I numeri sono importanti, ma non sono tutto. Il carico di materiale sanitario e tecnologico da 100 milioni di dollari stanziato dagli Stati Uniti per aiutare l’Italia nella crisi del coronavirus è una straordinaria operazione di soft power. “Non si tratta di un carico isolato”, confida a Formiche.net Brian Katulis, senior fellow presso il Center for American Progress (Cap) di Washington Dc. Eppure, dimostra un recente sondaggio di Swg, in Italia la Cina miete più successo degli Stati Uniti, e sta vincendo la corsa alla conquista dell’opinione pubblica. Non bisogna sorprendersi, dice Katulis, che assicura: l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca cambierebbe le carte in tavola.
Katulis, chi sta vincendo la sfida geopolitica in Europa?
Nessuno, per ora. La crisi sta mettendo in ginocchio l’economia globale, nessuno è al sicuro. Sicuramente c’è la sensazione di un’ascesa della Cina nella geopolitica globale, soprattutto in alcuni Paesi europei come l’Italia, dove ha messo in campo strumenti economici, capitali, investimenti nelle infrastrutture. Anche la Russia interferisce nel processo politico italiano, in modo più plateale, attraverso il sistema mediatico, ma meno in profondità.
Un recente sondaggio dimostra che gli italiani preferiscono la Cina agli Usa. La sorprende?
Non proprio. Il governo americano non sta facendo granché per vincere la battaglia globale delle idee come durante la Guerra Fredda. All’epoca esisteva un’unità di intenti fra le élites politiche americane di cui oggi non c’è più traccia. Tutto è diventato scontro politico.
Perché secondo lei la vicinanza americana è poco percepita?
Il tono erratico e confusionale che Trump fa suo su qualsiasi questione, inclusi i rapporti transatlantici, crea preoccupazione fra i partner degli americani. La pandemia e le elezioni di novembre non faranno che aumentare le tensioni. Il ritiro degli Stati Uniti dallo scacchiere internazionale continuerà per mesi.
Eppure gli Stati Uniti hanno fatto la loro mossa: 100 milioni di dollari in equipaggiamento, solo per l’Italia. Questo “Piano Marshall 2.0” avrà un impatto sull’opinione pubblica?
Sì, ma solo se gli italiani ne saranno informati. Peraltro ho sentito da ufficiali americani che non sarà l’unico carico. Certo, il sistema sanitario americano deve fare i conti anzitutto con le proprie lacune. Pochi giorni fa il governatore del Maryland ha firmato un accordo con la Corea del Sud per ottenere un carico di tamponi.
Cosa dicono gli americani della politica estera targata Trump?
Gli americani non prestano grande attenzione alla politica estera. Lo scorso anno un sondaggio ha rivelato che si interessano ai problemi globali solo quando sono direttamente legati alla loro vita quotidiana. Non tutto comunque è indifferente.
Ad esempio?
La questione cinese tocca da vicino il lavoro nel manifatturiero, nel settore agricolo e nell’industria pesante, il commercio. È uno dei pochi temi di politica estera che resterà al centro della sfida per le presidenziali.
Tornando all’Italia, perché la narrazione di Russia e Cina ha tanto successo?
Società autoritarie come quella russa o cinese hanno vantaggi strutturali. Possono controllare e manipolare il sistema mediatico più e meglio delle democrazie. Negli ultimi dieci anni è emerso un trend chiaro, un tentativo di usare il mondo dell’informazione per cambiare l’immagine delle società aperte e influire sugli elettorati.
Chi sta cavalcando meglio l’onda?
La Russia è stata abile a sfruttare divisioni già esistenti e a indurre paralisi nei sistemi politici occidentali. La Cina per parte sua è stata meno esplicita e aggressiva nella campagna mediatica, ma ha una strategia di lungo periodo: costruire alleanze nel settore imprenditoriale e industriale, e conquistare la rete 5G.
Gli Usa hanno le loro responsabilità?
Sì. Non mostrare vicinanza ai Paesi europei, non investire a sufficienza nella diplomazia pubblica e in particolare in quella interpersonale. È una parabola iniziata ben prima di Trump e che ora ha subito una brusca accelerazione.
Un’altra battaglia, quella per il 5G europeo, rimane in bilico.
Anche qui, lo stile di Trump ha fatto la differenza. A forza di minacciare ha solo creato confusione, la Cina invece si è mossa con costanza e senza arretrare un attimo. C’è da dire che anche il settore privato americano ha le sue responsabilità. Nessuno si è fatto avanti in modo chiaro con una soluzione in grado di competere con il 5G cinese o almeno valorizzare quello europeo.
L’Italia si trova di fronte a un bivio in Ue. Un più aperto supporto nel confronto europeo può essere una mossa strategica per Washington Dc?
Gli Usa prestano scarsa attenzione agli affari europei e difficilmente si metteranno fra Roma e Bruxelles. Non finché ci sarà Trump nello Studio Ovale.
Con Biden i giochi cambierebbero?
La differenza è di metodo, prima ancora che di sostanza. Trump chiede agli alleati di fare di più, ma non offre contropartite. Biden probabilmente non tornerebbe allo status quo della politica estera americana pre-Trump, ma di certo inaugurerebbe un nuovo stile diplomatico.
Ovvero?
Se Biden sarà eletto, è probabile che il nativismo e la xenophobia lascino spazio a un ritorno del multilateralismo. La ricerca di una soluzione win-win con gli storici alleati prenderà il posto dello scontro frontale.
C’è chi ha notato un progressivo riavvicinamento fra Russia e Stati Uniti. È un percorso che continuerà nei prossimi mesi?
Parlare di riavvicinamento mi sembra prematuro. Bisogna distinguere un piano superficiale, quello dei gesti e della diplomazia, e uno sostanziale. Fra i due Paesi esiste ancora un livello di sfiducia molto alto, i sondaggi mostrano che più della metà degli elettori americani considerano la Russia un avversario, se non un nemico. A livello strategico, rimangono forti dubbi sul controllo delle armi nucleari da parte di Mosca, così come sui piani russi nel vicinato europeo, ad esempio in Libia.