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Se gli italiani preferiscono la Cina agli Usa (e alla Ue)

La Cina è vicina, come non mai. Un sondaggio di Swg rivela quanto: tra i Paesi considerati “amici” dall’opinione pubblica italiana, la Cina svetta con il 52% dei consensi, seguita al secondo posto dalla Russia al 32% e dagli Usa al 17%. Il confronto con i dati del 2019 è impressionante. In un anno, Pechino ha guadagnato il 42%, Mosca il 17%. Washington Dc ha perso il 12%. Non è tutto. Alla domanda, “con chi si deve alleare in futuro l’Italia”, il 36% degli intervistati risponde Cina, solo il 30% Stati Uniti.

La spola di aerei cargo di aiuti per il coronavirus da Pechino a Roma e la campagna propagandistica con cui Pechino ha accompagnato l’operazione solidale hanno sortito i loro effetti. Sono visibili, inequivocabili, e senza precedenti, neanche negli Usa. Sia l’entità degli aiuti, sia la modalità con cui sono stati annunciati (un memorandum apposito firmato dal presidente in persona) non hanno infatti paragoni fra tutti gli aiuti promessi o già inviati dagli Stati Uniti ad altri Paesi alleati.

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LA PRESSIONE CINESE

Un così radicale capovolgimento del comune sentire non si spiega con qualche tonnellata di mascherine. La grande campagna pubblicitaria cinese avviata sulla scia dell’emergenza sanitaria è atterrata su un terreno preparato da tempo. Un anno fa, nel marzo del 2019, l’Italia, primo Paese G7, ha firmato un memorandum per aderire alla nuova Via della Seta di Xi Jinping. Porti, infrastrutture fisiche e tecnologiche, investimenti e partecipazioni, il sodalizio con Pechino ha coperto un ampio ventaglio di settori, compresa l’informazione.

Gli accordi stretti durante la visita di Stato a Roma di Xi hanno inaugurato una collaborazione fra alcune delle più importanti realtà mediatiche italiane con i media governativi cinesi, è il caso dell’agenzia di Stato Xinhua, o del China Economic Daily e del China Media Group (Cmg). La narrazione filo-cinese è così penetrata nel sistema mediatico italiano, anche nella tv pubblica. Una recente ricerca effettuata da Formiche con il materiale video fornito da la società DataStampa dimostra come gli aiuti cinesi di marzo in Rai abbiano ricevuto il triplo della copertura mediatica rispetto a quelli statunitensi.

IL NUOVO PIANO MARSHALL

Non è il primo campanello d’allarme. Due settimane fa sempre Swg ha rivelato in un sondaggio che gli italiani guardano più alla Cina che agli Stati Uniti. A Washington Dc l’infatuazione italiana per Pechino non è certo passata inosservata. La campagna di propaganda sugli aiuti umanitari, assieme all’ondata di bot su Twitter che ne ha amplificato l’eco, sono da settimane al centro dell’attenzione di Capitol Hill e della Casa Bianca.

Il governo americano è passato dalle parole ai fatti. Gli aiuti da 100 milioni di dollari promessi in conferenza stampa il 30 marzo dal presidente Usa Donald Trump sono ora entrati nel vivo. Usaid ne ha stanziati 50 milioni per le organizzazioni laiche e religiose di entrambi i Paesi, e altri 50 milioni per le imprese. Sommati ai più di 25 milioni di dollari già donati dal settore privato americano, mettono insieme un capitale che non ha paragoni con gli aiuti russi e cinesi.

Un dato politico, questo, che l’ambasciatore Usa in Italia Lewis Eisenberg non ha mancato di ricordare in una intervista a Sky Tg24 questo lunedì. “Dal tempo del Piano Marshall, per volere oggi del presidente Trump, mai un intervento simile era stato fatto per un Paese alleato dell’occidente. Proseguiremo con questa amicizia, costruita per sempre sulla democrazia e la libertà degli individui  – ha spiegato il diplomatico. Gli aiuti da Cina e Russia “sono benvenuti” se vengono “con una trasparente buona volontà e senza altri motivi”. “Sono convinto che la luce splenderà sulla democrazia e sui nostri valori condivisi – ha concluso Eisenberg – che manterremo salda l’unione storica tra Italia e Usa, più forte ancora più di prima. Non ho dubbi e così sarà”.

DI BATTISTA E LA GEOPOLITICA

Ma non sono solo i media a poter spiegare l’inedita simpatia dell’opinione pubblica italiana per Pechino, e il calo di popolarità degli Usa. Dalla politica, nelle ultime settimane, sono arrivati assist che hanno fatto rumore. L’ultimo in ordine di tempo da Alessandro Di Battista, volto battagliero e pasdaràn del Movimento Cinque Stelle deciso a tornare a solcare il palcoscenico della politica italiana dopo una lunga (semi)assenza. “Senza l’Italia l’Ue si scioglierebbe come neve al sole” ha detto l’ex deputato, lodando “un rapporto privilegiato con Pechino che, piaccia o non piaccia è anche merito del lavoro di Di Maio ministro dello Sviluppo economico prima e degli Esteri”. La Cina “ha utilizzato al meglio il soft-power, è riuscita a trasformare la sua immagine da untore ad alleato nel momento del bisogno”. “Vincerà la terza guerra mondiale senza sparare un colpo e l’Italia può mettere sul piatto delle contrattazioni europei tale relazione – ha sentenziato sul Fatto Quotidiano – il mondo sta cambiando e la geopolitica, nei prossimi mesi, subirà enormi mutamenti”.

LA RISPOSTA COMUNE DI UE E USA

A queste previsioni non si accoda certo tutta la maggioranza, anzi. “Le azioni nuove che stiamo negoziando a livello Ue sono finalizzate a difendere il mercato europeo e la sua competitività. È una scelta che unisce la difesa dell’identità politica europea, le sue alleanze storiche e l’interesse nazionale – spiega a Formiche.net il ministro per gli Affari europei del Pd Vincenzo Amendola.

“Nell’opinione pubblica si fa largo l’idea che forme di capitalismo autoritario siano più funzionali a rispondere a queste nuove sfide nella dimensione globale – aggiunge – questo per l’Europa, la nostra comunità di destino, con i suoi valori democratici e liberali, è un grande rischio. Poiché nel nuovo multilateralismo è necessario mantenere il nostro tradizionale posizionamento, europeo e atlantico. Per non diventare alla lunga marginali nel mondo post Covid-19”.

Gli fa eco il professor Edoardo Novelli, sociologo dell’Università di Roma Tre e autore televisivo. La sfiducia verso l’alleato americano, spiega l’esperto, è figlia della politica America First. “La Cina numeri alla mano ha fatto ben poco per l’Italia. Ma la chiusura di questa amministrazione americana e il ritiro dallo scacchiere internazionale non aiutano a far percepire la vicinanza degli Usa all’Italia. L’unico modo per controbilanciare il successo cinese è avviare una politica di ascolto degli alleati europei, abbandonare la retorica dell’autosufficienza”.

COSA PUÒ FARE WASHINGTON DC?

Le redini non sono però nelle sole mani dell’Italia. Il crollo di consensi degli Usa fra i cittadini italiani certificato dal sondaggio accende un campanello d’allarme oltreoceano. A Washington Dc e soprattutto alla Casa Bianca nessuno sottovaluta il rischio geopolitico della campagna di aiuti in Italia.

“Devo dire che sono sorpreso dal sondaggio di Swg – confida David Unger, professore alla John Hopkins e a lungo firma del New York Times – la mole di aiuti da Washington coordinata dall’ambasciata americana a Roma va ben oltre il supporto di Mosca e Pechino”.

“Gli Stati Uniti negli ultimi 20 anni sono stati chiamati a scelte difficili. Il disimpegno in varie parti del globo, i cui effetti vedremo tra qualche lustro, ha portato alla conclusione nel medio sentire che oggi non sia più la potenza egemone di una volta – spiega Luca Frusone, deputato del Movimento Cinque Stelle in Commissione Difesa alla Camera e presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato, uno dei più convinti “atlantisti” del Movimento. “Nel mentre il supporto prestato in vari campi è rimasto quasi sconosciuto al grande pubblico. Come è successo per il supporto al virus”.

Il memorandum del 10 aprile con cui l’amministrazione Usa ha ufficializzato l’invito di 100 milioni di dollari in aiuti all’Italia “non è un paragonabile al Piano Marshall”, dice Frusone, “i primi risultati di questo memorandum li vedremo nel medio periodo, quando il mondo sarà con tutta probabilità cambiato. Ma ci sono degli elementi, che nel dibattito comune non entrano, che spiegano come gli Stati Uniti restano il nostro alleato storico e potranno esserlo ancora per molto tempo”.

Paragonare a un nuovo Piano Marshall l’ondata di aiuti in arrivo dagli Usa può forse sembrare un azzardo. In molti però si chiedono se aiuterà a consolidare i rapporti fra l’Italia e il suo storico alleato. E ad accorciare le distanze fra Washington Dc e Bruxelles.

Perché accada, il presidente Trump “deve realizzare due cose”, spiega Unger. “Mostrare leadership e più vicinanza, e capire che l’Italia è stato il primo e il più colpito Paese dal virus. E che da anni combatte contro l’austerità imposta da Bruxelles. Oltre a chiedere di aumentare i fondi per la Nato, la Casa Bianca dovrebbe tendere un braccio a Roma nelle trattative con l’Ue”.


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