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Vi racconto il mio incontro con Luis Sepúlveda

Si potrebbe dire che Luis Sepúlveda sapeva scrivere, anche con i piedi. Perché oltre che scrittore prolifico e di fama internazionale, il cileno era soprattutto un viaggiatore. Viaggiava, ed era anche fuggito, per passioni politiche, oltre che personali. Aveva fatto parte del movimento sandinista in Nicaragua, era stato reporter in Africa e aveva percorso in lungo e largo tutta l’America del Sud. Uno dei viaggi che più gli era rimasto dentro era quello in Patagonia e Tierra del Fuego, assieme all’amico e fotografo Daniel Mordzinski. Armati di Moleskine e Leica, a seconda del mestiere, i due si sono addentrati in una parte del sud del mondo che sembrava scomparsa. Un pellegrinaggio nel leggendario treno “Patagonia Express”, noto anche come il “Trochita”. Nel 1996 il viaggio prevedeva tremila chilometri ma poi si è ridotto a 100 soltanto. Prima nella Patagonia argentina e poi in quella cilena. “Ultime notizie dal sud” è stato il libro nato da quell’avventura. Un diario in cui si legge chiaramente il proposito dello scrittore e del fotografo di andare contro le frontiere politiche, creando un’atmosfera unica, di osmosi, sovranazionale, antropologica e culturale: il sud.

Sepúlveda lo incontrai alla fine del 2010 a proposito dell’uscita del libro “Historias marginales II”, in italiano “Ritratto di gruppo con assenza”, per i tipi di Guanda. Ci siamo visti all’Hotel Inghilterra e l’unico suo desiderio prima di cominciare l’intervista era fumarsi una sigaretta. Arrivava da Firenze, dove un grande pubblico aveva festeggiato il suo ritorno alle librerie. Il tour di lancio l’aveva portato per strade, università e librerie di Bolzano, Firenze, Milano e Roma. Uno dei racconti di quella racconta, intitolato “Quel vecchio non mi piace”, era esplicitamente inspirato nell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. L’autore non risparmiava critiche e provocazioni. Per lui “il premier era un caudillo malato di potere e di sesso”.

Tuttavia, “Ritratto di gruppo con assenza” non era soltanto un libro di storie di denuncia e stupore del mondo contemporaneo. Nelle narrazioni c’erano giocatori di calcio famosi in Europa, una miss colombiana sottoposta ad una fatale chirurgia plastica; ma anche la natura, i libri e la vita stessa.

“Questo è un libro di non-fiction – mi disse – che ha come principale obiettivo condividere con tutti i lettori il laboratorio, la cucina dello scrittore, quella genesi del testo che parla della quotidianità”.

“La letteratura non ha cognomi né gruppi”, sosteneva sulla mania editoriale di porre etichette. “Il ‘realismo magico’ l’hanno scritto solo tre grandi scrittori, Alejo Carpentier, Juan Rulfo y Gabriel García Márquez. Dopo ci sono stati molti imitatori, ma i principali esponenti del ‘realismo magico’ non volevano fare parte di una scuola o un marchio di identità. Semplicemente coincidevano nella forma con la quale descrivevano la propria realtà”.

Credeva che ci fossero molti colleghi che avevano la pretesa di originalità e di avanguardia, ma lui riconosceva solo uno scrittore del “realismo sporco”: Raymond Carver. “Nella lingua spagnola non esiste nessuno alla sua altezza”.

Premio Casa delle Americhe e Primavera di Romanzo 2009, Sepúlveda aveva espresso la sua gioia per il Premio Nobel per la Letteratura di quell’anno allo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa. “È totalmente meritato. Ci sono voci che restano, altre scompaiono. Ma sempre è stato così. Nel mercato editoriale a volte succedono cose strane. Da alcuni anni, con Asa Larsson, sembrerebbe che la letteratura svedese abbia avuto un boom, ma esisteva da molto tempo. Lo stesso accade con la letteratura di alcuni Paesi latinoamericani o di scrittori latinoamericani che non vivono nel proprio paese e scrivono dalla distanza. È un continuo e normale movimento di idee…”.

Sul successo recente dello scrittore cileno Roberto Bolaño, scomparso nel 2003, Sepúlveda ha riconosciuto che era uno scrittore interessante: “È un peccato che sia morto così giovane, produceva tanto. Mi preoccupa che dopo morto escano tanti libri che lui non aveva corretto. Non credo sia una buona idea pubblicarli”.


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