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Il sentiero giusto

Non sappiamo ancora dove porterà il sentiero imboccato ieri dal Consiglio Europeo. Ma sappiamo almeno che i Capi di Stato e di Governo hanno preso quello giusto.
Riconosciute la necessità e l’urgenza di varare un massiccio piano per la ripresa economica, è affidato adesso alla Commissione ed al Consiglio stesso il difficile compito di preparare i documenti che dovranno essere adottati nelle prossime settimane per dare concreta attuazione al piano per la ripresa.
Mi pare che la posizione della Germania (fatta propria da Michel, Presidente del Consiglio e da Centeno, Presidente dell’Eurogruppo) sia la più sensata: ok ad un piano massiccio, ma con una condivisione piena delle decisioni sulle risorse alle quali attingere e su come spenderle. Sembra quindi aprirsi lo spazio per negoziare un aumento consistente del bilancio, sia tramite contributi nazionali sia (speriamo soprattutto) tramite risorse proprie.
L’idea, sintetizzata sotto l’etichetta di una Joint Roadmap for Recovery dovrebbe essere fondata, come recita il comunicato finale, sul funzionamento pieno del mercato unico, su “investimenti senza precedenti”, e su un “sistema di governance in grado di funzionare”. In dettaglio, il piano complessivo dovrebbe essere articolato nei seguenti punti: nell’immediato, il ricorso agli strumenti finanziari già individuati, come MES (240 miliardi), SURE (100) e BEI (200), per un totale di 540 miliardi; nelle prossime settimane una nuova ipotesi di bilancio pluriennale dell’Unione Europea, con un aumento delle risorse (fino almeno al 2%?) da dividere fra aumento dei contributi nazionali e ricorso a nuove risorse proprie (tassa sulle transazioni finanziarie, sulle emissioni di carbonio, etc) tali da consentire l’emissione di titoli del debito pubblico europeo (in quanto tali, quindi, a rating massimo e non contabilizzati nei bilanci nazionali, quindi con impatto nullo sugli spread e sugli indicatori macroeconomici di stabilità) per investimenti in beni pubblici (“essential goods”, li chiama il Consiglio) europei. In pratica, qualcosa di molto vicino a quello che avevamo sperato (e di cui avevamo scritto) il mese scorso; e che sarebbe stato completamente insperabile fino al mese precedente.
Naturalmente, il diavolo si nasconde nei dettagli… che ancora non ci sono. Così come non ci sono le somme che si intende mettere in campo. E nemmeno dei tempi certi, se non i soliti estenuanti rimandi a date successive; e l’ipotesi che si debba concretamente attendere l’anno prossimo, ossia che siano disponibili i fondi della nuova programmazione. Insomma, in sostanza non c’è nulla di certo, il che permette a tutti di lodare o criticare a piacere il Consiglio di ieri, mettendone in evidenza luci e/o ombre. Ma una direzione di marcia è stata presa. Pur con passo incerto, la UE si è (ulteriormente) mossa.
Viene da chiedersi che cosa stia rendendo possibile il miracolo di smuovere il pesante pachiderma dell’Unione Europea, nonostante un sistema decisionale folle (l’adozione all’unanimità delle scelte collettive). Il Covid19, certo; col suo carico di morti e di emergenze sociali ed economiche diffuse. Ma anche Salvini (in buona compagnia di Orban, Kaczinsky, ADF in Germania, FN in Francia, PVV in Olanda, etc) probabilmente. Nella nuova consapevolezza che un’Unione incapace di reagire collettivamente ad un’emergenza sanitaria avrebbe consegnato a queste forze il governo dei singoli paesi (e non è ancora detto che questo pericolo sia scongiurato, anche perché ancora non è scongiurato il fallimento dei negoziati nella UE), con la fine di qualsiasi velleità di fondare un’Europa legittima, democratica, dei cittadini, piuttosto che dei governi. Insomma, ci tocca sperare che Salvini & Co. riescano a fare ancora paura nelle prossime settimane.
La partita non è affatto chiusa, ma sembra almeno aver messo in evidenza che c’è una consapevolezza nuova e diffusa: che nessuno si salva da solo. Che, per quanto qualche paese possa pensare di accelerare la ripresa indipendentemente dagli altri, o con un blocco omogeneo di alleati, le economie europee sono così interconnesse che non è possibile isolare gli effetti negativi in un paese da quelli degli altri. E che, soprattutto, esiste un problema di consenso, sia verso le forze democratiche nazionali sia verso il percorso dell’integrazione europea nel suo complesso, e che senza una forte assunzione di responsabilità condivisa in Europa entrambi sono fortemente a rischio.



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