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Convertiti (e fregati?) sulla Via della Seta. La versione di Laura Harth

Come abbiamo scritto pochi giorni fa, l’Italia è uno dei destinatario privilegiati degli aiuti di Pechino. Ma siamo in piena pandemia e l’Italia è stata il primo Paese occidentale a essere colpito in modo così gravoso, quindi tralasciamo un attimo questi argomenti “politicizzati”, come piace a Pechino e all’Oms. Abbracciamo, come ci hanno chiesto anche i medici della Croce Rossa cinese, in modo teorico quell’appello del Rpc di “costruire una comunità con un futuro condiviso per l’umanità sotto la guida del pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova epoca e i pensieri dello stesso Xi Jinping sulla diplomazia internazionale”. Perché “inequivocabilmente, il Covid-19 non può arrestare la decisa marcia del popolo cinese verso il ringiovanimento nazionale.”

Vediamo dove ci porterebbe esattamente quel progetto ambizioso del Partito comunista cinese per l’umanità intera, veicolata in questo momento di crisi mondiale anche attraverso la politica degli “aiuti”. Quel sogno di ringiovanimento cinese che, come ci spiega magistralmente l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, H. R. McMaster in un capitolo del suo nuovo libro, Battlegrounds: the fight to defend the free world (qui tradotto dal Global committee for the rule of law Marco Pannella), deve riportare il Regno del Mezzo a riprendere la sua naturale posizione di egemone nel mondo. 

Da quando è salito al potere, il leader cinese Xi Jinping non ha velato la sua mira a mettere in atto una versione moderna del sistema tributario. Quel sistema usato dagli imperatori cinesi per stabilire l’autorità sugli stati vassalli. Sotto tale sistema, i regni potevano commerciare e godere della pace con l’impero cinese in cambio della sottomissione. E i leader cinesi non sono per niente timidi nel sostenere questa ambizione. Nel 2010, durante una riunione dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico, il ministro degli Esteri cinese ha dichiarato in maniera secca ai suoi omologhi che “la Cina è un grande Paese e voi siete Paesi piccoli”. E durante la visita di stato statunitense a Pechino nel novembre 2018, il premier Li Keqiang ha affermato niente meno che “la Cina, avendo già sviluppato la sua base industriale e tecnologica, non aveva più bisogno degli Stati Uniti. Ha respinto le preoccupazioni statunitensi per il commercio e le pratiche economiche sleali, indicando che il ruolo futuro degli Stati Uniti nell’economia globale sarebbe semplicemente quello di fornire alla Cina materie prime, prodotti agricoli ed energia per alimentare la sua produzione industriale e di prodotti di consumo all’avanguardia.”  

Insomma, da tempo e come ribadito dall’ambasciatore cinese in Italia ancora la settimana scorsa, la Cina non nasconde la sua ambizione di istituire un nuovo sistema tributario attraverso un enorme sforzo organizzato in base a tre politiche sovrapposte, che portano il nome Made in China 2025, Military-Civil Fusion e… Belt and Road Initiative. 

Sì, proprio quella nuova Via della Seta di cui ancora una volta l’Italia come unico Paese del G7 fa orgogliosamente parte. Innumerevoli i rapporti sui prestiti micidiali collegati (spesso per progetti infrastrutturali senza ovvie necessità per il Paese “ospite”) che hanno già messo in ginocchio parecchi Paesi in via di sviluppo, costretti a mettere i loro asset strategici in mano al governo o le società cinesi (rigorosamente controllati dallo stesso Pcc). Innumerevoli anche le denunce sulle strette alla libera informazione e espressione, al dissenso, esattamente in linea con quanto dettato da Wang Yi e le linee guida del Pcc sulla guerra dell’informazione, come denunciato da tempo da Formiche.net. Non meno poi le prove di quanto la firma di accordi sulla Belt and Road Initiative costituiscono anche un “incentivo” ad allinearsi sulla politica estera di Pechino. Una politica estera nel pensiero di Xi Jinping – ribadiamolo – di Stati vassalli sottomessi alla grande e unica potenza del Regno di Mezzo, dove diritti e libertà umani, leali pratiche commerciali e rispetto dell’autonomia statale sono sottomessi agli interessi dell’apparato del Partito comunista. 

Qualcuno pensa che per l’Italia queste tendenze non si verificheranno? Possiamo rimarcare che le vediamo già avverate in gran parte. Dalla sottomissione mediatica e l’allergia al dissenso, alla stretta sugli asset strategici, e l’allineamento in termini di politica estera (e quindi di crescente distacco dagli alleati tradizionali e posizioni uniche nel mondo occidentale – ma in linea con quelle cinese – per esempio sulla dittatura venezuelana o il silenzio tombale del governo sugli ultimi avvenimenti a Hong Kong). 

La recente “politica degli aiuti” non ha fatto che esacerbare queste tendenza, sia attraverso l’ampliamento della Via della Seta con la Via della Salute, che con il programma Made in China. Pechino ha velocizzato, come ribadisce infatti Wang Yi, i suoi sforzi in merito, approfittando della crisi del coronavirus per allargare la sua orbita di influenza con una macchina propagandistica senza paragoni, anche in termini degli investimenti miliardari dietro. E mentre è vero che in molti paesi occidentali questa macchina rischia di trasformarsi in un boomerang per Pechino, in Italia – non a caso – funziona alla grande. È ormai impossibile negare che la strategia dichiarata da Pechino non abbia preso ampiamente piedi in Italia, grazie alla cooptazione e la coercizione del mondo mediatico, industriale e politico. 

Come nota McMaster ancora, tale pratiche spesso vengono accolti dagli attori locali in modo inconsapevole, ingannati ingenuamente in un gioco molto più grande del loro ambito. Questa presunzione di ingenuità poteva reggere fino a un certo punto però. Nel momento che viviamo oggi, in cui la Cina ha apertamente scatenata una guerra alla democrazia liberale, ai principi del mondo occidentale, allo stato di diritto e alle libertà fondamentali di tutti noi, non si può più fingere di non sapere. Non sono più accettabili le “buone intenzioni” di dialogo e amicizia quando ledono chiaramente e direttamente lo stato di diritto democratico in Italia e all’estero. 

Per dare un esempio recente e molto concreto: come sapete, il 29 novembre 2019, l’ambasciatore cinese in Italia attacca frontalmente un numero importante di parlamentari che hanno partecipato all’audizione dell’attivista per la democrazia a Hong Kong, Joshua Wong, e gli imputa di “essere irresponsabili” per aver agito pienamente nelle loro prerogative. E allora diventa difficilmente digeribile se il 12 dicembre dello stesso anno, il vicepresidente della Camera Ettore Rosato (Italia Viva) si fa ricevere dallo stesso ambasciatore per accettare l’incarico di Presidente dell’Istituto per la Cultura Cinese. Un istituto che per statuto deve “sostenere e promuovere il dialogo e la reciproca conoscenza tra la Repubblica Popolare Cinese e l’Italia”; dialogo che certamente è venuto a mancare nell’occasione della reazione all’audizione di Joshua Wong, come tante altre volte. Si potrebbe ancora fingere di pensare che quelle belle parole di “dialogo e reciproca conoscenza” – i quali sicuramente troveremo anche nei MoU sottoscritti dai vari media italiani con la loro controparte statale cinese – siano in realtà una ottima base per le relazioni multi- e bilaterali con la Cina. 

Ma ormai le prove sono inconfutabili che dietro questi eufemismi si cela una realtà sola: per Pechino, “il dialogo e la cooperazione” non significano altro che seguire ciecamente la linea dettata dagli organi del partito unico. Quando un Paese, o individui come parlamentari e giornalisti non si adeguano sempre più spesso si riscontrano attacchi verbali per via dei loro ambasciatori o organi di stampa, in quel che ufficialmente e con orgoglio hanno iniziato a chiamare wolf warrior diplomacy. Ne abbiamo visto esempi eclatanti negli ultimi mesi in Svezia, in Francia, nella Repubblica Ceca, e persino in Italia stessa. E in alcuni casi i guerrieri lupo vanno ben oltre, aiutati ancora una volta in questo momento di crisi dell’enorme bisogno di materiali medici e il loro primato attuale in quell’ambito. Solo alcuni giorni fa, attraverso il Global Times, il governo federale degli Stati Uniti è stato minacciato di vedere i suoi ordini di acquisti di materiali essenziali messi in coda alla lista degli ordini, per il suo giudizio “cattivo” della gestione cinese del coronavirus.  

Risulta difficile dunque oggi continuare a fingere di non sapere e di non vedere. Risulta particolarmente difficile per un Paese che ufficialmente è ancora alleato con le forze che maggiormente stanno respingendo l’ambizione predatoria cinese, la quale ha al centro sempre e immancabilmente il primato dell’esistenza e l’ampliamento del potere centrale del Partito comunista cinese come ribadito dal suo ministro degli Esteri. Peraltro, è stato ammesso anche dagli amici della Cina in Italia stessi che esiste un fronte ideologico aperto, quando Alessandro Di Battista alcuni giorni fa ha parlato apertamente dell’esistenza di una Terza guerra mondiale in corso, con la Cina protagonista (e vincitrice). 

Potrebbe persino essere una scelta definitiva quella dell’allineamento a Pechino e quella posizione inviabile nell’elenco dei Paesi da esso somministrato. Ma in tal caso, si abbia il coraggio di dichiarare pubblicamente che si vuole che l’Italia si accosti sulla linea dei campi di concentramento nello Xinjiang, della persecuzione dei monaci tibetani e dei cristiani, delle sparizioni forzate di dissidenti e medici che hanno voluto avvertire il mondo sul pericolo del coronavirus e del controllo sociale di massa. Venga dichiarato subito in Parlamento che non vi sarà un ritorno alla – pur minima – legalità costituzionale alla fine di questa crisi, e vengano informati i Paesi ex-alleati che l’Italia si tira fuori da quell’alleanza non solo strategica ma che rappresenta anche oltre la metà della ricchezza mondiale.  

Qualcosa ci dice che nessuno – Di Battista da parte, gli va dato atto almeno di questo – avrà il coraggio di presentare questo affarone dinanzi l’opinione pubblica italiana, intorpidita dalla propaganda incessante sì, ma non a tal punto. E allora ci appelliamo a chi ne ha la possibilità, di non farglielo passare di nascosto o con ulteriori sotterfugi. Il destino che il Partito comunista cinese ci vuole riservare è chiaro nella sua aspirazione di essere sovrano su “tutto quello che c’è sotto il cielo”, ma molti sotto il cielo non sono – e non devono essere – d’accordo. 


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