiustamente.

Infatti, dal periodo inglese degli anni Trenta (I trentanove scalini, 1935, Giovane e innocente, 1937) sino a quello hollywoodiano (Io confesso, 1954, Il ladro, 1956) per chiudere la carriera in UK (Frenzy, 1972), sono diversi i personaggi impegnati a lottare per dimostrare la propria innocenza o estraneità a dei fatti di cui sono ritenuti colpevoli o nei quali il caso ve li ha fatti precipitare (L’uomo che sapeva troppo 1956; Intrigo Internazionale, 1959).

Questo motivo fa parte di un tema più generale, presente in tutto il cinema di Alfred Hitchcock: quello del normale scorrere della nostra vista quotidiana che, poi, improvvisamente, coinvolgendo un involontario protagonista, volge verso l’assurdo (Gli uccelli, 1963), il misterioso (L’uomo che sapeva troppo, Vertigo, 1958) l’irrazionale, il doppio (L’ombra del dubbio, 1949; Vertigo, Psyco, 1960) il semplice errore (Il ladro, Frenzy). A manovrare il tutto è il caso. Hitchcock lo paragona a due binari che possono diventare un groviglio di scambi o a una strada che si apre a imprevedibili bivi. Diversi suoi film iniziano con serene scene di vita cittadina (Gli uccelli), o del vicinato (La finestra sul cortile), o addirittura con un distensivo viaggio turistico (L’uomo che sapeva troppo), per confermare che dietro il normale e apparentemente placido tran tran quotidiano, si nasconde l’imprevisto pericolo (Delitto per delitto, 1955; La finestra sul cortile), il soggetto dalla doppia personalità (Psyco, Marnie, Frenzy), l’intrigo politico (L’uomo che sapeva troppo, Intrigo internazionale, Il sipario strappato).

Soprattutto, ad Hitchcock piace, all’inizio del film, o nelle prime scene, mentre presenta gli esterni e la storia non è ancora definita per lo spettatore, far attraversare ai pedoni delle strade cittadine o degli incroci (L’ombra del dubbio; Gli uccelli); far prendere dei treni (Delitto per delitto, Marnie): come a dire che ogni incrocio o attraversamento è una allusione prolettica, appunto, al caso che sta tracciando il destino del/dei protagonisti (L’ombra del dubbio; Delitto per delitto, Marnie; Vertigo; Gli uccelli; Frenzy).

Motore centrale del racconto hitchcockiano è la suspense che genera una paura nello spettatore. Una paura razionale, ottenuta con la sospensione dell’evento pericoloso che sta per accadere, ma al protagonista e allo spettatore viene lasciata la speranza che possa essere evitato con un coup de théâtre. E lo spettatore, rimasto in tensione, in suspense, tira un sospiro di sollievo, appena è sventato il pericolo, sino al presentarsi del prossimo. Ecco, allora, che il grido della donna che tiene prigioniero il piccolo Hank nell’ambasciata straniera attira il padre (James Stewart) che sfonda la porta per liberarlo (L’uomo che sapeva troppo). Che lo scienziato Armostrong (Paul Newman), circondato dalla polizia in teatro, durante lo spettacolo, gridi “Al fuoco” per generare scompiglio e mettersi in salvo con la sua fidanzata (Julia Andrews, Il sipario strappato). Che la minuta, ma caratterialmente forte, miss Charlie (Teresa Wight) riesca, aggrappandosi all’ultimo secondo ad un appiglio della parete interna del treno, a spingere lo zio Charlie (Joseph Cotten), l’assassino delle vedove, più forte di lei, giù da treno in corsa, quando ormai allo spettatore era chiaro che la ragazza soccombesse nella lotta corpo a corpo con il prestante uomo.

Alfred Hitchcock è stato, negli anni Quaranta, insieme a John Ford, Orson Welles, Howard Hawks, Akira Kurosawa, Ingmar Bergman, Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, un innovatore del linguaggio del cinema. Un’inquadratura che torna spesso nel suo cinema è il plongée, per dare una idea delle dinamiche psicologiche dei personaggi che si giocano anche sulla prossemica (Intrigo internazionale, Vertigo, Psyco, Gli uccelli, Delitto perfetto). Come del resto i contre-plongée obliqui, sia negli interni che in esterni, per aumentare il senso di sgomento, angoscia (Psyco, Io confesso, Vertigo). Famosi i suoi carrelli a seguire o a precedere i personaggi (L’ombra del dubbio, Vertigo), il ricorso al dettaglio (Il ladro, La finestra sul cortile, Vertigo, Delitto per delitto, Frenzy). Sino al montaggio stretto per trasmettere lo shock di una immagine forte, definito da Peter Bogdanovich, “tecnica del tap-tap”. Ossia, inquadrare, per es., la sventurata vittima con due soggettive del personaggio che l’ha scoperta: la prima realistica, ossia alla giusta distanza di colui che è inquadrato; la seconda in ppp o in dettaglio come se l’occhio del testimone si fosse avvicinato, rimanendo immobile il suo corpo (il dettaglio, ottenuto con il secondo stacco, per es., del volto devastato dell’uomo ucciso dai volatili in Gli uccelli). Una soluzione irrealistica, ma narrativamente efficace (nel western sarà codificata, negli anni Sessanta, da Sergio Leone), che lo spettatore inconsciamente accetta.

Hitchcock, talvolta, si diverte ad omaggiare alcuni stili di cinema e registi: in Io confesso, nell’allontanamento furtivo del sagrestano assassino, di notte, per le vie della città, vediamo la ombra gigante, di questi, proiettata sul muro di una casa, come avrebbero fatto F.W. Murnau o F. Lang. Mentre in La donna che visse due volte, nella scena della spirale, Hitchcock cita il cinema dadaista anni venti, come ci ricorda Mario Verdone.

Ancora oggi i film di Hitchcock non hanno perso la loro forza narrativa, e la suspense, ottenuta con mezzi meccanici-analogici, non risulta superata dall’arrivo del digitale. I tempi della narrazione, le inquadrature, il montaggio, la direzione degli attori, sono da manuale. Per tale ragione Alfred Hitchcock è amato e apprezzato da centinaia di studenti e giovani registi. Dovremmo ringraziare suo padre che, pur essendo un fruttivendolo, lo portava a teatro ogni domenica, facendo così nascere nel piccolo Alfred l’interesse per raccontare storie. E, da adulto, la sua curiosità per la letteratura d’azione non fu mai doma. Infatti, come sappiamo, leggeva in continuazione romanzi, soprattutto gialli, incuriosito dalle innovazioni della narrativa.

Ogni sabato seguiva il supplemento letterario del New York Times, cercando nuove storie. E grazie al suo cinema che molti spettatori scoprirono quegli autori che gli avevano suggerito i soggetti dei suoi capolavori: John Buchan, Joseph Conrad, Daphne de Maurier, Robert Bloch, Patricia Highsmith, Pierre Boileau e Thomas Narcejac.

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